Una partita alla volta: la più grande banalità del mondo è la grande speranza per la Champions

22.02.2022 00:40 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
Una partita alla volta: la più grande banalità del mondo è la grande speranza per la Champions
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Ah, se la Juventus avesse battuto il Torino. Visti i risultati delle altre. Ah, se Allegri non avesse buttato undici punti contro formazioni da metà classifica in giù. Visto che questo campionato non ha un padrone. Ah, se mio nonno avesse avuto tre ruote. Visto che mi serviva una carriola. La Serie A della Juve è terra di rimpianti, per quello che non è stato e quasi sicuramente non sarà comunque. Anche la peggior stagione dal post Delneri, fosse stata un po’ meno avara di soddisfazioni, avrebbe potuto regalare qualcosa ai bianconeri in Italia. Perché in Serie A il primo posto sembra scottare, e chi lo vuole gioca ad andare piano. Così, al termine di una giornata che ha visto senza vittorie le prime sei in classifica, quei nove punti dalla vetta hanno il sapore del rammarico e non sembrano una montagna impossibile da scalare. Che tale però rimarrà.

Perché gli acquisti di gennaio hanno sì ridato entusiasmo, ma poi la Juve si è rituffata anima e corpo nei suoi vecchi problemi. Vlahovic è un campione in costruzione, ma bisogna illudersi per credere che possa essere la panacea di tutti i mali. Qualcuno ha da passargliela, e la formazione bianconera ha un problema di (non) gioco e di non (identità) ben più grande del valore - innegabile - del centravanti serbo. Dybala è il nuovo Godot che alla Continassa paiono stufi di aspettare più di quanto non lo fosse l’Avvocato con il primo interprete in salsa bianconera della pièce di Beckett. Per vincere una competizione che si basa sulla continuità e sulla lunga durata, bisogna avere, partita dopo partita, idea di quello che si sta facendo. Dato che a Torino faticano a farsela, o quantomeno ad esprimerla, il sogno tricolore ha più possibilità di rimanere miraggio che non. E quindi tanto vale buttarsi sulla Champions.

Fra poche ore, o anche meno a seconda di quanto leggerete queste righe, la Juve ri-esordirà nella massima competizione continentale. Di debutto conviene parlare perché la fase a gironi e quella a eliminazione diretta sono due campionati diversi, con regole del tutto diverse. Primo ostacolo, il Villarreal. Avversario facile, si dirà. Per carità, nessuno lo nega. Come del resto Ajax, Lione e Porto, in fila per tre col resto di zero. I gialli, comunque, sono alla portata, così come potrebbe esserlo la Champions, in questa sgangherata stagione. Se in campionato contano tutte le partite che hai giocato prima e tutte quelle che giocherai dopo, in Europa conta soltanto una partita: quella che hai appena concluso. È il grande dono per una squadra che non sa bene dove andare né come arrivarci, ma a livello di individualità ne ha comunque parecchie. E in panchina, con buona pace dei detrattori, uno dei migliori interpreti della gara secca. Nei 180 minuti, quante formazioni sono incontrovertibilmente certe di eliminare la Juventus? I valori, tocca essere onesti, direbbero tre o quattro: Liverpool, City, Bayern, PSG o Real visto che una eliminerà l’altra. Difficile ci possa essere partita. Difficile, non impossibile, con un mucchio di variabili tra l’uno stato e l’altro. La verità è, in effetti, che nessuno può essere certo di battere nessuno, o di perdere con nessuno. E allora, adesso che la Juve si rituffa in Champions, ha da tenere a mente la banalità più antica nella storia del calcio. Quella che ci propinano calciatori, allenatori e dirigenti di ogni squadra di ogni parte del globo terraqueo, ogni volta che hanno occasione di parlare nel pre-gara, nel post-gara, e qualche volta anche nel mezzo: bisogna giocare una gara alla volta. Tutte finali. Pensare di partita in partita. La prossima è la più importante. Mettete insieme queste amenità: caso più unico che raro, in Champions le cose stanno proprio così. E per la Juve può essere una fortuna. O anche una sfortuna, dipende da come giocherà. Una partita alla volta.