Non è un problema di tuta

06.04.2017 06:45 di  Leonardo Labita  Twitter:    vedi letture
Non è un problema di tuta

Il bello di rileggere alcune dichiarazioni, subito dopo Napoli-Juventus, è avvertire in modo ancora più intenso, il privilegio di essere nati juventini.

Non solo, non si può che provare gratitudine verso madre natura, quando alla voce squadra del nostro cuore, ha cliccato Juventus, nell’assistere a un presidente che si complimenta con la sua squadra, subito dopo aver fallito l’ennesimo obiettivo stagionale; riuscendo perfino a dare del catenacciaro, all’allenatore italiano capace di vincere (fino ad ora) due scudetti, due coppe Italia e raggiungere una finale di Champions.

 Si avverte quasi un senso di sollievo allo scampato pericolo, misto alla sensazione di chi pur non volendo peccare di presunzione, non può far altro che avere conferma di essere sempre più avanti rispetto agli altri.

Basta anche leggere un tweet di un giornalista costretto a inventarsi l’amico americano, piuttosto che il cinguettio del giornalista di fede giallorossa che nonostante un tweet del tipo “Sabatini ha costruito una rosa con almeno tre formazioni da Champions” datato 24/07/2014, e nonostante l’ennesimo recente obiettivo stagionale fallito dalla “sua” Roma, trova tempo e (coraggio) di twittare “Conta più giocare come il Napoli che vincere come la Juventus”.

Come non riuscire a provare un senso di superiorità senza peccare di presunzione, davanti a tutta questa mediocrità, soprattutto dopo gli ultimi due mesi nei quali abbiamo assistito ai deliri di natura milanese-cinese, di piagnistei azzurri e d’intercettazioni telefoniche autentiche e vere come il passaporto di Recoba.

Si avverte quasi il bisogno di trovare dei rivali all’altezza, non solo in campo, ma soprattutto fuori dal campo.

Sempre senza peccare di presunzione, come si può riuscire a non sentirsi superiori di fronte a scene degne di campi da terza categoria, a voler essere generosi.

Spogliatoi di casa presi di mira e trasferte come quelle appena concluse in terra napoletana, non fanno altro che rafforzarne la convinzione.

Tutto quello che ha circondato le trasferte di Napoli, è stato, per usare la prima parola che viene, imbarazzante.

Per molti juventini è sembrato come ritrovarsi a rigiocare la trasferta di Champions del lontano 1998 in una “bollente” Instabul alle prese con il “caso Ocalan”.

Già, la Champions, con il suo fascino, il suo stile, la sua eleganza.

Già l’eleganza, quella che di sicuro non è soltanto rappresentata da un completo corredato di camicia e cravatta, che di certo aiuta ad avere uno stile.

Già lo stile, quello che dovrebbe essere sempre presente durante le conferenze stampe, affinché le stesse non diventino, a causa del lessico usato e di frequenti epiteti, poco adatte ai bambini, un lessico che, al netto della foga e della trans agonistica non dovrebbe mai portare in dote insulti omofobi perfino al collega vicino di campo.

Già il fascino, l’eleganza, lo stile che nemmeno una panchina d’oro assegnata, molto difficile da spiegare numeri e trofei alla mano, può automaticamente assegnare.

Perché se non è stato ancora sufficiente, riuscire nell’impresa di essere fuori da tutto, già nei primi giorni di Aprile, bastano venti secondi per annullare tutto, per fare arrossire chi ancora con coraggio e in modo pericoloso usa aggettivi importanti come “maestro” o “insegnante”. Bastano venti secondi per avere la certezza che allenatore, ambiente, presidente e società vivono in simbiosi in una triste mediocrità.

Venti secondi: non quelli della partita di andata ai quali, restando fedele alla mediocrità appena citata, si fa subito riferimento.

 Assolutamente no.

Sono i venti secondi in cui si grida “giocala, non gliela ridare”.

Sono i venti secondi che riescono a dare un significato a tutto.

Sono i venti secondi che a molti (come noi) confermano quanto già sapevamo.

Sono i venti secondi che delimitano ancora di più un tipo di calcio da un altro.

Sono i venti secondi che rimarcano la grande squadra da quella piccola.

Sono i venti secondi che ancora per decenni condanneranno a sentirsi dei rivali quando invece storia, numeri e palmares continuano a dire il contrario.

Sono i venti secondi che in un certo senso danno una continuità storica della mancanza di fair play da quell’indimenticabile “monetina di Alemao”.

Sono i venti secondi che confermano che non è un problema di tuta…