Gli eroi in bianconero: TIAGO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
01.05.2019 10:33 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: TIAGO
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© foto di Filippo Gabutti

Nasce a Viana do Castelo, in Portogallo, il 2 maggio 1981.

«A Viana abitano ancora i miei genitori, mio fratello e tutti i miei amici. E lì, nel quartiere dove vivevo, che ho cominciato a giocare a calcio. Tutto il giorno, da mattina a sera. Eravamo tanti, ci divertivamo, non avevamo idoli, non guardavamo il calcio in TV, ci piaceva giocare e basta. I miei genitori non mi hanno mai ostacolato, anche perché a scuola andavo volentieri e senza problemi. Infatti ho proseguito fino al diploma, seguendo un corso di studi indirizzato all’ambito sportivo: se non avessi fatto il calciatore ora sarei insegnante di educazione fisica. A mio padre Carlos, comunque, il calcio piace, ma da tifoso. Mia madre Julia, che è maestra d’asilo, non è invece una grande appassionata. Mio fratello Duarte giocava anche lui, ma per divertimento, poi ha scelto un’altra strada. A Viana ho conosciuto mia moglie. Io avevo quindici anni e lei tredici, andavamo nella stessa scuola. Tutto è nato lì, siamo praticamente cresciuti assieme mi ha seguito dappertutto. Oggi Barbara fa la mamma a tempo pieno. Quando ci siamo trasferiti a Braga non avendo ancora figli, ha studiato psicologia per tre anni, poi il trasferimento a Londra le ha impedito di proseguire negli studi. Ora si occupa di Beatriz e di Francisco. Siamo una famiglia normale, quando non lavoro, faccio il papà a tempo pieno. La famiglia è tutto: è la base della mia vita, da solo non sarei riuscito a fare niente, a viaggiare così tanto e ad affrontare esperienze così diverse».

Esordisce nella stagione 1999-2000 nella squadra riserve del Braga e, la stagione successiva, entra a far parte della prima squadra, grazie anche alle ottime prestazioni nel primo campionato da professionista. Quasi subito, diventa uno dei punti fermi della squadra che termina il campionato al quarto posto, conquistando la qualificazione alla Coppa Uefa.

«Dopo un anno nell’Ancora Praia, mi videro alcuni osservatori del Braga e mi chiamarono. Era il 1997, la prima volta che andavo via dal mio paese. Un’ora di macchina, ma spesso facevo avanti e indietro in pullman. A Braga vivevo a casa di una mia zia, fino a quando non mi ha raggiunto Barbara».

A metà della seconda stagione è acquistato dal Benfica, con cui si consacra definitivamente conquistando il secondo posto nella Superliga 2002-03 e guadagnando la prima convocazione in Nazionale.

«È stato un grande salto. La sorpresa più grande l’ho ricevuta al mio arrivo, pensate che mi comprarono nel mercato invernale, arrivai quindi a stagione in corso, di mercoledì, e il sabato ero già in campo, grazie alla stima di Gesualdo Ferreira che mi aveva voluto. Dall’esordio, una bella vittoria per 4-1, sono sempre stato titolare. Nel Benfica non ho avuto grandi problemi di ambientamento, anche perché conoscevo, attraverso la Nazionale, Simao, Edmilson e tanti altri. Questa è stata un’esperienza fondamentale per la mia carriera perché, rispetto al gioco che facevo a Braga, principalmente difensivo, l’allenatore mi chiese di andare avanti, di fare goal. Infatti, con il Benfica ho segnato tanto».

L’anno successivo vince la Coppa di Portogallo contro il Porto di José Mourinho che al termine della stagione porta con sé al Chelsea.

«Ed io accettai, come si poteva rifiutare un’occasione come quella? Così è arrivata anche la mia prima volta all’estero. Un cambiamento enorme, sia a livello personale che calcistico. Le differenze tra calcio portoghese e inglese sono enormi: in Premier c’è più velocità, intensità, fisicità, mentre in Portogallo il gioco è più lento e tecnico. Per quanto riguarda la vita personale devo dire che a Londra non ce la siamo goduta come magari potremmo fare oggi. Mia moglie era incinta ed ha patito il clima freddo e il tempo spesso grigio. Eravamo molto giovani, la prima volta fuori dal nostro paese, facevamo un giro ogni tanto per la città e poco altro. In squadra invece c’erano altri giocatori portoghesi, come Carvalho, già miei compagni di Nazionale, grazie ai quali l’ambientamento è stato più semplice».

Diventa subito protagonista della stagione vittoriosa dei Blues, indossa per cinquantuno volte la maglia della squadra londinese, ottenendo prestazioni a ottimi livelli e contribuendo alla vittoria della Premier League dopo cinquant’anni di attesa.

«Non nascondo che a livello sportivo a Londra ho vissuto una delle emozioni più forti della mia carriera. Ricordo il quartiere di Chelsea bloccato per ore, con i tifosi a festeggiare, ovviamente in modo molto tranquillo, non come accadrebbe in Italia e in Portogallo. In società abbiamo fatto la storia, è stato un piacere anche a titolo personale per ognuno di noi. Oltre al campionato, in quella stagione abbiamo vinto la F.A. Cup, una splendida annata. A fine stagione è arrivato Essien, che voleva dire sovrabbondanza a centrocampo e molto probabilmente panchina. D’altronde il Chelsea è così, cerca il continuo ricambio, l’ingaggio del meglio che c’è sul mercato. Quindi, quando il Lione ha bussato alla mia porta, ho pensato che fosse il momento di andare».

A Lione è relegato in un ruolo di copertura alle spalle di Juninho Pernambucano e Florent Malouda, ma riesce a imporsi nella stagione della conquista del quinto titolo francese e si riconferma l’anno successivo, sostituendo degnamente il maliano Mahamadou Diarra e vincendo il secondo titolo consecutivo con il Lione.

«L’allenatore mi voleva e sono arrivato in un ambiente splendido, in una squadra bellissima che giocava un calcio perfetto. Anche a livello di stile di vita, con la bambina piccola, ci siamo trovati a nostro agio. Eravamo i più forti, quindi era tutto più facile, perche sapevamo che potevamo vincere tutto. I tifosi, come i giornalisti, non sono come in Portogallo o in Italia, diciamo che in questo senso le pressioni sono minori. Forse è una realtà più simile all’Inghilterra, dove i tifosi sono caldi solo allo stadio e i giornalisti si danno al gossip».

Nel mercato estivo è uno dei pezzi pregiati della società francese e il 21 giugno 2007 firma un contratto quinquennale con la Juventus, per il costo di 13 milioni di euro. Tuttavia, nella prima stagione con la squadra torinese non riesce a esprimersi al meglio e, per questo, motivo trova poco spazio nel centrocampo della compagine di Claudio Ranieri, anche a causa dell’esplosione di Zanetti.

In campionato disputa una ventina di gare, quasi mai da titolare e con un rendimento di assai basso profilo, rivelandosi il grande acquisto flop della rinascita bianconera. Durante il mercato estivo è spesso dato in partenza, tuttavia, soprattutto per sua volontà di non trasferirsi, rimane a Torino come riserva.

L’anno successivo, dopo un inizio nel quale è poco presente, anche a causa di un infortunio, riesce a disputare qualche spezzone di partita, nei quali mostra netti progressi rispetto alla stagione precedente, ricevendo anche i complimenti dell’allenatore Ranieri e del presidente Cobolli Gigli, soprattutto dopo la convincente prestazione contro il Bologna.

Dice il mister bianconero: «Ho sempre dichiarato che i ragazzi sono stati acquistati dopo essere stati soppesati e valutati. Poi è ovvio che possono incontrare delle difficoltà. Adesso Tiago non si sente come l’anno scorso un giocatore che deve dimostrare qualcosa, perché su di lui si regge il gioco della squadra e ha meno responsabilità. Ora riesce a fare quello che sa fare. I ragazzi gli vogliono bene e lui dimostra di avere una classe cristallina. Ha giocato bene in mezza Europa ed era strano che in Italia non ci riuscisse. Adesso negli spezzoni di partita che gli sto dedicando sta dimostrando di non essere un acquisto sbagliato».

Conferma le ottime impressioni destate in precedenza con altre gare di alto livello, come gli scontri diretti con la Roma in campionato, e il Real Madrid in Champions League. Ma la sfortuna è in agguato: sabato 22 novembre 2008, al secondo minuto di gioco della partita Inter-Juventus, si procura una distorsione al ginocchio sinistro in seguito ad un contrasto con Dejan Stanković, che lo costringe a uno stop di una quarantina giorni. Rientrato dall’infortunio, gioca da titolare l’8 febbraio 2009 in Catania-Juventus, confermando i miglioramenti visti in precedenza. A causa degli infortuni di Zanetti e Sissoko, forma con Marchisio la coppia titolare del centrocampo bianconero per la parte finale della stagione.

Con l’arrivo di Ciro Ferrara, nell’estate del 2010, e con passaggio al modulo 4-3-1-2 (o rombo) a lui più congeniale, tutti si aspettano la definitiva esplosione di Tiago.

Il giocatore stesso è molto speranzoso: «Con Ferrara va molto bene, sento la sua fiducia, il mio problema? Non era l’incapacità di adattarmi al campionato italiano ma il modulo, ho sempre giocato in un centrocampo a tre. Quando l’anno scorso giocavamo a quattro ero bloccato con compiti difensivi, ora invece sono più libero, difendo ma posso anche andare a prendermi il pallone e costruire gioco, così posso esaltare le mie caratteristiche. Perché ora sorrido tanto? Sta andando tutto per il meglio: sono soddisfatto del mio lavoro e di quello della squadra, abbiamo battuto il Real giocando un buon calcio, che altro possiamo chiedere in questa fase di preparazione?».

Il portoghese, però, si dimostra in netto calo rispetto alla stagione precedente, disputando partite di non elevato spessore condite anche da grossolani errori, simili a quelli che lo avevano caratterizzato nel suo difficile primo anno in bianconero.

Trascorre una prima parte di stagione essenzialmente come riserva, per poi venire definitivamente accantonato dopo la partita di Champions League contro il Maccabi Haifa, disputata il 3 novembre 2009. L’8 gennaio 2010 è ufficializzato il suo trasferimento all’Atletico Madrid, terminando così la sua poco felice avventura in bianconero.

«A Torino ho perso un anno, il primo – racconta in un’intervista al sito della Federazione portoghese – volevo dimostrare di vincere attraverso il lavoro. In seguito sono tornato a vedere le cose in maniera positiva, dando il massimo e dimostrando all’allenatore che potevo fare bene, per me e per i compagni. Da quel momento le cose sono cambiate e migliorate: è stato il punto più basso della mia carriera, ma da quell’annata imparai molto. Con Ranieri non c’è mai stata sintonia. È importantissimo per un giocatore avere la fiducia dell’allenatore, a maggior ragione quando cambi squadra e ti trasferisci in un nuovo paese. In Italia, sin dall’inizio, non ho mai percepito la fiducia di Ranieri: dal primo momento tra noi non c’è mai stata sintonia, ero alla Juve ma sarei voluto andare via».