Juve: non c'è vittoria senza la passione di una curva

Ennesima eliminazione europea. Ennesima serata storta. Ennesima surreale serata di uno Stadium sempre più teatro e meno stadio.
17.03.2022 19:17 di  Enrico Danna   vedi letture
Juve: non c'è vittoria senza la passione di una curva
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

Juve, dove vai se una curva non ce l'hai?

Da nessuna parte: anzi, a casa. Quello contro il Villareal è stato l'ennesimo déjà vu, un copione che negli ultimi anni si è proposto con puntualità svizzera. Certo, venire eliminati dal Villareal crea molta amarezza anche se, chi conosce il calcio, sa che la squadra spagnola, non è proprio l'ultima arrivata, così come il suo allenatore. Piuttosto ridicolo, invece, è leggere articoli e sproloqui in merito al fallimento europeo, come se la Juve fosse stata mai in corsa per vincere la Champions. Questa squadra, quarta nel campionato italiano, a sette punti dal Milan, avrebbe dovuto concorrere per la Champions? Suvvia, siamo seri. Quello che si poteva e si doveva fare, era passare il turno. Altre due gare erano possibili. Non di più.

Che poi, ieri sera, alla squadra cosa si può rimproverare? Francamente poco. Nel primo tempo ci abbiamo provato e la fortuna non ci ha nemmeno assistiti. Nel secondo tempo, si è spenta totalmente la luce. Non ce n'era più, nella testa e nelle gambe. Sono venute a galla tutte le lacune di questa squadra, figlie di anni di errori e scelte al limite dell'assurdo.

Senza stare a ripeterci, fino a quando non si tornerà ad aver un direttore sportivo degno di tal nome, fino a quando non si tornerà a fare scouting (comprare giocatori a prezzi esorbitanti regalando stipendi faraonici lo sanno fare tutti), fino a quando non si sceglieranno i giocatori in base alla loro utilità e non in base al nome come fossero figurine, continueremo a rimediare figuracce simili.

C'è, tuttavia, un aspetto ancora peggiore: il silenzio surreale di uno stadio che ormai fa ridere i polli, l'assenza di una curva in grado di dare alla squadra quella carica, quella scossa che possono fare trovare energie impensabili anche in una serata storta. Tutto questo, allo Stadium, non è più possibile. Non esiste più uno Stadium. Esiste un teatro a metà strada tra un club per snob con la puzza sotto il naso e una versione più recente del museo egizio, fatto di mummie viventi (più o meno). L'attività più rumorosa si raggiunge quando si mangiano i pop corn, mentre l'apice dei cori lo si trova all'atto del rinvio del portiere avversario (stile asilo Mariuccia). Non occorre aggiungere altro. Bastano tre bimbi nel settore ospiti per sovrastare l'intero Stadio, a livello di voci, cori e coreografie. Già, perché in curva non si può portare nulla: striscioni, bandiere, vessilli. Dai una occhiata al di fuori e vedi splendide coreografie. Poi, torni a vedere lo Stadium e ti prende un nodo alla gola, oltreché al petto.

A chi ha voluto tutto ciò, andrà probabilmente bene così. Del resto, l'importante è vendere le magliette, pop corn e gadget. Che bello vedere tutti quei tifosi che si fanno i selfie allo stadio, al posto delle bandiere, degli striscioni, delle torce, dei vessilli. Già, che meraviglia.

Business is business. Intanto, si sono persi dei bei milioncini ieri sera, così come nel resto della stagione.

Certo, non esiste la controprova, ma chi ha voluto il teatro, il business, a discapito della passione e del tifo, ha provato a chiedersi se, con una situazione diversa (ovvero con una curva degna di tal nome e uno stadio che tifa per la propria squadra anziché pensare a selfie e pop corn) alla fine, non ci avrebbe guadagnato di più? Ha provato a pensare che, in caso di altre stagioni come queste ultime tre, lo stadio rimarrebbe desolatamente vuoto? E anche i pop corn invenduti?

Il dodicesimo uomo, qualche punto in più lo ha sempre portato. E magari, avrebbe potuto portare anche qualche milione di euro in più.

Ne valeva davvero la pena? E vale la pena continuare con questa forma di ostracismo insensato? I compromessi si possono trovare: basta mettere da parte un po' del proprio ego. Per il bene comune. E, il bene comune si chiama Juventus.

Che, al di là di tutte le problematiche di campo, si merita passione e calore. Più cori e bandiere, meno pinguini e pop corn.

Fino alla fine.