L'IMBOSCATA - Juventus. quella maglia che non pesa più. Occasione derby, fuori gli attributi. Allegri realista o non vuole soffrire? Plusvalenze, il colossale errore: ora la società faccia il diavolo a quattro.

Andrea Bosco ha lavorato al “Guerin Sportivo“, alla “Gazzetta dello Sport“, al “Corriere d'Informazione”, ai Periodici Rizzoli, al “Giornale“, alla Rai e al Corriere della Sera.
06.10.2023 01:40 di  Andrea Bosco   vedi letture
L'IMBOSCATA - Juventus. quella maglia che non pesa più. Occasione derby, fuori gli attributi. Allegri realista o non vuole soffrire? Plusvalenze, il colossale errore: ora la società faccia il diavolo a quattro.
© foto di Andrea Bosco

di Andrea Bosco 

Spiegava  Remy de Gourmont , poeta, scrittore, romanziere, giornalista, critico d'arte (insomma uno con qualche talento) che  “L'imbecille non si annoia mai : si contempla“.   Ovviamente io non penso che il professor Vincenzo Arte, autore  del manifesto teorico della Scuola della Responsabilità (che non è il Metodo Montessori e neppure l'idea di scuola di don Milani, ma piuttosto una evoluzione del metodo educativo introdotto negli Usa negli anni Sessanta dal dottor Spock (che non aveva le orecchie a punta, non era un vulcaniano ma solo un pediatra che auspicava che i genitori evitassero di punire  i bambini ) sia  un imbecille . Mai mi permetterei di giudicare un docente che immagina che  i ragazzi possano crescere  “senza  voti“. Niente voti e neppure giudizi , durante l'anno. Solo un voto finale. E “durante“: maggiore cura nei rapporti personali, pochi compiti a casa, minore stress, aumento delle “ emozioni positive “ .

Non sono invidioso. A sedici anni lo sarei  certamente stato . Oggi, ringrazio la scuola che non mi ha  mai  fatto sconti. E una famiglia che me ne faceva anche meno. Una scuola che mi ha insegnato la competitività. Basilare per fare (come ho fatto) sport , sia pure ad un modesto livello. E soprattutto per farmi strada   nella professione e nella vita  . Intendiamoci, non ero uno stinco di santo. In prima liceo ho  battuto il record  ( ogni tempo ) del mio istituto con la bellezza di 22 note in una stagione. Ne prendevo di incredibili.  Mai dimenticata quella che recitava: “Bosco entra in classe dalla finestra“. Ero in ritardo e non sapevo come fare .  

Quindi considero  il professor Arte come uno di quegli idealisti che presumono di poter cambiare il mondo. E fermamente ci credono. In un'epoca  “free", di sesso senza genere, di storia con le teste mozzate delle statue, con le parole con la schwa (che poi è quel crimine letterario che prevede asterischi ***** invece che  vocali per le finali  di parola),  con la pretesa di un reddito (sine die) per chi non lavora, (ho detto “non lavora” , non “non può lavorare“ )  ecco la scuola  senza voti.  Che poi, in soldoni,  rappresenta una vita dove si evita di giudicare e di essere giudicati. 

Fotografo come fossi Capa . Anzi no: Capa, no. Visto che il celebre “miliziano morente“ immortalato a Cordoba nel 1936, forse non era morente. Ma questo è il bello di certi eventi: hanno più di una verità.  Come fa dire Oscar Wilde al suo immortale personaggio Dorian Grey: “Parlatene bene, parlatene male: basta che ne parliate“. Così la pensava anche il Drake di Maranello, Enzo Ferrari. Egualmente il “Principe“ dell'Olimpia Basket Milano, Cesare Rubini  .

Vi starete chiedendo  se sono diventato matto. Cosa c'entra la Juventus con tutto questo?  Molto, c'entra. Da alcune stagioni, giocare con quella maglia non è più un peso (come dovrebbe, per il carico di responsabilità che quella maglia comporta), ma soprattutto non è più un privilegio. Vedi giocare la Juventus e inevitabilmente maledici Max Allegri. Ma poi visto che qualche calcio al pallone lo hai dato e in qualche spogliatoio sei stato, sai che sono sempre quelli che vanno in campo a fare la differenza. Almeno dovrebbero. Ma non è così. E non solo per inadeguatezza tecnica.

Ci sta  di essere più scarsi  dell'avversario. Se un Fagioli o un Miretti dovessero mai incrociare un Bellingham verrebbero asfaltati. Ma se il talentuoso centrocampista del Real Madrid (che avrebbe potuto vestire la maglia della Juventus)  venisse catapultato negli anni Settanta  a vedersela con Beppe Furino, passerebbe una serata di  sofferenza. Per rivedere la Juventus  (o almeno qualche di simile) serve che la Juventus ritrovi la  propria identità. La propria ragione di esistere: quella di essere speciale. E non perché  speciale, significhi essere la più forte. Speciale significa essere  diversa. Nella proprietà, nella dirigenza, nell'allenatore, nei giocatori. Speciale significa magari rinunciare a qualche copeco evitando di abiurare alla tradizione.

La Juventus  è diversa. Non ha il nome della città dove è  stata fondata su una panchina da dei ginnasiali. Juventus significa: giovinezza. E la Juventus per oltre cento anni lo è stata. Oggi ha  cicatrici e rughe. Ma non sarà qualche puntura di botulino a rimetterla in forma. La Juventus tornerà ad essere la Juventus solo se tornerà ad avere la capacità di soffrire.  Se si farà dare i voti. Anzi, se li pretenderà. Se la  smetterà di patteggiare. Meglio assumersi le proprie responsabilità. Sia che ti chiami Juventus, sia che ti chiami Pogba. Basta ascoltare i consigli di chi ipotizza “arbitrati“. Se hai sbagliato devi pagare. Se non hai sbagliato devi difenderti fino alla morte. Il calcio è una faccenda strana. Ma  non è più come un tempo  quando un gol e una vittoria erano un lavacro in grado di ripulire qualsiasi sporcizia. Se la Juventus ritiene di avere bene operato (come del resto ha scritto nei documenti del patteggiamento) ha fatto un colossale errore a  farsi mettere la croce addosso. Se non ha bene operato ha pagato persino poco con quei dieci punti di penalizzazione  che l'hanno sbattuta fuori dalla Champion's. Ma se ha ben operato, faccia il diavolo a quattro (evitando di farlo fare solo ai giornalisti) per l'inettitudine delle molte procure incapaci di valutare le plusvalenze altrui. Una giustizia che punisce un solo soggetto non è una giustizia: è un arbitrio. In ogni caso eviti la Juventus invenzioni  alla Machiavelli:  non esiste “ragion di stato al mondo“ che  faccia accollare ad un innocente un reato che non ha commesso. Altrimenti si finisce dentro ad un romanzo di Kafka. E per come sono andate le cose dopo Calciopoli, i tifosi della Juventus, gli scritti dello scrittore boemo li conoscono tutti: riga per riga. 

Tiri fuori la Juventus i colleones. Il derby è l'occasione giusta per farlo. Il Toro, anche quando (e ripetutamente) ha perso la stracittadina, gli attributi li ha sempre esibiti. Più debole magari, ma non inferiore. La Juventus deve convincersi  che i bei voti si ottengono solo studiando, preparandosi, soffrendo sulle pagine. In questo caso sul campo di allenamento. Se ti alleni bene, quasi sempre giochi bene alla domenica . Se ti alleni male, se speri nell' allenamento della “Responsabilità“, alla domenica farai schifo. E perderai. 

Allegri con il suo quarto posto da conquistare, ripetuto fino alla noia è realista o non vuole soffrire? Perché a sentire  Chiesa le ambizioni  dei giocatori sembrano diverse rispetto a quelle dell'allenatore. Illusioni di calciatori? “Chi non rischia, non rosica“ recita il proverbio. Osare significa anche soffrire . Con un sei in ogni materia  alla fine ti promuovono. Ma sai l'ebbrezza di prendere un otto, per un buon compito o una buona interrogazione? Una volta andava così. Oggi metà degli studenti risultano depressi, per ansia da prestazione. Come a dire che quando la  “prestazione“ non sarà sui banchi di scuola, saranno  destinati ad andare “in bianco“? 

Chi oggi va a scuola non sa quanto, una volta,  fosse dura. Alla maturità si portavano gli ultimi tre anni di “tutte“ le materie . Io abitavo al Lido di Venezia. E per andare a frequentare all'università di Padova, tra autobus, vaporetto, treno e ancora autobus,  ci mettevo ogni volta due ore. Le tasse  me le pagavo con le collaborazioni che avevo cominciato a fare  scrivendo per i giornali e  con le supplenze alle medie e al liceo. Benché la mia famiglia fosse benestante, mi padre pretendeva mi conquistassi la laurea, lavorando. Per cronaca : il caro “affitti“, c'era già allora. E l'università non aveva una mensa, non c'erano i piani di studio, c'erano   due sole  sessioni d'esame all'anno, non c'erano rappresentati degli studenti nel consiglio di facoltà. L'ateneo non ti concedeva aule per dibattiti, seminari o peggio feste. E  c'era la goliardia. C'erano le matricole vessate. Dai fuori corso che avevano anche sei - sette bolli sul tesserino. Abbiamo conquistato tutto : occupando ripetutamente l'università e (a me è successo due volte) finendo anche  in cella, manganellati dai celerini 

 Chi gioca a calcio oggi, non sa cosa fossero quelle  scarpe con i tacchetti di cuoio che ti bucavano le suole  e ti facevano sanguinare le piante dei piedi. Non sa cosa fossero quei palloni con le cuciture che quando pioveva diventavano macigni se li colpivi di testa. Non sa quanto fosse faticoso giocare nel fango. Non sa quanto duri fossero gli interventi e quanto tollerante fosse l'arbitro: uno solo, senza assistenti, senza var, senza tecnologia. E se ti facevi male, visto che non c'era all'epoca  la possibilità di fare sostituzioni, ti facevano una iniezione di novocaina e ti spedivano all'ala sinistra. Dove capitava  tu realizzassi, qualche volta, anche il “gol dello zoppo“.   E' vero che allora si andava piano sul campo . Ma in quella stagione c'era anche gente in grado di far letteralmente scomparire il pallone. E se ti capitava  uno così, tu il pallone non lo vedevi mai. Perché  persino cercare di “picchiarli“ era un problema . 

Avevo un professore di matematica al liceo  che entrava in classe e diceva: “Bosco vuole cinque o quattro?“ . Io protestavo.  E lui : “E' preparato?“. Io dicevo di sì. E allora lui sulla lavagna scriveva una equazione di tre righe e mi chiedeva: “E' risolvibile?“.  Io non lo sapevo se la maledetta equazione fosse o meno risolvibile. Prendevo quattro e tornavo al banco. Ma alla fine dell'anno (dopo aver sgobbato per molte notti sui libri di algebra e trigonometria)   alla maturità sono stato promosso.

Avevo provato il dolore di “non sapere“ . E quello di non essere “all'altezza“.  Che era cosa più dolorosa che perdere sul campo da calcio un tackle .  

In quella stagione  avevo un allenatore che a fine gara dopo avermi “conteggiato“ i passaggi sbagliati con il piede  mancino , mi intimava: “Un'ora di muro con il sinistro“ . Beh: alla fine , anche il mio  piede debole è migliorato. Mai come il destro, che pure non era eccezionale. Ma migliorato, sì. Maledendo e soffrendo.  Saranno  in grado di capirlo alla Juventus?