Gli eroi in bianconero: Alfredo BODOIRA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
06.09.2017 10:39 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Alfredo BODOIRA
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Nato a Mathi Canavese, il 30 agosto del 1911. Chiamato affettuosamente e scherzosamente Pinza per le dimensioni e la robustezza delle sue mani, era venuto alla Juventus addirittura prima di Valinasso: avendo giocato una partita nel vittorioso campionato del 1930-31, si era conquistato così il diritto di fregiare la maglia del titolo di Campione d’Italia. Di Bodoira come guardiano della rete bianconera si parla con una certa continuità nel periodo che va dal campionato 1937-38 a quello 1940-41: inizialmente il buon Pinza si alternò con Amoretti e poi diventò titolare, avendo Goffi come rincalzo. Bodoira deve essere ricordato come atleta serio e puntiglioso, un giocatore dal fisico d’acciaio, cordiale ed affettuoso con tutti. Con Borel e Gabetto, il buon Alfredo passò poi al Torino all’inizio della stagione 1941-42. In totale, riuscirà a collezionare 98 presenze.

La risata adolescenziale, l’eterna barba del profeta – racconta Vladimiro Caminiti –  esponeva le immense palme delle mani, le sue manone come pale, per il campo, prima e dopo ogni match, in segno di giubilo. Alla non tenera età di quasi settant’anni, ancora mi narrava le sue imprese.
Nelle sue mani tutte gobbe e piene, le pene del proletariato del calcio, quando il campione non era divo. A dir le sue virtù bastavano le mani, che lo presentavano e documentavano come portiere capace di ogni grandezza, mitico e mitologico. Parava con le mani, qualche volta anche aiutandosi con il corpo, la gente gli gridava: «Pinza Pinza!» e lui girava per il campo, la risata adolescenziale, la barba di venti giorni, le palme esposte come trofei delle sue mani immense, mani incallite di manovale semplicione e credulone. La Juventus lo mandò in prestito all’Anconetana, dove rimase dal primo gennaio 1934 al luglio 1936 e si accreditò di virtù stregonesche, parando tutti i calci di rigore. In verità, avendo sofferto la fame da bambino non crebbe mai del tutto nella compagnia dei primi divi del calcio e senza essere preso sul serio fu serissimo, anche nel Torino, per quanto costretto all’inattività per grane fisiche ricorrenti. Era un temerario, risicando l’osso del collo nelle sue uscite con le mani avanti e giù in picchiata tra i piedi degli avversari lanciati. Finita la carriera, riprese a sgobbare duro, in fabbrica, da gruista, con il salvacondotto della simpatia di bianconeri mancati, come il sentimentale Ortolano. Non volendo andare in pensione a sessant’anni lavorava canticchiando, con le sue immense mani proletarie, tutte gobbe e pene e colpi, non rassegnandosi di non potersi più chinare in un campo di calcio, almeno con la mente ci rimane.