Juve, gigante dalla schiena fragile: centrocampo sempre più debole, anno dopo anno. Conte e una nuova lezione a Pirlo
Nuova Juventus, vecchissimi problemi. Quasi atavici, a questo punto. Il derby d’Italia perso e straperso è ancora il tema, pure se le dichiarazioni di facciata parlano di una Supercoppa che interessa soltanto perché è una sorta di rivincita per quel Juve-Napoli che in campionato ancora non si sa quando si potrà giocare. Altrimenti, a chi mai è importato di una competizione meno che secondaria? Vincerle tutte, per carità, è un’ottima attitudine. Però, nella lista delle priorità, la gara di domani è storicamente un gradino sopra il trofeo Birra Moretti e non oltre. Il 2-0 di San Siro va riscattato in campionato, dove la Vecchia Signora perde inesorabilmente terreno e ora è addirittura a -10 dalla vetta. Una distanza non siderale ma poco ci manca, a questo punto della stagione.
Il derby d’Italia perso, quindi. A centrocampo: lo dice il tabellino firmato Vidal e Barella, lo racconta l’economia di una partita senza storia. Problema vecchio, appunto: fuor di nostalgia, sono lontani i tempi del cileno e di Pirlo, di Pogba e Marchisio. Ma pure quelli del Khedira nella sua versione migliore, di Pjanic e compagnia cantante. Mentre la Juve s’attarda sul mercato in cerca di un’occasione per la quarta punta (e fa bene, perché non ne ha tutta questa necessità), il punto debole della squadra è quello che si è andato sedimentando nel corso degli ultimi anni. La Signora ha speso per Ronaldo e De Ligt, ma lì in mezzo non batte un colpo da novanta da parecchio e gli esiti non sono propriamente casuali. L’ultimo, Arthur: bel giocatore, Pirlo non l’ha mai schierato in un big match di campionato. I dubbi sono in casa, mica negli occhi di chi guarda e analizza. Dei quattro centrocampisti centrali a disposizione del tecnico bianconero, non ve n’è uno che fa gridare al miracolo, al campione, al fuoriclasse. Conte si priverebbe di uno dei suoi titolari per Bentancur o Rabiot? Inzaghi? Pioli? Fonseca? Se la risposta continua a essere no o nel migliore dei casi mah, a Torino c’è un problema. Non da oggi: il processo d’indebolimento della mediana è andato avanti sotto gli occhi di tutti, mercato dopo mercato. Ha portato a redistribuire il talento, ma a un certo punto la Juve si scopre potenziale gigante dalla schiena fragile. Senza nerbo a sostenere gli altri reparti, diventa tutto più complicato.
Dalla sconfitta amara si traggono lezioni, mica disfattismo. Che la Juventus di quest’anno non sia la favorita per lo scudetto non l’abbiamo scoperto domenica, che sia tutto da buttare è un altro conto. Ripensare e rinforzare ora il centrocampo è quasi impossibile, mercato alla mano: Paratici c’avrebbe anche provato volentieri, ma trovare offerte per Rabiot (7 milioni d’ingaggio annuo) è pressoché impossibile in questa congiuntura economica. E quindi a Pirlo toccherà fare con quel che ha: c’è tempo per rimettere in testa la stagione. A meno che le difficoltà non siano di manico e a un certo punto qualcuno questa domanda dovrà pur porla. A San Siro è arrivata una lezione per la Juve, ma anche per il tecnico bianconero: Conte l’ha ispirato anni fa ma l’ha anche dominato sul campo. Senza troppe difficoltà. Ha dato fame alla sua squadra, pure in un momento di difficoltà. Ha scelto i duelli individuali da vincere (e per carità, a Pirlo manca mezza difesa). Ha costruito la partita che voleva vedere giocare ai suoi e poi questi l’hanno messa in atto, perché di fronte a un certo punto è arrivata la consueta autogestione di casa Juve. Felicissima quando va bene, incapace di raddrizzare le cose quando vanno male. Pirlo ha avuto bassi (Barcellona e Fiorentina prima dell’Inter) e alti (sempre Barcellona e Milan), ma anche tanti medi. Quasi mai è riuscito a risollevare una serata, a trasformare i medi e i bassi in alti nell’ambito della stessa partita. È un dato da tenere in considerazione: Conte ha insegnato che dalle difficoltà si riparte anche grazie agli stimoli. Ora tocca all’allievo.