Ricordate quel giorno? JUVENTUS-SPAL

La rivisitazione di alcune partite giocate dalla Juventus; storie di vittorie e di sconfitte per riassaporare e rivivere antiche emozioni
25.10.2017 10:37 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Ricordate quel giorno? JUVENTUS-SPAL
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© foto di Insidefoto/Image Sport

23 settembre 1956 – Stadio Comunale di Torino
JUVENTUS–SPAL 2–0
Juventus: Viola; Corradi e Garzena; Emoli, Nay e Montico; Hamrin, Colombo, Antoniotti, Donino e Stivanello. Allenatore: Puppo.
Spal: Bertocchi; Lucchi e Vinyei; Villa, Ferraro e Dal Pos; Dido, Di Giacomo, Sandell, Broccini e Novelli. Allenatore: Tabanelli.
Arbitro: Coppa di Mariano Comense.
Marcatori: Hamrin al 45’, Stivanello al 75’.


“IL CAMPIONE”, 24 SETTEMBRE 1956
Fra Juventus e Spal si è avuto un risultato di quelli che di solito non si discutono, due reti a favore dei bianconeri e nessuna a favore della Spal; i goal sono stati suddivisi uno per tempo, quasi a testimoniare l’assoluta sicurezza e legittimità del successo. In effetti, pur se tirando i conti la vittoria dei padroni di casa non fa una grinza, lo scarto è superiore al giusto; la Spal, squadretta gagliarda e veloce, ancora una volta ha mostrato quanto possano valere la spigliatezza di gioco, la rapidità di manovra, il fiato, la decisione. Ai ferraresi bastano pochi passaggi per giungere sotto la rete avversaria; i guai, piuttosto, cominciano quando si tratta di trarre profitto della massa di lavoro effettuato, quando si tratta, cioè, di raggiungere il goal. Tirano, gli attaccanti ferraresi, ma sbagliano; non capiterà loro sempre di trovarsi di fronte una difesa potente come quella juventina, e allora per i rivali dei biancoazzurri saranno seri pasticci. E lasciate che Sandell, ex centravanti della Nazionale svedese, si ambienti un po’ di più al campionato italiano: il ragazzo del Nord è robusto, tetragono agli urti, intelligente, sa funzionare da regista che è un piacere a vederlo. Un acquisto indovinato, che sarà utilissimo.
Per la Juventus, perplessità di giudizio. La retroguardia è molto forte, Viola, Corradi e Garzena e Nay sono già in forma e costituiscono un baluardo difficile da superare; dei due laterali, Montico si fa preferire a Emoli, un po’ sfuocato; l’attacco per ora… si chiama Hamrin. Lo svedese ha segnato un goal, l’altro (opera di Stivanello) è Io stesso suo merito. Hamrin ha tanta classe da poter giostrare a suo piacimento in qualsiasi partita. Donino, la rivelazione della gara di Roma contro la Lazio, aveva il compito preciso di giocare all’insegna della prudenza (e vi si è attenuto alla perfezione…), Antoniotti, contro i difensori spallini è scomparso, Colombo ha tenuto il piccolo trotto, Stivanello sentiva forse il primo contatto con il suo nuovo pubblico. Nel complesso, però, c’è l’impressione che l’impianto di gioco ci sia, che esitano solide e reali possibilità di miglioramento. La Juventus, continuando il piano d’azione dello scorso anno, basato in particolare sull’imperativo di non prendere goal (la sua rete è inviolata dopo due gare) ora ha anche notevoli chanches in prima linea. Se Hamrin terrà l’attuale livello dì rendimento, gli esordi stagionali di Boniperti e di Conti dovrebbero registrare alla perfezione la squadra. Sarà bene ricordare che la partita di domenica non era semplice contro una Spal viva ed effervescente, che vantava nei suoi ranghi un certo Sandell a cui è facile predire un notevole avvenire. Eppure la Juventus è riuscita a mettere la briglia all’offensiva ferrarese, è riuscita a fare breccia in una retroguardia delle più solide. Si dirà: «Ma, se non c’era Hamrin…». Si può rispondere con tutta semplicità che Hamrin c’era.


“STAMPA SERA”, 24 SETTEMBRE 1956
Hamrin è certamente l’uomo che ha sfacchinato meno di tutti durante l’intera partita, ma è anche quello che ha concluso di più. Durante il primo tempo lo si è visto poco. Il giuoco affannoso della Juventus spesso lo dimenticava, ma quando il tempo stava per chiudersi è balzato fuori ed ha eclissato tutti. L’episodio è avvenuto nel minuto di ricupero per la commemorazione di Combi. Montico ha allungato sulla destra un pallone pervenutogli da Donino. Un passaggio qualunque che semplicemente trasferiva l’azione da un lato all’altro del campo. Fulmineamente avveniva un doppio scambio in corsa fra Hamrin e Colombo; al terzo, Hamrin si era incuneato fra i difensori in area e ficcato fra due avversari riceveva la palla da Colombo a una decina di metri dalla porta. Lestissimo colpiva di sinistro e mandava in rete rasoterra. La bellezza dell’azione è stata tutta nella perfezione delle sue battute essenziali: nell’intelligenza, di Hamrin che è entrato in scena al momento giusto, nell’intuizione di Colombo che mai ha toccato la palla con tanta morbidezza e dosatura, nella lestezza dello svedese nella fase finale, tanto che fra l’ultimo passaggio e il tiro, il tempo si misura a quinti di secondo.
Per tutta la prima parte dell’incontro la Juventus aveva dovuto prevalentemente subire il gioco degli avversari. La Spal è una squadra che corre. La sua forza sta prevalentemente nella ricchezza di ritmo, che non vuole ancora dire ricchezza di gioco. La manovra è assai sbrigativa, la mobilità dei giocatori fa sì che quasi non vi siano spazi vuoti, le sequenze dei movimenti sono rapidissime, ma a questa cadenza forzatamente non si accompagna un gioco di tale consistenza tecnica da valorizzarla. Manca il tempo di pensarci su, quello che si fa non è calcolato ma è istintivo, la manovra fra una ridda di scatti e di passaggi finisce col diventare casuale, cioè non determinata da un disegno tattico concreto, i ferraresi hanno sbagliato quasi tutti i tiri e quelli che apparivano centrati nello specchio della porta non erano di tale qualità da mettere in difficoltà Viola, cosicché il ricordo più, consistente che resta del gioco degli ospiti è di un’intensa ma disordinata operosità costruttiva, un poco farraginosa negli sviluppi e mai assestata per la conclusione. Il primo, tempo si riassume quindi così: mezz’ora di predominio ferrarese, solo a tratti interrotto da scorrerie offensive juventine, e un quarto d’ora di gioco alterno concluso dal goal di Hamrin che è stato di gran lunga, per la preparazione e la conclusione, la cosa più bella della partita. La Juventus si è trovata ad affrontare un avversario che sembrava sgusciargli intorno, inafferrabile. Visibilmente essa appariva in difficoltà, quel ritmo tambureggiante la infastidiva, l’avversario le era talvolta come appiccicato addosso, era difficile districarsi da quella rete e cercare di piazzare in quel groviglio di uomini, sempre in volata, qualche passaggio buono. Il goal è venuto, proprio nel momento meno atteso, a togliere la Juventus da una situazione, diciamo pure, imbarazzante, dopo tre quarti d’ora da essa trascorsi, senza una vera iniziativa propria e con un orizzonte di gioco ben scarso di promesse.
L’attenzione era particolarmente rivolta su tre uomini: Hamrin, di cui abbiamo già detto: Donino e Sandell. Donino, tenuti presenti i limiti delle sue forze, è piaciuto al pubblico che non ha perso le occasioni di applaudirlo. Gioca con soggezione e si capisce che potrebbe fare assai di più se si trovasse in un ambiente di squadra in cui la sua personalità potesse dispiegarsi senza timore di sbagliare. È proprio il timore di sbagliare che gli limita l’iniziativa, che gli fa cercare il compagno più vicino per liberarsi della palla, che lo fa perfino eccedere nei passaggi indietro. Nel primo tempo sembrò non conoscesse altri che Montico. Ma è un giovane che ha un fondo solido di preparazione, il controllo della palla non costituisce per lui una difficoltà, e in quanto a idee s’è visto nel secondo tempo (quando è passato nel palcoscenico rivolto ai popolari, giudici più generosi) che ne può offrire anche ai compagni. Peccato che il ritorno di Conti gli tronchi il tirocinio. Ma tornare nella scuola di Locatelli gli farà in ogni modo bene. In quanto a Sandell la difficoltà di adattarsi al ritmo dei compagni era evidente. Nella sua patria un centravanti è un centravanti; da noi invece può essere di tutto, meno che un centravanti. Vedasi, ad esempio, Antoniotti. Come tiratore, lo si è visto poco, come elemento di coordinamento non può essere nemmeno abbozzato un giudizio perché in una squadra che gioca come la Spal i compiti non sono nettamente definiti e la parola d’ordine è sgobbare. Il gioco da noi respira un’altr’aria e Sandell che ha la preparazione seria di tutti gli svedesi (dei suoi connazionali nessuno ha deluso in Italia) quando avrà imparato a conoscerlo si farà sentire e influirà probabilmente anche sul gioco del suo reparto.
Nel secondo tempo altro clima. La Spal non aveva ancora esaurito le sue risorse ma la sua spinta era sensibilmente meno vigorosa. Il gioco si barcamenò incolore per circa un quarto d’ora, Quell’andatura moderata non dispiaceva alla Juventus, ma tuttavia il suo attacco non incideva. L’interesse della partita diminuì. Hamrin restava per lunghi periodi pressoché inoperoso e trotterellava per conto suo lungo la linea del fallo, come fanno i puledri quando sono ai nastri. Ogni tanto una sfuriata “spallina” si abbatteva contro la difesa bianconera. In una di queste, al 26’ un tiro di Sandell in mischia era casualmente deviato in angolo da un difensore. Casuale il corner ma poteva essere casuale anche il goal. Un minuto dopo si svegliò Hamrin. Bastava invitarlo al gioco e si era certi di trovarlo sempre pronto. Un suo centro lungo offriva ad Antoniotti una palla preziosa ma difficile. Fallita l’occasione maturava quella buona. Al 30’ Colombo lanciava Hamrin, piazzato nella posizione di mezzo destro. I ferraresi alzavano le mani per reclamare il fuori giuoco, ma il segnalinee sulla linea del fallo, a cinque o sei metri dal giocatore, seguiva l’azione tenendo invece bassa la bandierina. Il fuori gioco può diventare talvolta materia opinabile, ma secondo noi aveva ragione il segnalinee: di fuori gioco nemmeno l’idea. Gli avversari ebbero un tempo d’arresto, Hamrin filò, scartò il portiere uscitogli incontro, allargò verso destra e quasi dal fondo centrò forte rasoterra: giungeva al gran galoppo Stivanello e la palla finiva in rete. Il resto passò senza rilievo. Un tiro di Sandell ancora deviato in corner. Sandell lo si vedeva ora al centro, ora all’ala sinistra ora a quella a destra. Cominciava ad adattarsi alla vertigine di spostamenti dei compagni. Ma era troppo tardi.