Gli eroi in bianconero: Dino DA COSTA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
01.08.2017 07:30 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Dino DA COSTA
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A ogni estate, con il tradizionale calciomercato, si verificano acquisti-boom e acquisti che passano in secondo piano, offuscati dai primi; quello che fece la Juventus nel giugno 1963, prelevando il già trentenne Da Costa dall’Atalanta, apparteneva sicuramente a quest’ultimo gruppo. Nel primo già c’erano nomi del calibro di Menichelli, Gori, Dell’Omodarme e Nené. Alla Juventus il problema del centravanti non è stato risolto certo con Miranda, che l’anno prima ha fatto sfracelli con memorabili legnate, ma non ha lasciato un grande segno. E così è arrivato Nenè, che centravanti non è, ma che quanto a tecnica garantisce assai più del predecessore. Da Costa, prelevato in extremis dall’Atalanta, rappresenta niente di più di un’alternativa alle punte; nessuno, infatti, pensa a lui come a un possibile titolare, tanto meno l’allenatore Amaral che, del resto, rimane al timone della squadra ben poco, rilevato dal serafico Monzeglio.
L’esordio di Da Costa in maglia bianconera avviene nell’inedito ruolo di mediano di spinta, a Modena, nella gara persa di misura contro i Canarini. Per la Juventus è un brutto momento; le polemiche sono tante e Sivori, fresco capitano, spesso si rabbuia. Alla quinta giornata, Omar esce di squadra, squalificato, e Monzeglio lo rimpiazza con Da Costa. Dino, che è subito diventato uno dei beniamini dei tifosi bianconeri, per il suo impegno in partita come in allenamento, diventa vice Sivori proprio in occasione della partita contro la Roma, la formazione in cui egli aveva conosciuto i primi e più consistenti successi nel campionato italiano.
È una gara puntigliosa quella che i bianconeri disputano il 20 ottobre 1963 e molta parte del netto successo sui capitolini va proprio a Da Costa, che realizza il primo dei tre goal a uno della Juventus. Riscoperta la sua vena di cannoniere, non gli riesce difficile essere confermato, o al posto di Sivori oppure a quello di Nenè o di Del Sol. La prima stagione juventina di Da Costa si chiude in lieve calando, complice una serie di incidenti che, in parecchie partite, pregiudicano la sua utilizzazione. Si deve accontentare di dodici presenze con tre reti all’attivo, una delle quali, ottenuta a spese della Sampdoria; esecuzione esemplare, con tanti contrasti vinti e una conclusione perentoria a fil di montante.
Per la sua conferma in maglia bianconera, comunque, non ci sono problemi. Nella squadra che eredita Heriberto Herrera, non c’è più l’altalenante Nené e al suo posto è giunto Nestor Combin detto la folgore. Di Da Costa c’è più che mai bisogno, come nella partita di Catania persa malamente, in cui solo Dino si salva, con una prestazione maiuscola e il goal della bandiera; come la successiva gara interna con il Mantova, in cui Da Costa gioca al centro dell’attacco rimpiazzando l’infortunato Combin, subito a disagio con i ruvidi difensori del nostro campionato. La Juventus vince la partita ma perde Sivori, costola rotta e addio campionato per un bel po’; ora Dino diventa indispensabile e dalla squadra non esce più.
Da Costa, nella Juventus heribertiana 1964-65, svolge mansioni di regista offensivo e, intanto, fa vedere che la classe è ancora integra, anche se non è più smaltata dalla grinta dei tempi di Roma. Da Costa applica alla lettera gli insegnamenti di Heriberto, che gli chiede prodezze nei sedici metri, ma anche tanto oscuro lavoro al servizio degli altri, per cercare di scardinare le difese avversarie, sempre più chiuse. Il tifoso che vede e capisce un tantino più in profondità delle mere apparenze, apprezza Da Costa come pochi altri. Arrivano anche goal importanti; derby di andata, è novembre inoltrato e nessuno delle torinesi ha già raggiunto un’apprezzabile condizione di forma, ma la Juventus azzecca la giornata buona e rifila un sonante 3-0 al Torino, nonostante la grandissima prova del portiere granata Lido Vieri. Il secondo dei tre goal è di Da Costa, ma anche sul terzo, lo zampino del nostro c’è e si fa sentire. Altro goal di un certo rilievo è quello segnato a Vicenza, nella vittoriosa trasferta di inizio 1965 (3-1), con gran botta dal limite. Non è per la Juventus un campionato esaltante, ma i tempi consentono poche speranze e bisogna accontentarsi. Giornata atipica è quella del 7-0 inflitto al Genoa, che pure schiera, all’attacco, un tipo strambo che è già stato e presto sarà di nuovo juventino, Gianfranco Zigoni. Uno dei sette goal inflitti al Grifone, stanco di Serie A, è proprio di Da Costa. Nel vittorioso epilogo casalingo del torneo, contro il Vicenza, Dino conclude degnamente la sua stagione in bianconero, realizzando la sesta rete personale in trentuno partite. Tutto sommato, è stato l’attaccante più regolare, ha fatto anche meglio di Combin; a trentatré anni è ancora utilissimo e, naturalmente, è confermato.
«Faccio vita tranquilla, senza pretendere nulla di eccezionale – confessa Da Costa – so che devo avere cura del mio fisico, come facevo quando ancora ragazzino aspettavo che mi chiamassero in prima squadra, nel Botafogo.

Poi un giorno l’allenatore mi disse di prepararmi. Era il secondo tempo dell’incontro con il Vasco de Gama. Mancavano venti minuti alla conclusione. Mi disse di entrare e presi il posto di mezzala. Avevo il cuore che mi batteva forte, forte; le gambe mi tremavano per l’emozione. Però quando sono rientrato negli spogliatoi l’allenatore disse che avevo fatto il mio dovere. Ecco che cosa mi è rimasto in mente da quel giorno, la parola dovere. Mi prendevano in giro, dicevano che alla mia età sarebbe stata presunzione sperare nel posto in prima squadra. Non mi facevo illusioni. Ero anche rassegnato al destino di guardare le partite dalla tribuna. Qualche volta soffrivo, perché c’era chi scherzava sui miei sogni. Avevo fiducia, convinto che un uomo che abbia volontà non è mai finito. Non sbagliavo. Con l’arrivo di Heriberto Herrera è cambiata la mia vita. Ho indossato la maglia bianconera ritrovando forza e volontà di combattere ogni domenica per la squadra e il pubblico. Non mi sento un campione. Non credo neppure che sia eccezionale quello che faccio. Mi sento bene, mi diverte giocare. Non c’è miracolo nella mia vita di atleta. Cerco di non agitarmi, mangio a ore fisse, passeggio quando posso e la sera, dopo aver guardato un po’ di televisione, vado a dormire. Mi circondo di cose semplici, non desidero cose impossibili, sono felice con mia moglie. Ho tutto, capisce? Non mi manca proprio niente».
Chiaro che ripetersi su quei livelli di regolarità non è facile, a quell’età; infatti, accade che Heriberto, che intanto ha trovato in Cinesinho, detto Cina, il podista-regista per il suo “movimiento”, spesso accantona Da Costa, anteponendogli lo speranzoso Silvino Bercellino, detto Bercedue, o Traspedini. Al momento opportuno, Dino riesce ancora a rendersi utilissimo, realizzando una rete a Ferrara nella gara pareggiata 2-2 con la Spal e, soprattutto, segnando la rete della vittoria a Roma contro la Lazio, con magistrale colpo di tacco.
La parentesi di Da Costa in bianconero si chiude qui; tre campionati e parecchi momenti da ricordare. Un posto nella galleria di bianconeri degli anni Sessanta gli spetta di diritto e non è necessariamente un posto di secondo piano.
«Correre più del pallone – racconta Caminiti – amministrarlo con furore agonistico, battendosi fino allo stremo e, in realtà, Da Costa aumentò la sua credibilità tecnica, risultò pratico fiondante sprintato eclettico possessivo, il primo heribertiano in terra, da brasiliano infine superstizioso e amabile si prodigò con meraviglioso slancio».