Pirlo e la Juve rinata dalle proprie ceneri: grazie del viaggio, Maestro. Oggi la Juve dei singoli: tante folate, ma senza un’identità chiara. E se manca Pjanic si fa fatica
C’era una Juve che arrivava settima in classifica. Per due anni di fila. A volte sembra un passato lontanissimo, sembriamo dimenticarcene, ma non è così. È l’altro ieri, calcisticamente. C’era una Juve che annaspava nel post-Calciopoli, una scelta sbagliata dopo l’altra. C’è stata una Juve che si è rialzata, con tanti protagonisti. Antonio Conte, certo. Ma anche, forse più importante dello stesso tecnico forse no, Andrea Pirlo. Scaricato dal Milan per riaccendere la gloria della Vecchia Signora, il regista bresciano è stato il faro della rinascita bianconera. Un extraterrestre, in una Serie A sempre più normale. Chi, come il sottoscritto, è nato a fine anni ‘80 ha vissuto una delle epoche più esaltanti del nostro calcio. Nesta e Cannavaro, Inzaghi e Vieri, l’eterno dualismo fra Del Piero e Totti. In mezzo al campo, almeno per una decina d’anni, non c’è stato però alcun dubbio su chi fosse il più forte. Forse il miglior centrocampista italiano di sempre, forse no, di sicuro il più forte che abbiamo visto giocare. Si è ritirato ieri notte, entrato nel secondo tempo come uno qualunque, ma per godersi l’applauso dello Yankee Stadium. Dopo Del Piero e Totti, con Pirlo se ne va un altro pezzo importante dell’ultima età d’oro del nostro calcio. E ancora una volta, grazie a te del viaggio, Maestro.
Esaurito il doveroso omaggio a un giocatore immenso, veniamo ai fatti nostri. Chi si aspettava la goleada della Juventus contro il Benevento è rimasto deluso. La vetta è più vicina grazie ai pareggi di Napoli e Inter, ma anche contro i campani questa squadra ha messo in mostra qualche lacuna di troppo. A livello difensivo, in realtà, sembra che la soluzione sia più vicina. L’attacco dei giallorossi non può considerarsi un test valido, ma il gol è stato frutto più che altro di un errore individuale. Ottimo portiere Szczesny, per carità, ma deve ancora capire bene le difficoltà che ha il numero uno della Juve. Sei solo per tutta la partita e spesso ti arriva un tiro o al massimo due nei 90’. Può sembrare facile rimanere concentrati, ma non lo è per niente.
Le difficoltà, ancora una volta, derivano dal fatto che questa squadra non ha un’identità precisa, o comunque non sembra averla. Chi critica Allegri lo fa solo per sport, perché se una squadra tira 27 volte e fa due gol non può essere colpa del tecnico. Però è vero che questa Juve, in certi frangenti, sembra affidarsi alle folate individuali più che a un disegno tattico ben preciso. Prima era Dybala, ora il ritrovato Higuain. Di mezzo, un calciatore molto sottovalutato: al momento, la differenza la fa infatti Miralem Pjanic. Senza il bosniaco, Chiellini sale molto più spesso col pallone fra i piedi, in una posizione di campo poco confacente alle sue caratteristiche. Oppure è Dybala a doversi abbassare molto: in questo caso, le caratteristiche si sposano bene col movimento dell’argentino, che però diventa meno efficace negli ultimi metri. Con Pjanic in campo, invece, la manovra sembra sempre acquisire più senso, sia che si tratti di ripartire da dietro che di far girare la palla lì davanti.
In un campionato spaccato come quello attuale, conta quasi soltanto vincere, soprattutto negli scontri diretti. Da questo punto di vista, la Juve dobbiamo in realtà ancora scoprire. Inter, Napoli e Roma: al netto della Lazio, che va a duemila ma non dovrebbe reggere fino alla fine, sono queste tre le avversarie possibili per lo scudetto. In ordine non casuale, perché i nerazzurri restano a mio giudizio l’avversario più temibile. Conta vincere, in Italia, ma conta anche imporre un proprio gioco. La Juve, di fatto, lo sta ancora cercando. Con un po’ di fatica nell’inserimento dei nuovi acquisti. Douglas Costa, per esempio, è in buona forma non pare ancora integrato nell’idea tattica di Allegri: lo invitava ad allargarsi sulla sinistra, e spesso se l’è ritrovato sul centrodestra a occupare uno spazio quasi inutile. Il brasiliano è un esempio, ma in una Juve che sta crescendo a livello di singoli, manca l’idea di un disegno comune. La sosta, per una squadra che ha via quasi tutti i nazionali, servirà poco da questo punto di vista, ma aiuterà a recuperare qualche assenza importante. Senza caricare di troppe responsabilità Marko Pjaca, penso davvero che il croato possa dare qualcosa di molto diverso rispetto a qualsiasi altro compagno. Lo stesso dicasi, in una posizione del tutto diversa, per Benedikt Howedes che pure sarà un bell’interrogativo tattico.
Chiusura sul simpatico (?) siparietto televisivo fra Marotta e Bonucci. Se vanno d’amore e d’accordo, il problema sarà stato un altro, pensa il malizioso. Il difensore si trincera dietro una certa signorilità, quali siano i motivi veri di un addio così repentino i tifosi forse non li sapranno mai davvero. I panni sporchi si lavano in famiglia, per carità. Però così si lascia il campo libero a qualsiasi dietrologia. Sarebbe così drammatico spiegare una volta per tutte cosa è successo?