Il surreale viaggio della Juventus a Madrid. Ma non è una gita. Allegri può essere il Ferguson bianconero? Del Piero e una domanda a cui non sappiamo rispondere

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
10.04.2018 00:30 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
Il surreale viaggio della Juventus a Madrid. Ma non è una gita. Allegri può essere il Ferguson bianconero? Del Piero e una domanda a cui non sappiamo rispondere
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C’è qualcosa di surreale, nel raccontare il momento della Juventus che si appresta a giocare in casa del Real Madrid. La squadra del “vincere è l’unica cosa che conta”, la squadra del “fino alla fine”, costretta a scendere in campo con la consapevolezza che con tutta probabilità non servirà a niente. Perché lo so, lo sapete, lo sanno: contro il Real Madrid si scenderà in campo per un’amara passerella, e poco altro. 

Possiamo quindi evitarci il bagaglio di retorica, l’inseguimento di un’impresa che non arriverà. Chiariamoci: se il miracolo dovesse arrivare, sarei il primo a esserne felice. Ma di miracolo, seppur sportivo, si dovrebbe parlare. E, ammesso che questa Juve sia la squadra giusta per tentare l’impresa, di sicuro il Real Madrid non è l’avversario pronto a mollare il colpo.

Parlare di gita, d’altra parte, è altrettanto sbagliato. La tentazione è forte, però le gite non si fanno in Champions League. Di eliminazioni a testa alta ne abbiamo fin sopra i capelli (per chi ne ha), ma c’è pur sempre una differenza tra essere presi a sberle e comunque provarci. La Juve, negli ultimi anni, si è comunque (ri)costruita lo status di grande europea. Non proprio grandissima, a dirla tutta, ma pur sempre grande. E le squadre di un certo livello non fanno scampagnate. In campo, almeno, per onorare la maglia. Per quanto complicato possa esserlo, sapendo che tanto non servirà a niente. In campo per far salutare la Champions a Gigi Buffon: speravamo tutti, di cuore, che l’epilogo fosse diverso.  

Smaltita l’eliminazione, ci sarà una serie di discorsi alquanto complicati da affrontare. L’interrogativo di fondo è uno solo: questa Juve ha raggiunto il suo picco massimo? Probabilmente sì. In ogni caso, c’è da pensare a un rinnovamento serio. Che non è una ricostruzione, ma può anche essere doloroso. E lungo da affrontare. L’addio di Buffon, tutto sommato, è il più semplice: l’età lascia comunque poche alternative. I casi più spinosi saranno altri: Barzagli, per esempio. Grandissimo difensore e grandissima persona, ma sta oscurando troppo la crescita di Rugani. E l’esperienza (l’andata col Real insegna) non basta più a rimediare ad altre pecche. Su Chiellini si può aspettare ancora un po’ per fortuna, ma il classico “che farà da grande” si avvicina. 

Marchisio, a questo punto, è invece un caso. Se i selfie superano le presenze c’è un problema. Se nella partita più importante della stagione Allegri gli preferisce Bentancur, per ora bella promessa ma non una certezza, vuol dire che c’è pochissima fiducia. Il tecnico livornese, peraltro, si è fatto in carriera la fama, a volte ingrata a volte no, di mangia-centrocampisti (Pirlo e Gattuso i due casi più eclatanti), ma qui si starebbe parlando di un giocatore ancora relativamente giovane. Un rebus, ma da risolvere perché altrimenti si va a conteggiare una risorsa che tale non è considerata. 

A proposito di Allegri. Il tema del suo futuro è già caldo, non ancora caldissimo ma lo diventerà. L’Italia non è il Paese dei Ferguson e dei Wenger, purtroppo e per fortuna: non rientra nella nostra cultura calcistica affidarsi a un allenatore a prescindere dai risultati. La Juve è giunta, in ogni caso, alla fine di un ciclo. Con ottime probabilità vi era già arrivata a Cardiff, ma il passato è passato ed è inutile rimuginare. Un nuovo corso ha da aprirsi per forza di cose, non è detto che debba avvenire con un nuovo allenatore. La domanda è semplice: Allegri può essere il Ferguson della Juventus? Non c’è una risposta giusta, può esservene una coerente. Se la società non crede che possa essere così, tanto vale cambiare strada. È la via più semplice, appunto, per riaprire un nuovo ciclo. Se invece la risposta è positiva, allora il modello deve essere sposato appieno. Restando all’esempio del Manchester United, i trofei non sono arrivati subito e non sono stati facili. Allegri può essere incaricato di rinnovare, peraltro da una buona base e non certo da macerie, però l’indirizzo che sottovoce ha fatto circolare è quello giusto. Linea verde, rinforzi mirati, giocatori non ancora pronti ma che possono diventare dei campioni. Mezza rivoluzione nella squadra, che perderà qualche certezza nell’immediato ma potrebbe acquisirne nel futuro. Niente ambizioni di vittoria della Champions per un paio d’anni, ma ricostruzione più o meno faticosa di un gruppo vincente. La Juve, dicevamo, è una grande squadra a livello europeo. Ma non è grandissima, e non può competere a livello economico con le super-potenze. Serve una terza via, e questa potrebbe esserlo. 

Per salutarci, una riflessione, l’ennesima, su un simbolo della Juve che della Juve non fa parte. Oggi ho avuto la fortuna di vedere Alessandro Del Piero entrare nella hall of fame del calcio italiano. La bambina che lo premiava era tifosa della Fiorentina e ha fatto capire che comunque non fosse proprio uno dei suoi idoli. Perché? Italia a parte, Del Piero trasuda juventinità. Pur senza farne parte, rappresenta la Juventus come nessun altro, per quanto si sforzi, ci tenga, ci creda, potrebbe mai fare. Nel bailamme delle interviste, dei due minuti concessi, hanno prevalso altri temi, più di attualità: giusto così. Se ci fosse stato più tempo, gli avrei chiesto una cosa: come mai è fuori dalla Juve, pur essendone in realtà una parte così integrante? Forse, mi avrebbe potuto rispondere che, in fin dei conti, non lo sa. Di sicuro, non lo sappiamo noi.