Chi decide cosa è razzismo e cosa no? Aspettiamo lo Stato, spettatore inoperoso

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
15.01.2019 00:00 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
Chi decide cosa è razzismo e cosa no? Aspettiamo lo Stato, spettatore inoperoso
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“I terroni non so, ma noi italiani non siamo razzisti”. Di razzismo ha scritto così, dissacrante ma puntuale come sempre, Ellekappa, di professione vignettista. Il razzismo è tema scivoloso: qualsiasi cosa scrivi, rischi di sbagliare, di urtare un nervo scoperto. Almeno se vuoi evitare banalità. Perché l’unica cosa giusta che si possa dire è che sia sbagliato, che non dovrebbe appartenere al nostro tempo e tanto meno al nostro calcio. Giusto, poi però bisogna prendere le adeguate contromisure. E avere il coraggio di affrontarlo sempre allo stesso modo, il tema.

Partiamo dai cori. Non ululati, non buu. Non è una differenza da poco, serve il coraggio di ammettere quel che altre persone hanno l’indecenza di fare: imitano il verso della scimmia. Dare un nome alle cose è fondamentale. Quello che è successo durante Inter-Napoli nei confronti di Koulibaly è inaccettabile, quello che è successo durante Lazio-Novara è l’ennesimo schiaffo di una tifoseria alla storia recente d’Italia. Però non funziona ovunque. In Bologna-Juve lo stesso suono riservato a Koulibaly, anche quando toccava palla Kean. Anzi no, smentiscono: macché razzismo, è toccato pure a Bonucci e Bernardeschi. Sarà vero, non sarà vero? Chi decide? È questo il punto, è questa la vera domanda. Attorno a cui, per carità, si sta intrecciando l’intera questione.

Chi decide cosa è razzismo e cosa no? Chi decide se la partita va fermata oppure no? Chi decide se tutti devono pagare per qualcuno? Non possono essere gli allenatori, né i calciatori. A questo proposito ha ragione Allegri: cosa succederebbe se venisse fermata la partita dopo l’assegnazione di un calcio di rigore? Su una cosa, però, dissentiamo dal tecnico bianconero: ci sono gli strumenti per capire chi sbaglia, vero. E per carità, se uno pseudo-essere umano lancia una banana in campo a un giocatore di colore va punito lui. Però è anche vero che non si sta parlando di un fenomeno calcistico, ma sociale. Siamo tutti colpevoli, anche chi non interviene per fermare il vicino. Come se per strada vediamo un sopruso e guardiamo dall’altro lato per evitare problemi. Ecco, smetterla di girarci dall’altra parte, sarebbe una bella soluzione. E poi tocca allo Stato. Meno proclami. Meno convocazioni e riunioni. Meno strette di mani imbarazzanti. Meno partite a Genova alle 15, contro il parere e le necessità di un’intera città. Si fermino le partite, se serve si fermi anche il campionato. Se siamo davanti a un’emergenza, e forse non ci siamo ancora ma così pare, la si tratti di conseguenza.

Arrivi lo Stato, dove abbiamo bisogno che ci sia. Con decisioni impopolari, una volta tanto. Dando il giusto nome alle cose. Si è fatta tanta polemica per il manifesto con cui i tifosi bergamaschi reclamavano il diritto di cantare che non erano napoletani. Non è razzismo, quello, e gridare al lupo al lupo non aiuta. Intervenga lo Stato, quando qualcuno ignora il proprio vicino e attacca Koulibaly, o Kean, per il colore della sua pelle. Altrimenti, rimanga in poltrona da spettatore impotente. Mercoledì si gioca a Gedda: tanta polemica finì in un ovvio nulla di fatto. Non i nostri commerci con l’Arabia Saudita: lì, lo Stato non sta certo a guardare.