In quelle lacrime tutti i motivi per cui Dybala è il capitano di cui la Juve ha bisogno. Allegri a rischio personaggio: la vittoria non sarà l’unica cura

28.09.2021 00:00 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
In quelle lacrime tutti i motivi per cui Dybala è il capitano di cui la Juve ha bisogno. Allegri a rischio personaggio: la vittoria non sarà l’unica cura
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Si è sviluppato, nelle ultime ore, un dibattito incomprensibile. Quello sulle lacrime di Paulo Dybala dopo l’infortunio, l’ennesimo, che ha chiuso nel peggiore dei modi una gara iniziata con un gran gol. I fatti: l’argentino, in rapida sequenza, ha segnato, si è fatto male, ha pianto. C’è chi in quelle lacrime ha visto il peso delle (eccessive) responsabilità che porta, chi addirittura è arrivato a sostenere che per non riuscire a reggerle non possa essere il capitano, e implicitamente il fuoriclasse, di questa Juventus. A proposito di fatti, risulta anzitutto che domenica ricorressero gli undici anni dalla scomparsa del padre dell’argentino, il quale già tre anni fa si era emozionato e aveva pianto dopo un gol segnato un 26 settembre. Ora, chi scrive non ha idea né tantomeno la pretesa di sapere se le lacrime di domenica fossero legate a questo anniversario o meno. Cosa possa provare l’uomo Paulo Dybala, in un giorno legato a uno degli eventi più tristi dell’esistenza di un essere umano, lo può sapere solo l’uomo Paulo Dybala. Quando e come decida di lasciare all’emozione il sopravvento, sono francamente fatti suoi, privati sebbene inevitabilmente portati in pubblico perché il mestiere lo esercita sotto i riflettori. A un’emozione, che (ancora) ciascuno sente come e quando vuole, si può essere l’altra legata all’ennesimo problema fisico di un calciatore (e, di nuovo, un uomo) che nell’ultima stagione e mezza ha passato ai box una trentina di partite, più i quasi due mesi legati al contagio da Coronavirus. Insomma, chi vuol giudicare giudichi pure, ma probabilmente la sta facendo fuori dal vaso.

Semmai, in quelle lacrime ci sono tutti i motivi per cui è giusto che Paulo Dybala porti al braccio la fascia della Juventus. Di più, perché quest'ultima abbia bisogno che la fascia la porti lui. Non soltanto perché si dovrebbe essere contenti di vedere un capitano col numero 10 che ogni tanto fa gol e sa tirare le punizioni. Passiamo oltre. All’indiscussa qualità tecnica, affossata dalla rivoluzione a metà abbozzata a Torino nelle ultime stagioni, s’accompagna la cifra umana di chi chiederà i soldi che vuole, ma fin qui ha sempre mostrato una dote prima di tutte: l’attaccamento alla maglia. Intendiamoci: nel 2021, il calcio romantico è morto da un pezzo. Forse non è mai esistito, almeno non da quando si gioca con gli sponsor sulle maglie. Però, se c’è un giocatore che negli ultimi anni ha dimostrato di volere la Juventus, di volere un determinato ruolo nella Juventus, e nei momenti di difficoltà anche di meritarselo, ecco, quello è Paulo Dybala. Può fare di più? Figuriamoci. Ma piangere davanti a tutti, perché si rivive un giorno bruttissimo o perché non si riesce a dare alla propria signora tutto quello che si vorrebbe o potrebbe, è un segnale di forza, altro che debolezza.

“Preferisco essere criticato e vincere, che essere compatito”. Prima della gara contro la Sampdoria, Massimiliano Allegri ha ribadito il proprio credo calcistico. Vincere, poi si pensa a come. Discorso che non fa una grinza: di tutta le bellezza che il pallone sa produrre, resta alla storia solo quella che porta a trionfare. Nell’ergerlo a filosofia calcistica e un po’ anche umana, c’è il rischio di passare da un assolutismo all’altro. Quasi paradossale, per chi fa del pragmatismo la propria cifra stilistica, ma ad assolutizzare tutto si passa all’estremo opposto delle macchiette del giochismo, facendo il giro completo e finendo per rientrare in un altro cliché. Il rischio, appunto, è quello di rinchiudersi in un altro personaggio e visto da lontano Allegri lo sta un po’ correndo. La sua forza è sempre stata la flessibilità, la praticità. In questo momento, la sua Juve ha bisogno di prestazioni, oltre che di risultati. Peraltro, il difensivismo di cui viene spesso tacciato è un falso storico, del quale gli converrebbe liberarsi. Vincere aiuta a vincere? Sì, e infatti la Juve piano piano tornerà a lottare ai massimi livelli, chi la tiene fuori dalla corsa scudetto sembra ignorare la storia e le dinamiche di questo sport. Per uscire fuori dalla selva oscura in cui si è trovata, però, serve qualcosa in più. La vittoria non è l’unica cura: serve soprattutto un’identità, che in questo momento non ha e non la troverà soltanto mettendo il muso avanti all’avversario di turno.