Astori, restiamo umani. La giornata decisiva per lo scudetto è passata e non ce ne siamo accorti. Wembley da profanare, sul mercato una vittoria per Allegri

Nasce a Bari il 23.02.1988 e di lì in poi vaga. Laurea in giurisprudenza, titolo di avvocato e dottorato di ricerca: tutto nel cassetto, per scrivere di calcio. Su TuttoMercatoWeb.com
06.03.2018 00:30 di  Ivan Cardia  Twitter:    vedi letture
Astori, restiamo umani. La giornata decisiva per lo scudetto è passata e non ce ne siamo accorti. Wembley da profanare, sul mercato una vittoria per Allegri
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Non conoscevo Davide Astori. Non posso raccontarvi di quanto fosse una brava persona, un bravo ragazzo, un grande professionista. Probabilmente vi siete anche stancati di leggerlo. Però posso raccontarvi di quanto chi lo ha conosciuto ne parli e soprattutto ne parlasse, anche prima di domenica, bene. Di quanto fosse apprezzato. Di quanto da domenica mattina, e non so per quanto, sia un po’ più complicato parlare di calcio. Per chi lo pratica, per chi ne scrive, per chi ne vive. Perché possiamo farci raccontare quanto vogliamo che di morti ce ne sono tante ogni giorno, dai bambini agli operai in fabbrica. Però siamo abituati a immaginare i calciatori come una categoria privilegiata, fuori dai nostri problemi. Siamo abituati a pensare che un trentenne, in forma, controllato, si svegli la mattina. E invece siamo umani, restiamo umani.

Che si sia rimasti più o meno turbati dalla vicenda, questa può comunque rappresentare un monito. Fermarsi è stato giusto: non per finto buonismo, ma perché lo spettacolo non sempre deve continuare. Perché possiamo ricordarci che in fin dei conti è un gioco, per quanti soldi ci possiamo buttare dentro. Perché possiamo ricordarci che di motivi per odiare ne abbiamo fin troppi, e non è un rettangolo verde a dovercene dare altri. Veniamo dalla peggior campagna elettorale degli ultimi decenni, forse la peggiore di sempre: l’abbiamo vissuta sull’odio. Viviamo un campionato tra i più avvincenti degli ultimi anni, eppure lo viviamo con odio e livore. Ci si augura di tutto e di più. Il titolo che aizza, la frase a effetto che provoca, la polemica che fomenta gli animi. Ci si augura di tutto e di più, poi all’improvviso un evento tragedia ci riporta coi piedi per terra. Può essere l’occasione per tornare a vivere il calcio che amiamo, o diciamo che amare, con uno spirito diverso. Abbassare i toni, ridimensionare il tutto. Non lo faremo, ma è bello crederci. 

Torniamo a parlare di calcio, per quanto difficile. Per ovvie ragioni, l’ultima giornata, almeno per le gare disputate, è finita nel dimenticatoio. Avvolta da una nebbia che copre quello che comunque preferiremmo non ricordare. In poche parole: forse è stata la giornata decisiva per lo scudetto. Di sicuro è stata la giornata sbagliata, per quello che è successo. Ma sabato sera potrebbe essere tornato tutto in ordine, e non ce ne siamo neanche accorti. Il Napoli patirà il contraccolpo psicologico: non c’è da immaginare che perda sempre e comunque, all’improvviso, ma la Juve di Dybala ha fatto sentire la propria differenza rispetto alla bella macchina di Sarri. Giocare bene o vincere: avrei voluto parlare di questo. È una distinzione che non ha senso: alla fine, gioca sempre bene chi vince. E per fortuna non c’è un criterio estetico univoco per giudicare una squadra o una partita. Il gioco di Allegri è meraviglioso, nella sua efficacia. Fa quello che deve fare, senza ghirigori ma quasi mai annoiando. Un quadro complicato e colorato è bello, ma può esserlo anche uno minimalista. Dimentichiamoci questa separazione manichea.

Dybala, e la perfezione semplice di Allegri, saranno due dei fattori che la Juve dovrà mettere in campo contro il Tottenham. Il pareggio dell’andata pesa come un macigno sul cammino europeo dei bianconeri, chiamati a profanare il tempio del calcio inglese, la casa di una squadra che tra le mura amiche non perde quasi mai. Wembley, nella sua storia, ha regalato gioie e dispiaceri al calcio italiano. Che sia amico o nemico, però, non è lasciato al caso. I bianconeri, oggettivamente, arrivano al confronto in grossa difficoltà. La partita contro la Lazio fa testo fino a un certo punto: sarà stata noiosa, ma la squadra non è sembrata così fuori fase come certe critiche farebbero supporre. La gara di mercoledì ha pesato, come pure i tanti infortuni. La Juve, almeno, s’è riscoperta cinica e questo è un dato importante. La differenza può essere imparare dai propri errori: all’andata ne ha commessi Allegri e ne hanno commessi i propri giocatori. Al primo direi che mi giocherei la partita senza sfoderare tutte le proprie carte. Ai secondi, che coi proclami non ci si riempie la bacheca.

Allegri una prima vittoria, intanto, se l’è presa. Tra gli allenatori di questa Serie A è stato il primo a lanciare l’idea di un calciomercato più corto. Sembrava impossibile, pare che diverrà realtà. Qualche agente e diversi giornalisti storcono il naso, ma penso che, con onori e oneri vari, sia una scelta corretta. Il mercato ha acquisito nel tempo un peso sempre crescente nelle dinamiche del calcio, con tempistiche quasi incomprensibili. Ridursi al 31 agosto era diventata un’abitudine, e almeno due giornate venivano giocate con valori del tutto distorti. Aver ascoltato allenatori e direttori sportivi, da parte di Malagò e di tutta la congrega di commissari e subcommissari vari, è una bella mossa di apertura, anche alle parti tecniche di questo sport. Per quanto possa sembrare assurdo, di vittorie e rivincite Allegri ne ha ancora da prendere con buona parte dell’ambiente juventino. Ha sbagliato tre partite da quando è a Torino, ma continua a essere poco apprezzato e poco amato. Misteri del calcio, e dell’empatia. L’uomo della finale col ristorante da 10 euro viene giudicato poco efficace in Europa. Ha una serata inglese per ribadire che, di allenatori come lui, in Serie A ne circolano pochi. Forse nessuno.