Sconcerti: "Se la Juve perde a San Siro esce dai giochi. Andrea Agnelli dipendente della Juventus"

14.10.2015 23:45 di  Redazione TuttoJuve  Twitter:    vedi letture
Sconcerti: "Se la Juve perde a San Siro esce dai giochi. Andrea Agnelli dipendente della Juventus"

Mario Sconcerti ha fatto il punto sul campionato di Serie A ai microfoni di Pianetanapoli.it. Ecco le sue considerazioni:

Il campionato riparte dopo la seconda sosta per le Nazionali. Si sente parlare di “scudetto libero”, di un campionato senza padroni. Lei crede che lo status di incertezza regnerà sovrano durante tutto il corso della stagione o da queste prime sette giornate individua le due/tre pretendenti che alla fine si contenderanno il titolo?  

“Direi che rispetto alle primissime giornate qualcosa sia già cambiato, adesso vediamo grosse squadre ad occupare le posizioni che contano; parlo della Lazio, della Roma, della Fiorentina, dell’Inter, del Napoli che è in netta crescita. Le squadre di seconda fascia, quelle che avevano creato la sorpresa iniziale, si trovano ora in una posizione diversa; è quindi un campionato che si assestando, ma nonostante ciò resta apertissimo. Ci siamo abituati ad avere la Juventus come punto di riferimento, che quest’anno sta mancando, e ci sono tante squadre che hanno cambiato; questo ha dato libertà di progetto a tutte le altre. Penso che sia una situazione destinata  a durare piuttosto a lungo, con gli scenari possibili che sono due : o il ritorno della Juventus, che è molto complesso, anche perché la stessa Juventus ha cambiato molto, o l’affermarsi definitivo delle due squadre che mi sembrano più complete, ossia Napoli e Roma”.

Proprio a questo proposito, il calcio italiano vive una stagione particolare dal punto di vista delle sue gerarchie. La Juventus è attardata e sembra essersi spogliata delle vesti di schiacciasassi, l’Inter è in alto ma non ha mai dato l’impressione di brillare, il Milan è alla ricerca di una identità mai realmente trovata. E’ il triangolo del potere calcistico settentrionale che, nonostante gli enormi investimenti fatti questa estate, cede la scena a realtà di grande tradizione ma storicamente poco vincenti come Napoli, Roma e Fiorentina?

“Questo accade ormai da molto tempo. La diversità del nostro campionato nasce proprio dalla crisi di Milano, ciò si verifica già da 4-5 anni, che nel calcio sono una generazione. L’Inter negli ultimi anni è arrivata nona, settima, quinta e ottava, il Milan l’anno scorso ha chiuso al decimo posto, e dopo lo scudetto di quattro anni fa non ha più avuto la capacità di dire la sua per le posizioni di vertice. E’ questa la diversità del nostro calcio, e che ritengo ci abbia anche impoverito, perché storicamente, dal dopoguerra, Inter e Milan erano le banche del calcio italiano, cioè mettevano soldi nel mercato per acquistare i migliori. Questo non succede più, anche perché è cambiato proprio il mercato; non a caso l’Inter ha cambiato presidente, il Milan sta cambiando società. Il discorso tecnico è quasi sempre la conseguenza del discorso economico, se c’è una reale prospettiva di capovolgimento della forza economica io credo che si possa soltanto ricercare nei diritti televisivi; l’attuale differenza delle cifre che Juventus, Inter e Milan percepiscono dai diritti tv è troppo ampia rispetto ad altre società, questo crea sempre un disavanzo iniziale comunque difficile da coprire”.

Napoli-Fiorentina e Inter-Juventus, l’8^ giornata propone due sfide di uguale importanza o una ha, per quanto visto sul campo fin’ora, più valore dell’altra?

“Assolutamente no, sono due partite di fondamentale importanza, entrambe. Se la Juventus perde a San Siro esce dai giochi, se la Fiorentina viola il San Paolo spedirebbe gli azzurri a -9 dalla vetta”.

Passando a Napoli e Fiorentina, come giudica i primi tre mesi e mezzo di Sarri all’ombra del Vesuvio?

“Sono stati molto diversi, guardando il Napoli delle ultime 4-5 partite è una gran bella squadra, come lo è stata negli anni scorsi; non dimentichiamoci che gli ultimi tre piazzamenti sono stati un secondo, un terzo e un quinto posto. E’ una realtà conclamata, e quando per tanti anni arrivi vicino alla vetta raggiungerla sarebbe una naturale conseguenza. Sarri, poi, non lo conosciamo adesso; il suo problema era legato alla fase di ambientamento in una realtà come è quella di Napoli, adesso sembra che questo sia avvenuto, e in campo si vede. La squadra è più equilibrata, gioca bene e sta assumendo lo status di nuovo riferimento del calcio italiano; quel ruolo che prima aveva la Juventus quest’anno appartiene, ribadisco, a Napoli e Roma”.

Ad inizio campionato inseriva la Fiorentina in una fascia di metà classifica, e il 5 ottobre scorso ai microfoni di Radio Radio ha dichiarato di non credere allo scudetto nonostante la vetta della classifica. Alla luce anche delle prestazioni offerte dagli uomini di Paulo Sousa, come mai cotanto scetticismo attorno alla Viola?

“Io non sono scettico, sono realista. Questa è una squadra che ha meno qualità tecnica di molte altre; poi ha un grande piacere di giocare insieme, questo si. Dobbiamo però andare per ordine, e dire innanzitutto che ci sono molti elementi che stanno crescendo e di cui non tutti conoscevano le qualità, primo fra tutti Kalinic, ma gli stessi Vecino e Badelj. E poi rispetto alle prime giornate Sousa ha cambiato molto : Borja Valero non gioca più in mediana, i centrocampisti sono diventati quattro, non più due; è entrato Błaszczykowski che nelle prime giornate non c’era, così come Astori, lo stesso Roncaglia non gioca più stopper perché non poteva farlo ad alti livelli. I cambiamenti sono evidenti, così come nel Napoli, ed entrambe hanno ricavato dei vantaggi da questi”.

Lei è stato amministratore delegato della Fiorentina alla fine degli anni 2000 sotto la gestione Cecchi Gori, per poi lasciare nell’estate del 2001 causa divergenze con la proprietà. Al Napoli di De Laurentiis viene spesso imputata la mancanza di un quadro dirigenziale di spessore, pensa che questo possa essere un fattore determinante per la crescita e la stabilità di un club a determinati livelli?

“Io credo che questo Napoli sia in tutto e per tutto la società di De Laurentiis. Il presidente in realtà è un manager, puro, che a questo abbina il vantaggio di essere il proprietario del club; quando c’è una figura di questo genere, lo staff dirigenziale deve essere cucito attorno ad essa. Può sembrare che tale staff sia scarno o manchi totalmente, certo, ma il Napoli è una sorta di monarchia assoluta; Gianni Agnelli, ad esempio, non andava in società la mattina alle 8, potevano passare anche mesi senza che lo si vedesse, mentre Andrea Agnelli è uno che  timbra il cartellino, è un dipendente della Juventus. Il Napoli, invece, ha un re, e deve sfruttare i vantaggi che questo comporta”.