Thuram a RBN: "Il calcio non fa abbastanza contro il razzismo"

28.01.2022 17:20 di  Alessandra Stefanelli   vedi letture
Thuram a RBN: "Il calcio non fa abbastanza contro il razzismo"
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L’ex difensore Lilian Thuram è intervenuto ai microfoni di Radio Bianconera nel corso di ‘Cose di Calcio’. È stata l’occasione per analizzare la sua nuova vita da attivista anti-razzista: Io dico che uno non nasce bianco o nero. Sono diventato nero a 9 anni, quando sono arrivato a Parigi e alcuni bambini bianchi mi hanno chiamato "sporco nero". Ma si diventa anche bianchi: un giorno, a Torino, chiesi al mio secondo figlio, Khéphren: "Tu sei l'unico nero della tua classe? E lui mi ha disposto che non era nero, ma che era marrone. Nero e bianco sono idee, dovute a una storia in cui hanno menzionato l'esistenza di diverse razze, dando, però, superiorità a quella bianca. Purtroppo siamo figli di questa storia e dobbiamo impararlo. Spesso siamo frutto di abitudini sbagliate. Quando tu fai due gruppi, spesso quando ne appartieni a uno, tendi sempre a pensare che il tuo sia sempre meglio". 

E ancora: "Quando non conosci la storia, è difficile intendere che queste cose sono vere. Quando cominci a parlare del razzismo, c'è da dire che questo è dovuto a un'ideologia politica, però, per rendere normale che c'è una politica economica che sfrutta della gente. Il razzismo non è una cosa naturale: per esempio, tante persone pensano della schiavitù che sia un sistema di confronto tra gente di colore diverso. Invece, non è così. Io credo che quando si parla del razzismo si sta parlando di diseguaglianza e si sta, allo stesso tempo, ammettendo che c'è bisogno di politici che devono ridistribuire al meglio il sistema della ricchezza. Il razzismo è una trappola. Spesso ai poveri bianchi si dice che la colpa è di "questi che sono musulmani o neri", ma il problema è dato dal sistema economico che non va bene. Quando vai a scuola non impari queste cose".

Sul razzismo nel calcio: “Il calcio non fa abbastanza. Ma anche lì è abbastanza normale, perché ci si aspetta che i dirigenti, i presidenti e la federazione facciano qualcosa, ma, in realtà fanno poco, in quanto loro pensano al calcio come uno strumento di business e soldi. Quindi, che bisogno c'è di dire ai giocatori di parlare e di denunciare. Loro potrebbero cambiare le cose, ma i dirigenti pensano a non dare a un'immagine negativa del business".