Gli eroi in bianconero: Alessio TACCHINARDI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
23.07.2018 10:31 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Alessio TACCHINARDI
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Un grande fra i grandi protagonisti bianconeri, con 404 presenze, quindici reti e ben quindici trofei conquistati. Nato a Crema il 23 luglio 1975, non ci mette tanto a fare le sue scelte: la Juventus e Platini. D’altra parte in quei tempi (fine anni Settanta, primi Ottanta) la scelta era obbligata: c’era una squadra che vinceva e dettava legge e c’era un campione che parlava con la “R” moscia, dava spettacolo e incantava, oltre a risultare spietatamente decisivo. «Quando avevo dodici o tredici anni, mio padre mi portò a Torino per vedere per la prima volta dal vivo la mia squadra preferita. Era un Juventus-Sampdoria, ricordo ancora l’emozione per la cornice di folla del Comunale e per il fatto di poter vedere giocare dal vivo i miei idoli. Fu una bellissima partita, decisa da uno straordinario goal di Platini. Cosa potevo pretendere di più?».

La carriera di Alessio Tacchinardi prende la via di Bergamo, dopo che il fratello Massimiliano, difensore di ruolo di qualche anno più grande di lui, aveva trovato fiducia nelle giovanili dell’Inter. Impostato fin da giovanissimo come centrocampista, negli Allievi dell’Atalanta è utilizzato stabilmente come tornante. Vista la sua personalità, il senso della posizione, l’autorità e la perentorietà del lancio, Prandelli decide di provarlo come regista. L’esperimento riesce perfettamente e il giovanissimo Alessio diventa protagonista assoluto dell’irripetibile stagione 1993, che porta la squadra orobica a dominare la scena giovanile vincendo il Torneo di Viareggio e il campionato Primavera.

La Juventus lo opziona lo stesso anno. Un litigio fra i dirigenti dell’Atalanta e il nuovo corso juventino (le due società erano d’accordo per lasciarlo un’altra stagione a Bergamo a maturare con Mondonico, quando le richieste esorbitanti per definire le posizioni di Morfeo e Locatelli interruppero bruscamente il dialogo e incrinarono i rapporti fra i due club, tradizionalmente amici) fanno sì che Alessio arrivi a Torino con un anno di anticipo.

Alla Juventus, Tacchinardi trova davanti a sé due centrocampisti di consolidata fama internazionale come Paulo Sousa e Deschamps. Ma è il portoghese, indubbiamente, l’uomo a cui somiglia di più. «Avere davanti a me Paulo Sousa è molto importante – diceva Tacchinardi durante il ritiro di Buochs – perché gioca come piace a me. Da lui potrò imparare molto e crescere ulteriormente».

Il portoghese è anch’egli molto accattivante nei suoi giudizi: «Tacchinardi ha già grandi qualità: il suo senso della posizione e la rapidità nell’impostare sono già buone. A mio avviso dovrebbe rischiare un tantino di più il lancio lungo: piedi e intelligenza non gli fanno certo difetto».

«Ha già una notevole maturità – sono le parole Didier Deschamps dopo le prime partitelle – deve solo migliorare nel recupero della palla: una qualità che cresce insieme con la maturazione fisica».

La Juventus gioca a zona e Lippi decide di schierarlo nel ruolo di difensore centrale; una soluzione azzeccata, poiché gli permette di compiere grandi passi. La convocazione nell’Under 18 gli spalanca cieli azzurri. Sergio Vatta, il tecnico che lo ha lanciato in Nazionale, dice: «Alessio è fra i migliori giocatori che ho avuto. Possiede una straordinaria visione di gioco e sa intuire con molto anticipo come si muoveranno i compagni». Quasi scontata la promozione in Nazionale A. Gioca la prima gara come difensore, accanto a Ferrara e Costacurta, il 6 settembre 1995 a Udine contro la Slovenia. In bianconero l’occasione giusta arriva nel 1995 a Parma, finale di Coppa Italia: Lippi lo piazza in difesa e lui gioca una delle più brillanti partite della carriera. Dopo l’exploit di ventiquattro presenze, soffre una crisi di identità di ruolo: libero o centrocampista? Il dubbio viene sciolto dal campo nel 1997: da quel momento in poi, in Italia e in Europa, applaudiranno un grande centrocampista dotato anche di una gran fucilata da fuori area. Dopo Lippi, Carletto Ancelotti ne fa uno dei protagonisti dei suoi quasi due scudetti. Quando Umberto Agnelli scarica il tecnico emiliano per restituire la panchina a Lippi, Tacchinardi regala a Carletto un goal di rara bellezza contro l’Atalanta, ultima gara di un campionato sfortunato, il 2000-01.

Ritorna Lippi e, per Alessio, sono altri anni di grandi trionfi; due scudetti, due Supercoppe Italiane e una finale di Champions League persa contro il Milan. È il turno di Capello; con Don Fabio, Tacchinardi conosce più la panchina che il campo, ma riesce a conquistare un nuovo tricolore, il sesto della sua eccezionale carriera. Nell’estate del 2005, Alessio abbandona la Juventus e si accasa in Spagna, nel Villareal; nonostante non sia una squadra formata da grandi campioni, Tacchinardi riesce a trasferirne tutta la sua esperienza fino a portarla alla semifinale di Champions League, eliminati dall’Arsenal, con grande rimpianto per un calcio di rigore fallito, nel finale della partita di ritorno, dall’argentino Riquelme.

«Dopo l’arrivo di Capello mi sono sentito ai margini della squadra. Così, quando è arrivata la proposta del Villareal, l’ho accettata. In Spagna ci sono meno tensioni e pressioni. Lì se provi la giocata e non ti riesce, non ti fischiano. Diciamo che in Spagna, come in altri paesi, c’è più cultura sportiva. Quando abbiamo eliminato l’Inter dalla Champions, ho provato una grandissima gioia!».