Gli eroi in bianconero: Dino BAGGIO
Estate del 1991: «Mi chiama Borsano, il presidente del Torino, e mi chiede se voglio andare alla Juve. Al volo dico io, che da piccolo tenevo anche per i bianconeri. Visite mediche, accordo fatto e presentazione con tanto di foto. Poi, mi telefona Boniperti, ero in vacanza. Mi dice di andare subito in sede. Vado e mi lascia a bocca aperta: per quest’anno vai all’Inter, poi torni da noi. Ma come, mi avete fatto fare anche le foto con la maglia della Juve e dopo due giorni vado via? Poi, capii. Doveva tornare Trapattoni alla Juve. La verità è che sono stato il primo giocatore a essere scambiato con un allenatore!». Tornato in maglia bianconera, vi resta due anni; la prima stagione in bianconero è indimenticabile, in quanto è il grande protagonista della vittoriosa cavalcata in Coppa Uefa. I suoi goal sono decisivi, addirittura tre nella doppia finale contro il Borussia Dortmund.
La seconda stagione è meno felice, sballottato in più ruoli non riesce a rendere come potrebbe: «Sono partito attaccante, poi li ho girati un po’ tutti. Trapattoni voleva impostarmi come terzino sinistro e a me non dispiaceva. Ma quando Sacchi ha iniziato a chiamarmi in Nazionale e a mettermi a centrocampo, ho chiesto al Trap di fare altrettanto. Ma non è stato facile convincerlo».
Nell’estate del 1994 si trasferisce al Parma e, con la maglia gialloblu, il 9 gennaio 2000 si rende protagonista di un episodio increscioso: secondo tempo di Parma-Juventus, Baggio si rende colpevole di un duro intervento su Zambrotta che viene sanzionato col cartellino rosso. Arrabbiatissimo, se la prende con tutti i giocatori juventini e, prima di uscire dal campo, mima all’arbitro Farina il gesto dei soldi: gli costerà una squalifica per sei giornate e una multa di duecento milioni di lire.
«È da quel momento che sono cominciati i miei guai e sono rimasto fuori dal giro della Nazionale. Mi sono beccato un rosso molto discutibile per un intervento su Zambrotta. L’arbitro era Farina. Mi ha cacciato ed io ho protestato vivacemente, facendo il segno dei soldi, strofinando indice e pollice. Per quel gesto sono finito fuori dal giro della Nazionale. Ricordo sempre che mi arrivò una telefonata dalla Federazione con la quale mi dicevano che avrei saltato due partite e che dopo mi avrebbero richiamato.
Non era mai successo prima. Chiesi spiegazioni e mi fu detto che la mia punizione doveva servire da esempio. Ho anche perso la Nazionale. Avevo ventinove anni e fino alla squalifica ero uno dei titolari. A giugno del 2000 poi c’erano gli Europei ai quali avrei dovuto partecipare. Dopo le sei giornate di stop, sono tornato a giocare. Ed ero in campo anche nello spareggio con l’Inter per la Champions a maggio. Ero in forma, stavo benissimo. Aspettavo una chiamata dalla Nazionale. Mi telefonò Dino Zoff. Mi disse che non mi aveva visto bene fisicamente. Afferrai al volo. Dissi al mister che capivo che non era colpa sua. Tra l’altro con Zoff ho sempre avuto un ottimo rapporto e alla Lazio è stato l’unico allenatore che mi ha fatto giocare. Era già tutto deciso ed era un’ulteriore punizione per quello che era successo a gennaio. Non mi sono mai pentito. Anche se il lunedì seguente, il Parma mi mandò a forza al “Processo” di Biscardi per recitare la parte del figliol prodigo che si pente per quello che ha fatto. Ma di vero non c’era nulla. Quel gesto lo avrei fatto mille volte».