L'Espresso - Calciopoli, il processo di Napoli e il clima perdonista

29.06.2009 08:05 di  Francesco Cherchi   vedi letture
Fonte: di Alessandro Gilioli per "L'Espresso"
L'Espresso - Calciopoli, il processo di Napoli e il clima perdonista
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© foto di Federico De Luca

Giudici svogliati. Parti civili eliminate. Pm trasferiti. E un clima molto perdonista. Così sta naufragando il processo su cui doveva rifondarsi il pallone italiano A un certo punto, mentre si stilava stancamente il calendario delle udienze, la presidente della giuria Teresa Casoria si è indispettita e ha lasciato scappare la frase rivelatrice: "Ci sono processi più seri da fare, in questa sezione". Proprio così: processi più seri, come se quello in corso a Napoli su Calciopoli fosse una mezza buffonata, un'inutile parata.
E se lo dice il magistrato, non è che il resto del mondo possa prendere troppo sul serio l'esito giudiziario di quello che pure è stato il maggiore scandalo della storia del calcio italiano, con la squadra più scudettata del paese finita in serie B e una promessa di 'rifondazione totale' peraltro rapidamente disattesa. Così anche i giornali - con rarissime eccezioni - non regalano al processo di Calciopoli più di un mezzo colonnino al mese, e nessuno ne parla più nemmeno nei bar sport in tivù.
Eppure a Napoli sta succedendo qualcosa che anche ai tifosi meno avvertiti potrebbe interessare. Qualcosa che ha a che vedere poi con tutto il resto: con i grandi campioni che lasciano la serie A per emigrare all'estero, con la Nazionale azzurra che fa pietà perfino contro la Nuova Zelanda, con le percentuali di riempimento degli stadi inferiori non solo alla Spagna e all'Inghilterra, ma anche alla Germania.
Sta succedendo cioè che, nonostante lo snocciolarsi di testimonianze talvolta agghiaccianti sul degrado di dirigenti e arbitri in gran parte rimasti ai vertici del giro, l'atmosfera del processo pare se non proprio innocentista (alla fine qualche singolo imputato pagherà) certamente perdonista verso il sistema nel suo complesso, verso l'establishment pallonaro in cerca di continuità e silenzio.
Una prova molto concreta dell'andazzo è, per esempio, il modo in cui sono state di fatto già salvate le società che avrebbero dovuto pagare in termini pecuniari il loro coinvolgimento nello scandalo: Juventus, Lazio e Fiorentina. Contro questi tre club, già condannati dalla giustizia sportiva, si erano costituiti come parti civili diversi soggetti, a partire dalla stessa Federcalcio fino alla Rai e al ministero delle Politiche giovanili, ma soprattutto le società che dagli imbrogli di Calciopoli ritenevano di aver subito danni economici pesanti, come il Brescia e il Bologna: entrambe finite in B, secondo i loro legali, "a seguito degli atti fraudolenti compiuti per pilotare il risultato di alcune gare" (tra l'altro, mentre il Bologna è riuscito poi a risalire in A, il Brescia non è più tornato nel campionato maggiore).
Non si tratta di briciole: in caso di risarcimento civile, i tre club sotto processo avrebbero dovuto sborsare a Bologna e Brescia (ma anche ad altri possibili danneggiati, come l'Atalanta o l'ex presidente del Bologna Gazzoni Frascara) una cifra tra i 150 e i 300 milioni di euro: vale a dire i mancati ricavi, tra pubblico e diritti tivù, derivanti dalla retrocessione. Ovvio che una fuoriuscita simile di cash (per cui Juventus, Fiorentina e Lazio erano chiamate in solido) avrebbe ridimensionato drasticamente le disponibilità di cassa delle società condannate, riducendo le loro chance di acquistare nuovi giocatori e di pagare profumatamente i campioni già in organico. Uno scenario da incubo, tanto per la Juventus e la Fiorentina (che l'anno prossimo devono giocare la Champions League) quanto per la Lazio (che pure ha davanti a sé una competizione europea e dietro di sé una montagna di debiti pregressi).
Uno scenario tuttavia allontanato in fretta dal collegio giudicante, che ha misteriosamente escluso dal dibattimento tutte le parti civili adducendo vaghi motivi di 'opportunità processuale'.

Per l'avvocato del Brescia calcio, Bruno Catalanotti, si tratta di una decisione "giuridicamente abnorme, del tutto arbitraria e illegittima", contro la quale ha fatto ricorso alla Corte di cassazione.
Al Palazzaccio di Roma Catalanotti ha quindi depositato una memoria durissima, in cui sostiene che "l'ordinanza di esclusione delle parti civili ha provocato in tutti gli addetti ai lavori (docenti universitari, magistrati, avvocati etc) una reazione comune di ilarità per la sua surreale comicità e di sdegno per l'arrogante spregio dei diritti dei danneggiati". Secondo il legale "mai in nessun processo celebrato nelle aule giudiziarie del nostro Paese, è accaduto che le parti civili siano state escluse per motivi di economia processuale", e questa "mostruosità di pacchiana e grossolana evidenza" non avrebbe avuto una proporzionata eco di stampa solo "per l'accondiscendente rispetto nei confronti di soggetti eccellenti quali le proprietà delle societa interessate, soprattutto il gruppo Fiat e la Tod's".
Ed è proprio il potere economico-politico delle controparti a preoccupare di più gli avvocati di parte civile, che si giocheranno le carte rimaste il 9 luglio davanti alla Cassazione. Possibile che al Palazzaccio la spuntino, ma l'orientamento della giuria di Napoli è comunque emerso in modo chiaro: si potrà condannare qualcuno ormai fuori dal giro - come Giraudo e Moggi - ma il sistema calcio non deve essere turbato.
Anche il pubblico ministero Giuseppe Narducci, che insieme al collega Filippo Beatrice aveva condotto tutta l'inchiesta su Calciopoli, sembra preoccupato dell'andamento del processo: del resto chi in questi mesi ha partecipato alle udienze ha notato che le tre giudici Teresa Casoria, Maria Pia Gualtieri e Francesca Pandolfi manifestano spesso la loro noia, capiscono palesemente poco o niente di calcio e soprattutto non sembrano interessate a comprendere i collegamenti della 'cupola' così come emergono dalle intercettazioni.
Dopo la decisione di escludere le parti civili, alcuni legali avevano pensato addirittura di chiederne la ricusazione. Altri (come quello del Bologna) perfino di presentare denuncia per abuso d'ufficio. Del resto lo stesso Catalanotti nella sua memoria alla Cassazione fa capire senza giri di parole che "se non viene ripristinata la legalità violata", sul collegio giudicante "rischia di abbattersi la scure dell'articolo 124 del codice di procedura penale", cioè dei provvedimenti disciplinari. Il pm Narducci sostiene le ragioni delle (ex) parti civili, ma intanto è rimasto a rappresentare l'accusa praticamente da solo, dopo che il collega Beatrice è stato trasferito all'Antimafia.
Intanto il processo in qualche modo va avanti: un paio d'udienze sono previste prima dell'estate, poi si riprenderà a settembre e se va tutto bene in un paio d'anni si arriverà a sentenza. La sfilata dei testimoni - ultimi l'ex arbitro Danilo Nucini, l'ex dirigente del Venezia Franco Dal Cin e l'ex presidente della Salernitana, Aniello Aliberti - conferma sempre di più il livello di corruzione e intimidazione che ha caratterizzato la prima metà del decennio pallonaro.
Difficile che almeno Moggi e Giraudo ne escano senza danni. Ma rischia anche di passare il principio secondo cui il calcio italiano già è in crisi per conto suo, ci manca solo che gli si chieda di pagare per errori del passato. E non viene presa in considerazione l'idea che - al contrario - solo la trasparenza sugli errori compiuti e sulle relative responsabilità può essere la base di partenza per una palingenesi reale. Magari con nuovi protagonisti, anche in quella Federazione e in quella Nazionale che dopo un breve intermezzo sono tornate in mano agli uomini dell'era Calciopoli: con risultati, peraltro, non proprio eccellenti.