Il rapporto fra principio di responsabilità e il calcio italiano

08.10.2013 19:30 di  Nicola Negro  Twitter:    vedi letture
Il rapporto fra principio di responsabilità e il calcio italiano
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© foto di Alberto Fornasari

Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, si è arrabbiato e non poco. La chiusura dello stadio decisa dal giudice sportivo in conseguenza delle invettive di qualche centinaio di tifosi durante Juventus-Milan è indubbiamente qualcosa di abnorme. Certo è che risulta ardito, da parte del dirigente milanista, far finta che il razzismo non abbia nulla a che fare con la “discriminazione territoriale”, quando in Italia è addirittura prosperato un movimento politico che negli anni Ottanta radicava la propria identità nel razzismo contro “i terroni”. In questa sede però non ci interessano le riflessioni a sfondo socio-politico né tantomeno ci interessa approfondire come sia possibile che proprio il Milan si ritrovi in questa paradossale situazione. Proprio la società rossonera è stata in prima linea quando si è trattato di soffiare sul fuoco della legittima battaglia al razzismo, tanto da creare un clima tale da indurre un proprio giocatore al più grottesco dei comportamenti quando, durante una partita di un triangolare estivo (il Trofeo TIM, con Sassuolo e Juventus), si è allontanato dal campo in segno di protesta prendendo a pretesto “il razzismo”, quando invece uno sparuto gruppetto di spettatori lo prendeva in giro dandogli del “nasone”. Ci interessa invece focalizzare l’attenzione come a causa di una minoranza siano costrette a pagare società impotenti e la stragrande maggioranza dei tifosi che si recano allo stadio con l’intento di seguire la partita senza sentire il bisogno di lanciare una guerra alle istituzioni. Perché di guerra si parla anche se fortunatamente le armi usate sono solo slogan e striscioni. Ma il patriots to arms lanciato al mondo ultras dalla curva sud del Milan attraverso l’ultimo comunicato a cui ha fatto seguito il comunicato della curva nord dell'Inter "per arrivare ad una domenica di totale chiusura degli stadi" è solo l’estrema conseguenza di come nel calcio italiano non sia possibile affermare il “principio di responsabilità” a cominciare proprio dalle istituzioni.

Perché è troppo comodo per la Lega continuare a incassare soldi dalle società in virtù del controverso principio della responsabilità oggettiva a causa delle intemperanze delle tifoserie. Tanto per comprendere la portata di certe somme, nel corso dell'ultima stagione (2012/13) si va dai € 307.000 versati dalla Juventus, la società più colpita dalle sanzioni,  fino ai € 143.000 versati dall'Inter, ultima di questa ben poco onorevole classifica. Non si capisce come un territorio che viene controllato da una moltitudine di telecamere, come può esserlo uno stadio, possa continuare a essere una zona franca in cui non si riesce (o non si vuole) individuare quei tifosi responsabili di condotte da sanzionare con Daspo o eventualmente da attenzionare tramite un’azione della giustizia ordinaria. Per tacere poi dell'inutilità della tessera del tifoso che si è rivelata anzi dannosa per tutto il movimento costituendo, alla stregua dei fatti, solo un deterrente per complicare la vita ai tifosi e svuotare gli stadi. Visti i mezzi a disposizione sarebbe forse troppo semplice intervenire direttamente sui responsabili come avviene in altri paesi, ma forse la controindicazione sta proprio nel fatto che la Lega, cercando di applicare il principio di responsabilità individuale con il supporto delle istituzioni, non ingrasserebbe lucrando sul principio della responsabilità oggettiva.

Se questa è la premessa non ci si può poi meravigliare se gruppi di tifosi organizzati non si sentono minimamente consapevoli del danno economico che i loro comportamenti arrecano ogni anno alle rispettive società e addirittura si mettono nelle condizioni di intraprendere “una battaglia di libertà” coalizzandosi fra loro per prendere di mira le istituzioni. “L’arma per sconfiggere il nemico ci viene fornita dal nemico stesso” recita il comunicato della curva sud milanista, a far intendere che 1, 10, 100 curve potrebbero replicare certi cori provocando la chiusura di curve, poi di interi stadi in una escalation senza fine che minaccia di gambizzare il calcio italiano. Tutto questo è possibile perché nel calcio nostrano, come in molti altri settori della vita pubblica italiana, sembra non esistere il principio di responsabilità individuale. Come si può pretendere che i gruppi ultras comprendano appieno la portata e siano responsabili delle proprie azioni, se poi sono le stesse istituzioni sportive che sfuggono alla doverosa applicazione di questo elementare principio di civiltà?