Sotto la lente - Calciopoli, un breviario per la Cassazione

05.12.2014 00:59 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente -  Calciopoli, un breviario per la Cassazione
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Ormai tutta la vicenda di Calciopoli è proiettata verso la Cassazione e, a un mese e mezzo dal traguardo, è opportuno fare un breve punto della storiaccia, riportata alle sue dimensioni reali e depurata delle scorie lasciate da indagini compiute solo correndo dietro ai misfatti (presunti) di Moggi: un'indagine condotta a senso unico, zeppa di dimenticanze, di cose sfuggite e di altre occultate, troppo perché si possa pensare a  semplici negligenze. Perché ad essere malpensanti si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca. Che sia questo il caso?

Senza addentrarci nei particolari perché c'è da riempirne un'enciclopedia (dell'orrore) e chi dovrà giudicare ha ormai la possibilità di reperire autonomamente la documentazione a supporto, cominciamo dall'accusa più grave, quella dell'associazione a delinquere, basata sull'esclusività dei rapporti tra i dirigenti bianconeri e i designatori: esclusività inesistente perché i designatori, come ribadito anche lunedì da Pairetto (nel processo che vede di fronte a Milano Moggi e Gianfelice Facchetti), parlavano con tutti e le telefonate dissepolte dalla paziente e abile opera del pool di Penta, una volta ascoltate, hanno fatto emergere comportamenti ben più gravi (pur se limitando la questione al  piano sportivo) di quelli addebitati, spesso con malizia, a Luciano Moggi.
Del resto questa associazione e la relativa cupola che interesse avrebbero avuto ad esistere se non hanno alterato il campionato 2004-05? Campionato che le sentenze penali definiscono regolare (mentre quello del 2005-2006, quello dello scudetto scippato, non è mai stato nemmeno sotto inchiesta); i risultati delle partite non sono mai stati falsati e le frodi contestate sono rimaste ipotesi puramente astratte; del resto le stesse sentenze sportive parlavano, in modo assolutamente grottesco, della possibilità di alterare la classifica prescindendo dall'alterazione dello svolgimento o del risultato delle singole gare, un'affermazione che da sola basta a giustificare la definizione di aborto giuridico per la vicenda di Calciopoli. Non ci si può nemmeno appigliare ad un interesse economico, non è girato un euro né alcuno è stato corrotto. Gli stessi arbitri, che entravano e uscivano dalla cupola quasi fosse andare a fare un giro in giostra, non solo non hanno in concreto agevolato le squadre coinvolte, ma nemmeno hanno avuto vantaggi in termini di carriera (anzi, se non avessero pensato ai nerazzurri che stavano dietro avrebbero rischiato di vanificare gli sforzi fatti per arrivare dove era arrivati, è il caso di Rodomonti). Tanto meno sono stati comprati (ci pensava l'intelligence di Pirelli Telecom a controllare i conti bancari) per addomesticare gare con le fantasiosissime ammonizioni preventive mirate (che la mira era sbagliata); nessuno li ha tenuti prigionieri in stanzini calabresi, semmai qualcun altro, non a tinte bianconere, ha cercato loro posti di lavoro o ha consegnato per loro conto un dossier a qualche sottosegretario.
E veniamo ad un altro pilastro dell'accusa, quello dei sorteggi presunti taroccati, quando in realtà di taroccata c'era solo la sequenza di fotogrammi ricavata da un video persosi nei meandri della Procura di Napoli: chi ne sia il responsabile non si sa, Narducci è stato archiviato e a nessuno, tranne che agli imputati (ma sappiamo che in questo processo l'art. 358 cpp è stato 'sospeso'), interessa o giova sapere cosa sia accaduto. In realtà i fatti hanno dimostrato la regolarità dei sorteggi, sia le griglie ipotizzate che le designazioni richieste (da chiunque, non da Moggi) non hanno poi trovato riscontro nei fatti.
Poi ci sono le schede svizzere, delle quali pure si è parlato in settimana a causa del  rinvio a giudizio di De Cillis per falsa testimonianza in merito all'acquisizione da parte dei carabinieri della documentazione relativa alle sim estere: ebbene il teorema delle schede svizzere è franato sin da subito. Premettendo che comunque il semplice possesso di sim svizzere non è un reato (ricordato dalla stessa dott. Casoria) e Moggi ha ammesso di averne acquistate per conto della Juventus per sottrarsi allo spionaggio industriale di Pirelli Telecom in tema di calciomercato, è stata presto smascherata la non intercettabilità delle stesse; e c'è di più: furono inizialmente intercettate ma non dicevano nulla, o almeno quanto serviva, e allora spazio all'olio di gomito del maresciallo Di Laroni, con i suoi schemini a mano e i suoi fogli Excel, a ricostruire una fantomatica rete ricca di inesattezze, che va  a scontrarsi con la vita reale in materia di attribuzione e di tempistica. Quindi una prova muta, vuota.
Viceversa le conversazioni intercettate non contengono, perlomeno da parte bianconera, alcuna prova di illecito (ma non c'era riuscita nemmeno la giustizia domestica, pur supportata dal valido Zaccone latore di fuoco amico); semmai ad intrattenere rapporti illeciti, non consentiti dal regolamento, con direttori di gara erano altri; ma non interessavano.
Le sentenze penali di primo e secondo grado in realtà sono quanto di più inconsistente si possa immaginare e risentono del clima avvelenato che pervade il tribunale di Napoli (basta pensare al contrasto tra la dott. Teresa Casoria e le due giudici a latere, con addirittura due richieste di ricusazione della stessa), arrivando ad una convinzione quanto mai soggettiva, più che altro una congettura, di colpevolezza arrampicandosi su un "al limite della sussistenza del reato di tentativo". Di cosa stiamo parlando? D'altronde dopo aver verificato in dibattimento che i fatti esposti come crimini in realtà non erano veri (risultati alterati, sorteggi taroccati persino con colpi di tosse), per giungere a un verdetto sfavorevole agli imputati bisognava rovesciare il principio della presunzione di innocenza (un imputato non è colpevole sino a quando non è dimostrato il contrario) in presunzione di colpevolezza, basata solo su opinioni e sensazioni prive di prove di riscontro.
Dulcis in fundo (si fa per dire), le motivazioni fanno acqua da tutte le parti: anche lì nessuna ombra di reati accertati ma la decisione di punire quel Moggi tanto 'rincorso': le sue colpe? Una personalità decisa ma al tempo stesso concreta e priva di filtri nell'esporre le proprie decisioni.

Signori, il delitto è servito.