Gli eroi in bianconero: Giuseppe GALDERISI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
24.03.2022 10:20 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Giuseppe GALDERISI
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«Galderisi ebbe un momento di fortuna che oggi si potrebbe definire sfacciata – scrive la pungente penna di Caminiti – nell’esordio in Serie A dal 60’ in sostituzione di Marocchino, avvenuto a Perugia in un match senza gol, il 9 novembre 1980, le sue doti si erano potute appena intuire, doti di sveltezza innanzitutto. Poi il 14 febbraio 1982 giocò contro il Milan e segnò i tre gol della sua vita, e Boniperti, cioè il più silenzioso presidente dell’intera storia del pallone, gli dedicò una frase, anzi un pensiero, ricco di una grande virtù: la generosità. Boniperti disse testualmente: “Questo Galderisi fa gol come Zoff para”. Erano i giorni in cui Zoff lustrava la sua gloria sempiterna e parve una profezia per la carriera più luminosa. Così fu in effetti, anche se di gol nella Juventus, dopo quei tre, non ne avrebbe segnati molti: il marchio, direbbe Angelo Caroli, rimane».
Per acquistarlo, ragazzino, dal Raito squadra di Vietri sul Mare, la Juventus aveva battuto la concorrenza di Napoli, Inter, Varese e Atalanta. L’avevano visto già a Parma, dove la sua famiglia ha vissuto 11 anni: «Da pochi mesi eravamo tornati al Sud, quando la Juventus venne a prendermi. Il mio destino era al Nord, evidentemente».
Proprio in bianconero esordisce in Serie A, il 9 novembre 1980, che resterà l’unica presenza nella stagione. Galderisi è un uomo gol, ha tutte le caratteristiche da attaccante puro; sa sacrificarsi in ritorni utili alla squadra, ma il suo occhio svelto è sempre rivolto alla porta avversaria. «All’improvviso il mister mi fa dire di prepararmi dal massaggiatore De Maria. Corsetta, qualche esercizio, due o tre scatti, mentre la pioggia mi bagna i capelli. Trenta minuti tutti miei. Ma durati poco, troppo poco per uno come me che aspettava da sempre quel momento. Peccato non aver combinato molto in quella prima partita: un po’ come quando si scarta il cioccolatino nella speranza di leggere che hai vinto e invece trovi scritto “ritenta”».
Grosso, che lo ebbe a lungo con sé nella Primavera bianconera, dive di lui: «Pochi minorenni nel nostro calcio hanno fatto capire subito che sarebbero diventati giocatori di primo piano. Agile, potente, capace di calciare indifferentemente di destro o di sinistro. Il suo tiro dai 16 metri è forte e preciso e, malgrado la statura, emerge in elevazione grazie alla sua scelta di tempo. Il suo ruolo iniziale era quello di mezza punta, ma è diventato uomo da area».
«I primi tempi – racconta Nanu – sono stati molto duri. Sentivo terribilmente la nostalgia di casa e tante volte mi inventavo delle scuse per poter tornare in famiglia. Ma il solo fatto di potermi allenare con Bettega, Causio, Tardelli era come sognare a occhi aperti. Così come fantastica era la sensazione di tirare in porta a Zoff. Qualche volta l’ho fatto anche arrabbiare perché, magari, fintavo la botta e provavo a superarlo con un pallonetto. Ero giovane, carico e un po’ sfrontato. Sono stati anni meravigliosi ed io ho dato il massimo. Anche grazie a Beppe Furino con cui palleggiavo prima di iniziare ogni allenamento e al Trap che mi teneva ancora in campo quando gli altri avevano finito».
Un metro e 70, 69 chili il suo peso forma, Galderisi non è certo piccolo, anche se il nomignolo affettuoso di Nanu se lo porta appresso come un’etichetta. La sua forza sono lo scatto, la grinta, la voglia di combattere su ogni pallone: conquistarlo, difenderlo, calciarlo, possibilmente dove il portiere non può arrivarci.
Poi il gol contro l’Udinese: «Parto dalla panchina, ancora con il 16, ma Tardelli dopo mezzora si fa male. Tocca a me.

Mi scaldo bene, fa freddo, la pista del Comunale è ricoperta di neve. Entro in campo, si cambia modulo, adesso si gioca con due punte: io e Virdis là davanti, mentre Bonini schierato con l’11 prende il posto di Tardelli». Nanu è in palla. Scatti, piroette, assist per i compagni: una meraviglia. Fino al fatidico minuto numero 52. «Cross in area, svetta Osti per l’occasione spostatosi in avanti. Borin, il portiere avversario riesce solo a respingere il pallone. Io sono lì, da solo, a due metri dalla porta. Basta un tocchetto. Gol, ho segnato. Dallo slancio finisco in porta anch’io, poi però, torno indietro e corro verso la curva a ringraziare i tifosi. Ricordo che mi venne incontro Cabrini e mi sollevò da terra. Con quel gol vincemmo la partita».
E ancora la tripletta contro il Milan: «Stavo andando a Viareggio con la Primavera, per disputare il torneo di carnevale. Arrivato in Toscana arrivò la telefonata di Trapattoni che mi diceva di prendere il primo treno e tornare a Torino, perché l’indomani avrei giocato titolare. Quei tre gol furono uno dei momenti più belli della mia vita. Ma quanti calci nel sedere dal Trap! Mi controllava in tutto, che cosa mangiavo, se fumavo o meno. Lo faceva per il mio bene e per me è stato uno dei punti di riferimento più importanti della mia carriera».
Ricorda ancora con amarezza quando Boniperti gli disse che in bianconero non c’era posto per lui: «Ci rimasi male, della Juventus mi resta comunque un bel ricordo, ma forse è stata la mia fortuna quella partenza. Ero chiuso da troppi campioni, avevo bisogno di libertà e soprattutto di giocare. Ma la Juventus è stato lo spaccato della mia vita. Quello stare insieme, quella disciplina, quella voglia di essere sempre i migliori, quella fame di voler sempre vincere. Solo chi è stato dentro può rendersi conto di cosa sia la Juventus, perché la Juventus non si può raccontare, la si deve vivere».
Poi il Verona e lo scudetto da provinciale, quindi il passaggio dal ruolo di promessa a quello più impegnativo, ma senza dubbio più piacevole, di campione consacrato e appetito, tanto da finire alla corte di Berlusconi. Dopo il Milan, inizia il suo girovagare, che lo porta alla Lazio, di nuovo al Verona, sempre con pochissimo costrutto, anche a causa di numerosi infortuni che ne limitano il rendimento. Trova pace e tranquillità a Padova, dove inanella diverse buone stagioni in serie B.
Nel 1986 Nanu è il centravanti titolare della Nazionale di Bearzot al Mondiale in Messico. Capitato in una dimensione troppo grande per lui, naufraga miseramente, non aiutato, certamente, da una squadra che è solo la brutta copia di quella trionfante al Bernabéu quattro anni prima.
Ma la tripletta al Milan, soprattutto il gol su rimpallo con Collovati, ha la grandiosità dei classici: come Harpo che fuma la corda, il pasto di Chaplin ne “La febbre dell’oro” e l’inseguimento di “Ombre rosse” e autorizza l’ingresso di Galderisi nella storia bianconera.