Sotto la lente - Palazzo o Palazzi?

09.10.2015 01:00 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Palazzo o Palazzi?
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© foto di Federico Gaetano

Le parole di Andrea Agnelli sullo sfascio del calcio italiano, afferma una velina uscita dal Palazzo di Vetro, hanno toccato i nervi scoperti e stuzzicato gli appetiti del presidente Tavecchio, che avrebbe (ma forse il condizionale è superfluo, tenendo conto di quanto le talpe del Palazzo di vetro rosa siano pappa e ciccia con gli ambienti del potere) dato mandato ai legali della Figc di studiare come far causa per danni.

Certi rapporti non rappresentano certo una novità, accadeva anche nel pre-Calciopoli, quando da un’intercettazione proprio tra Ruggiero Palombo e il designatore Bergamo sappiamo dei colloqui del gazzettaro con Carraro nonché dei suoi tentativi di influire sulla composizione delle griglie, con una modalità che, singolarmente, riflette quella adottata da Giacinto Facchetti: blindare le griglie in modo tale che il sorteggio sia ‘obbligato’, ossia nella realtà non sia più tale, sia solo una sceneggiata.

Fatto questo che mai si è potuto addebitare a Luciano Moggi, che si limitava a scambi di pareri  senza mai il minimo tentativo di forzatura o di richiesta. Eppure dalla Giustizia penale e sportiva è uscito bollato come promotore di un’associazione a delinquere, definita addirittura iperbolicamente come ‘assimilabile alla mafia e alla P2’: una cupola che in realtà sappiamo non esisteva, visto che tutti parlavano con tutti, e che “il piaccia o non piaccia” di Narducci era in realtà un bluff scientifico, costruito su una scelta delle telefonate che avevano puntato dritto sull’obiettivo ‘Moggi’ ed escludevano, per esempio, quelle assai ben più gravi dell’Inter.

E quando il pool messo in piedi da Luciano Moggi (che si era persino dovuto far carico di comperare le intercettazioni) e capitanato da Nicola Penta aveva disseppellito i gravi peccati nerazzurri, la Figc aveva dovuto prenderne atto; ne aveva però neutralizzato gli effetti nefasti  con eccezionale tempismo: appena  i rintocchi dell’orologio del circolo della caccia avevano suonato l’ora della prescrizione, il procuratore Stefano Palazzi aveva prodotto la sua relazione in cui stigmatizzava le colpe dei salvati, calcando particolarmente la mano, in base a quello che si evinceva dalle telefonate ‘sfuggite’, sull’Inter, accusata di illecito sportivo; cosa che, lo ripeteremo sino alla nausea, per la Juventus NON era mai accaduta, al punto che, per spedirla in B, si era dovuto ricorrere ad ‘inventarsi’ letteralmente ed esplicitamente una nuova forma di peccato, l’illecito strutturato, derivante dalla somma di più art.1 (slealtà sportiva).

La sentenza della Cassazione non apporta fieno fresco all’ipotesi di revisione, ma è anche vero che quanto portato in dibattimento dalla difesa di Luciano Moggi ha stravolto il quadro che avevano disegnato gli inquisitori del circolo della caccia, il quadro di una cupola fondata sull’unicità dei rapporti con i designatori: la stessa ripresa da Auricchio (che per tenerla in piedi ha ‘dovuto’ scartare le telefonate scottanti ancorché beffeggiate), poi dal ‘piaccia o non piaccia’ di Narducci e infine dagli ermellini (sarà solo un caso che l’estensore delle motivazioni sia tale Grillo, che nel 2005 era membro della Commissione Disciplinare della LND, allora in pugno a Tavecchio, e poi aduso alla frequentazione di con tutto il gotha del cucuzzaro).

E se restano le sentenze, restano anche gli elementi nuovi (rispetto a quelli presi in esame dalla giustizia sportiva) dal 2006, sdoganati dall’essere stati parte, seppur negletta, del procedimento penale di Calcopoli e soprattutto del recente processo per diffamazione intentato da Gianfelice Facchetti contro Luciano Moggi, nel cui ambito il giudice Oscar Magi ha sentenziato che “le intercettazioni telefoniche prodotte” dalla difesa di Moggi e “recuperate dal processo di Napoli” contengono “con certezza una buona dose di veridicità” e danno prova del "rapporto 'preferenziale' che il Facchetti manteneva con i designatori arbitrali dell'epoca”: niente cupola moggiana dunque.

Ed ecco dunque che il panorama si rovescia:  non è certo la Juve ad aver danneggiato la Figc (non  dimentichiamoci che negli stessi giorni in cui il circolo della caccia si apprestava a distruggere la Juve i giocatori bianconeri portavano l’Italia sul tetto del mondo) perché la responsabile della distruzione dell’immagine della Figc è della Figc stessa, un ambiente popolato di personaggi che, proprio a partire dai vertici, non si son fatti mancare niente: dal poltronissimo Carraro che abbiamo visto intervenire pesantemente non sulle griglie ma, tramite il designatore, sul direttore di gara, all’ineffabile Abete Giancarlo ‘non dico niente ma parlo’, al bonario anzi no temerario Tavecchio degli Optì Pobà ventriloquato, al pari di Beretta, dal tentacolare dominus alla vaccinara Lotito. A squalificare le condanne della giustizia sportiva su Calciopoli fu proprio uno dei cinque membri della Corte Federale, il professor Mario Serio (direttore del dipartimento di diritto privato alla facoltà di Giurisprudenza di Palermo) che, dopo la sentenza, si dimise bollandola come “un’aberrante sentenza adottata sull’onda del sentimento popolare”, preceduto, peraltro, dall’avvocato Giuseppe Benedetto che già il 15 luglio 2006, all’indomani della sentenza di primo grado, aveva rassegnato le dimissioni da giudice sportivo del settore giovanile; avrebbe poi dichiarato: “Da vecchio avvocato penalista capii che c'era qualcosa che non andava. Era evidente che quello non poteva essere un processo e dunque non poteva esserci un giudizio. Lo capii dal metodo, dai tempi, dalle nomine, è stata una giustizia tribale”.
 Fu una pseudogiustizia che, pur di fare giustizia sommaria ignorò quello che Francesco Saverio Borrelli, l’ex capo del pool di Mani Pulite chiamato a guidare l’Ufficio indagini al posto del dimissionario Italo Pappa, scrisse il 19 giugno del 2006 nella relazione che consegnò al procuratore Stefano Palazzi: “Resta da ripetere che le indagini dovranno proseguire… I plurimi filoni investigativi che sin da ora emergono e che vieppiù emergeranno nel prosieguo non permettono di ritenere conclusa l’opera di individuazione delle responsabilità eventualmente attribuibili ad altre società e ad altre persone fisiche”.  

Dunque Palazzi ‘non poteva non sapere’, tanto per usare una dicitura che questa stessa sgangherata giustizia domestica usa quando le fa comodo: e questa indagine monca tale è rimasta  anche a causa dell’ignavia di Palazzi che, una volta avuta notizia delle nuove intercettazioni, avrebbe dovuto agire per lo meno con la stessa solerzia usata nel 2006; invece le ha tenute nel cassetto sino ad intervenuta prescrizione; e questa disparità di trattamento è quella che lamenta la Juventus.

Se la giustizia non fosse stata sommaria, la cupola, crollata la sua architrave fondamentale, quella della esclusività dei rapporti, si sarebbe schiantata al suolo prima ancora di giungere a compimento.  Nessun art. 6 (al netto di invenzioni), nessuna serie B, che semmai sarebbe toccata (dopo regolare processo, s’intende) a chi l’art. 6 l’aveva sul groppone, ovvero all’Inter.

Quindi si legittima la richiesta danni della Juve, quella dei famosi 443 mln di euro: a questo è spuntata sui quotidiani una singolare, direi addirittura stramba se non si trattasse si un legale della Federazione, dell’avv. Medugno, che sostiene che il danno di immagine deriverebbe anche dalla causa per danni intentata dalla Juve, fatto che avrebbe anche costretto la Figc a creare una riserva straordinaria in bilancio, cosa che peraltro dai bilanci sinora pubblicati non risulta. Roba mai vista. Invece di dimostrare di non aver causato danni (ma  le intercettazioni ‘sfuggite’ e  le testimonianze rilasciate a Napoli  e a Milano sono macigni pesantissimi), la Figc fa l’offesa. Senza contare che, ancora una volta, si bada solo a correr dietro ai (molto presunti) peccati della Juve (parafrasando la dott. Casoria) e non sfiora nemmeno la mente dell’esimio avvocato l’idea che marchiati (poi anch’essi prescritti) in Calciopoli sono stati anche i dirigenti di altre società. Ma  nemmeno loro, a quanto pare, interessano più: il piatto forte è solo e sempre la Juve.

Forse perché le parole di Andrea Agnelli, quelle che tanto hanno indispettito  il ragioniere brianzolo hanno colto nel segno:  il calcio italiano è allo sfascio perché chi lo governa è impegnato solo ad alimentare le proprie posizioni di potere a 360°: i dinosauri del 2006, fattisi camaleonti, “hanno saputo con scaltrezza ‘generare’ il consenso di un sistema autoreferenziale”, con le solite dinamiche figlie di un mercanteggiare su posizione. Con questo andazzo  gli anni di Tavecchio scorreranno nello stesso solco di quelli degli ultimi due lustri: le riforme verranno solo chiacchierate, ma poi istantaneamente bloccate perché andranno scalfire il ‘particulare’ dei gattopardi e della loro corte dei miracoli.

Il calcio italiano è morto nel 2006 e sono in troppi ad avere interessi che non risorga, che resti un vuoto simulacro.