Gli eroi in bianconero: Domenico MAGGIORA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
13.01.2017 10:30 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Domenico MAGGIORA
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Domenico Maggiora – si legge su “Hurrà Juventus” del gennaio 2005 – ha sempre e soltanto guidato le giovanili bianconere dal 1988 in avanti, quando ha portato a termine una prestigiosa carriera che lo ha visto prima esordire (e segnare) in Coppa Italia con la Juventus, poi a Varese, quindi per sei stagioni a Roma (dove ha ripetutamente indossato la fascia di capitano) e, infine, con le maglie di Sampdoria, Cagliari e Catania. Il cuore, però, è sempre rimasto a Torino.
«La Juve coincide praticamente con tutta la mia vita dai quattordici anni in avanti: è stata una scuola, una guida, una famiglia. Se sono diventato calciatore prima e allenatore poi, lo devo soprattutto ai colori bianconeri, il massimo in Italia per competenza e organizzazione: qui, dove gli obiettivi sono di regola estremamente stimolanti, si arriva sempre prima degli altri e si semplificano tutti i problemi. Detta così, sembra la solita frase di circostanza. Invece bisogna viverci dentro, per rendersene pienamente conto: di mio, cerco di trasmettere ai ragazzi quanto mi è stato insegnato in tutti questi anni».
Non deve essere stato facile, per uno come Maggiora, andare a giocare altrove e ritrovarsi la Juventus come avversaria. «Grazie a mio zio, che da piccolo mi portava in curva, mi considero innanzitutto un tifoso che ha realizzato il sogno di giocare in bianconero a livello giovanile. Quindi era naturale che, durante i due anni di prestito a Varese, cullassi il desiderio di tornarci: però, una volta che le cose hanno preso una piega diversa, ho fatto come nulla fosse. Così, quando dovevo affrontare la Juve, per me cambiava poco: da giocatore non ho mai avuto bisogno di stimoli particolari per dare il massimo. Comunque mi faceva piacere vincere, perché era ed è sempre la squadra da battere, la grande rivale che raramente hai la fortuna di mettere sotto. E quando non me la ritrovavo di fronte, una volta rientrato nello spogliatoio la prima cosa che facevo era quella di domandare che risultato avesse fatto».