Gli eroi in bianconero: Giancarlo BERCELLINO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
09.10.2020 10:29 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Giancarlo BERCELLINO
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Aveva 15 anni – scrive Emilio Fede su “Hurrà Juventus” dell’aprile 1965 – gli dissero che sarebbe divenuto un forte attaccante se avesse continuato ad allenarsi con serietà, senza grilli per la testa. Così fu. Esordì nel ruolo di centravanti contro la squadra ragazzi della Juventus. L’anno dono la società bianconera lo acquistò per un milione e mezzo. Giancarlo Bercellino, ragazzo senza grilli, aveva realizzato il grande sogno.
«Mi ricorderò sempre quel giorno. Battersi contro la Juventus, anche se si trattava dei giovani, era una vera emozione. La notte prima non aveva chiuso occhio, mi rigiravo nel letto in preda agli incubi. E in quel dormiveglia correvo come un forsennato su e giù per il campo, dribblavo mediani e terzini segnando stupendi goal. Invece non ho segnato, ma ce l’ho messa tutta per fare bella figura», racconta Bercellino.
Quella domenica di otto anni fa è viva nella sua memoria come fosse ieri. Una bella giornata di sole con tanta gente che affollava lo stadio del Borgosesia. L’allenatore della squadra locale era il papà di Bercellino, Teresio, un uomo che al di sopra degli affetti credeva, a ragione, nelle capacità del figlio.
Alla fine dell’incontro un dirigente avvicinò Giancarlo e gli disse «Sei forte, chissà che non ti debba trasferire a Torino molto presto». E per Giancarlo fu la seconda notte bianca. Invece passarono alcuni mesi e quando il ragazzo del Borgosesia aveva ormai dimenticato quel grande sogno, arrivò la notizia: «Giancarlo va alla Juventus». Gliela comunicò papà Teresio che aveva trattato il passaggio.
Lasciò i compagni a malincuore, perché in quella squadra aveva provato le prime emozioni, il batticuore della vigilia. Gattinara, la cittadina del vercellese dove Giancarlo Bercellino è nato il 10 ottobre del 1941, gli tributò una bella festa con brindisi e applausi.
Poi il ragazzo con la sua grande valigia salì sulla corriera per Torino, verso un avvenire che già allora si profilava splendido. «Avevo le lacrime agli occhi, mi sentivo troppo ragazzo per osare tanto. Cosa poteva succedere? Sarei stato in grado di rispondere alle esigenze di una squadra come la Juventus? Mille domande mi sono fatto durante quel viaggio fino a Torino. E molte di quelle domande restavano senza risposta», racconta Bercellino.
Cominciò nella capitale piemontese la sua nuova vita. Gli allenamenti, i nuovi amici, i compagni di squadra, le speranze. I tecnici lo seguivano con interesse, si informavano spesso di lui, sapevano che prima o poi sarebbe passato alla squadra A. Non era più il forte attaccante, scoprivano in lui le doti del difensore, sicuro, tenace nei duelli, potente nel tiro. «Faticavo all’inizio, ero quasi deluso di dover rinunciare ai compiti di centravanti, ma fu solo una questione di tempo. Ben presto mi resi conto che dietro, giocare in difesa, l’emozione è più forte, la responsabilità maggiore».
Quattro anni fa l’esordio in Serie A. Era la gara col Mantova. Come in quella vigilia di Borgosesia-Juventus, Giancarlo si trovò in preda agli incubi, come se quelle ore che precedevano l’incontro fossero le più lunghe della sua vita. Il ritiro con i compagni celebri, i discorsi sulla tattica, erano come un’eco ossessiva che gli martellava la testa mentre l’alba della domenica tardava ad arrivare.
«In campo di colpo è passato tutto. Alla paura è subentrata la volontà, il coraggio di lottare. Non sentivo neppure più il pubblico. Capivo, però che avevo superato il momento più terribile».
Negli spogliatoi i giornalisti si occuparono subito di lui, gli fecero tante domande e volevano sapere ogni cosa. Bercellino, l’esordiente, occupò buona parte della cronaca sportiva dei giornali del lunedì.
«Sicuro nel dribbling... formidabile nell’anticipo... saettante nei colpi di testa», scrissero.
Fino a oggi Giancarlo Bercellino ha disputato oltre 70 partite nella Juventus, senza contare gli incontri amichevoli e di coppa. La sua tecnica cresce di partita in partita. Assieme a Castano costituiscono un duo insuperabile. «Con Castano e Leoncini andiamo molto d’accordo. Anche con gli altri, ma loro sono gli amici con i quali divido spesso le ore libere, per andare al cinema o per fare una gita o una battuta di caccia», dice.
La caccia è il suo hobby. Un fucile a ripetizione, una doppietta, carnieri e cartucce sono fra gli oggetti preziosi nella camera che lo ospita in una pensione vicina allo stadio. È rimasto ragazzo, semplice, senza presunzioni. Legge “Topolino”, i romanzi della serie “Segretissimo”, perché lo distraggono, lo aiutano a non pensare specie durante la vigilia degli incontri più accesi. «Preferisco stare in pensione e non prendermi un alloggio, perché così mi sento legato al mio paese. Difatti quando ho una giornata libera vado a Gattinara a trovare i miei genitori e Marisa», dice.
Marisa, una graziosa ragazza di vent’anni, che Bercellino sposerà il prossimo anno. Si conoscono da ragazzi. Lei è di Gattinara, gli è stata vicina sempre, aiutandolo moralmente nei momenti più difficili. Qualche volta, la domenica, viene a Torino per vederlo giocare, poi si incontrano per passeggiare e parlano del loro domani. «Mi comprerò un negozio per avere di che vivere quando non potrò più giocare. Penso che sarà un negozio di articoli di caccia e pesca. Non ho grandi ambizioni, risparmio più che posso; so benissimo che questa professione non dura tutta la vita. A trent’anni siamo finiti, la gente ci dimentica», confessa con tono triste.
Mentre ci parla gli consegnano una lettera che viene da Potenza. La guarda felice «È di Silvino», dice aprendola in fretta. Da Potenza il fratello di Giancarlo gli scrive tutte le settimane. «Va davvero forte, diventerà quello che avrei dovuto diventare io, un centravanti», dice.
Silvino ha segnato 14 reti diventando l’idolo della città. Anche lui è del vivaio bianconero, un altro dei tanti giovani che nelle file della Juventus hanno imparato molte cose, importanti. «Spero che torni presto per giocare assieme. La Serie B gli servirà per farsi le ossa, ma il suo sogno è di stare a Torino e di giocare con la maglia bianconera», dice.
Lui, Giancarlo Cesare Bercellino, il sogno lo ha realizzato. E i suoi momenti più belli sono quelli della domenica calcistica, quando sente il fischio d’inizio e comincia la grande battaglia dei muscoli e della volontà. I suoi segreti tecnici? Dice di non averne. Ha segnato contro la Roma su azione, contro il Bologna e la Sampdoria su punizione, ma non si è esaltato. È tornato di corsa alla sua posizione di difensore, ligio agli ordini di mister HH2. «Lui sa come deve funzionare la squadra. Noi cerchiamo di fare del nostro meglio».
Una confessione di modestia che ci conferma ancora una volta la semplicità di questo forte giocatore del vivaio juventino.

Nella Juventus gioca dal 1961 al 1969 e mette insieme, tra campionato e Coppe, 203 partite e realizza 14 goal.
Tra i ricordi di questo ragazzone dal sorriso folgorante e genuino, c’è quello che coinvolge John Charles. Atene, autunno del 1961: la Juventus gioca in Coppa Campioni con il Panathinaikos. Castano è indisponibile, la difesa ha bisogno di una cerniera supplementare. Davanti ad Anzolin, di fianco a Bozzao, Bercellino e Caroli, e dietro a Mazzia, Rosa e Leoncini si piazza il gallese che nel Leeds ha già avuto esperienze difensive.
Quel giorno i greci ronzano nell’area bianconera come zanzare moleste. Se non che il muro Charles-Bercellino si alza e non c’è gloria per gli insetti in maglia verde. La folla straripa e applaude, uno spettacolo di colore e folklore. Ed è uno spettacolo vedere quelle due torri frantumare le palle alte con zuccate impietose. I terzini sono al sicuro e possono occuparsi con serenità delle ali e Anzolin può sorridere disteso. Prende un solo goal ed è 1-1. Mora ha firmato il goal del vantaggio bianconero, sufficiente ad accedere al turno in Coppa Campioni.
Dopo la maglia bianconera, indossa quelle del Brescia e della Lazio. Poi, affronta il mestiere non facile dell’allenatore occupandosi in prevalenza di categorie interregionali, senza successo.