SOTTOBOSCO - Dall'ingiustizia di Calciopoli, alle mosse di John e Andrea, fino alla Leggenda. I dubbi di Allegri, discepolo di Kant. Patto nello spogliatoio in vista di Cardiff. Il numero degli Scudetti, Tavecchio e il risarcimento

Andrea Bosco ha lavorato al “Guerin Sportivo“, alla “Gazzetta dello Sport“, al “Corriere d'Informazione”, ai Periodici Rizzoli, al “Giornale“, alla Rai e al Corriere della Sera.
22.05.2017 14:08 di  Andrea Bosco   vedi letture
SOTTOBOSCO - Dall'ingiustizia di Calciopoli, alle mosse di John e Andrea, fino alla Leggenda. I dubbi di Allegri, discepolo di Kant. Patto nello spogliatoio in vista di Cardiff. Il numero degli Scudetti, Tavecchio e il risarcimento
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NELLA LEGGENDA

 

Leggendari.  Una squadra che da sei anni sta asfaltando in Italia chiunque transiti dalle sue parti. Leggendaria la difesa, Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini.E il più giovane del gruppo storico: Claudio Marchisio . E' stato bello vederlo tornare il giocatore che tutti ammiravano prima dell'infortunio. Sempre loro, sempre assieme, sempre d'esempio per i compagni più giovani. Sempre loro che qualcuno dava per “finiti” cinque anni fa. Sempre loro che Antonio Conte voleva rottamare prima del traumatico addio agostano. Ha detto, mi pare, Chiellini: “Tra Juventus e Nazionale, passiamo da anni più tempo assieme che con le nostre rispettive famiglie“. Famiglie che erano allo Stadium nel momento della festa. Con i bambini di ogni giocatore. Uno, giustamente, coccolato più degli altri: il bimbo di Bonucci che per mesi aveva tenuto papà Leonardo  in ansia per le sue condizioni di salute. La commozione di Buffon e di Marchisio: come fosse la prima volta. Famiglie all'interno della grande famiglia bianconera. Entrambe espressioni della Famiglia che da oltre 100 anni governa i destini di Madama: gli Agnelli .

Sei scudetti e tre coppe Italia consecutive. Nessuno c'era mai riuscito prima. In una settimana la Juventus oltre che iscriversi nella Leggenda, ha aggiornato la Storia con altri due primati .

Per capire cosa ha fatto questa squadra bisogna partire - in controtendenza - dal vertice.

Dopo l'ingiustizia di Calciopoli, cinque stagioni segnate dal dilettantismo e dalla navigazione a vista. Con due ricapitalizzazioni e un buco di bilancio di 95 milioni (e con l'unica eredità di uno stadio di proprietà, un fortino inespugnabile dove fare risultato è più complicato che scalare il K2 senza ossigeno)  l'azionista di maggioranza John Elkann capisce che l'unica cosa da fare è riportare la nave in porto. Perché il popolo rumoreggia, la critica è spietata e probabilmente i due Patriarchi si sono presentati ripetutamente e presumibilmente incazzati, ai piedi del suo letto. E allora si mettono da parte i contrasti e le diffidenze tra consanguinei. Per risollevare la Juventus, al timone ci vuole un Agnelli. Yaki Elkann la mette in buone mani: quelle del cugino Andrea, figlio di Umberto, fratello di Giovannino, l'erede designato troppo presto chiamato dal Fato .

 

IL CORAGGIO DI ANDREA

 

Andrea è bravo. Ma soprattutto ha le idee chiare. Chiama due che hanno fatto le fortune della Sampdoria:  Beppe Marotta e Fabio Paratici. E alla vicepresidenza chiama un idolo della tifoseria : Pavel Nedved. Il titolo non è onorifico. La cinghia di trasmissione tra la società e la squadra è l'indimenticabile campione con la azzera bionda.

Neppure quello di Agnelli è un titolo pro forma. Andrea Agnelli di professione fa il presidente della Juventus. Si occupa della gestione della società. Per la quale lavorano centinaia di persone. Agnelli con il suo staff mette a punto un coraggioso progetto: riportare la Juventus dove le compete. Tradotto: vincere in Italia e vincere quanto più possibile in Europa. La prima stagione è deludente. Del Neri, nocchiero che aveva già lavorato con Marotta a Genova è anche sfortunato: a gennaio si rompe Quagliarella e la Juventus inesorabilmente scivola dalle posizioni di vertice, terminando la stagione al settimo posto. Agnelli allora ha una intuizione: la Juventus ad uno juventino di ferro. Lo prende dalla serie B, non ha esperienza di massima serie, ma della Juventus è stato giocatore amatissimo fino a diventarne capitano. Si chiama Antonio Conte e subito, alla prima e senza avere la squadra più forte del lotto, vince. Vince probabilmente anche prima di quanto la Real Casa si attendesse. Le due successive stagioni incominciano con una zeppa ai piedi. L'asticella delle attese  inevitabilmente si alza. Ma la Juventus ha ancora - benché l'abbia migliorato - il bilancio in rosso. Non può adeguatamente rinforzarsi perché il fatturato cresce lentamente. I migliori giocatori del Continente hanno remore a trasferirsi a Torino. Perché la squadra ha sì blasone, ma non è ancora competitiva per le arene europee. E il tetto sugli ingaggi non incoraggia a mettersi in viaggio verso la Mole. Ma Marotta è un mago dei parametri zero. Paratici un rabdomante nello scovare diamanti grezzi. Arrivano i Pirlo, i Barzagli, i Bonucci (che al Bari era considerato il gemello scarso di Ranocchia) i Lichtesteiner, i Vidal, i Vucinic, i Pepe. E c'è ancora Alex Del Piero. Arriva dal Manchester United, portato da Mino Raiola, per un solo milione di euro, un ragazzino dalle lunghe leve che promette bene. Si chiama Paul Pogba. Sarà rivenduto quattro anni dopo a peso d'oro. L'anno successivo arriva a zero anche il basco Llorente, bello come un modello e quasi imbattibile di testa. Sono tre stagioni  tra immense gioie nazionali (uno scudetto sforando i cento punti in classifica) e cocenti delusioni europee. La più dolorosa contro il Benfica:  aver mancato la finale di Europa League avendo a disposizione il match ball di poterla giocare allo Stadium.

Conte dopo tre anni se ne va. Dopo frizioni (con Agnelli e Marotta) e dopo aver inopportunamente affermato  che la Juventus non era in grado “di sedersi in un ristorante da 100 euro a commensale“ . Chi dirige la baracca non gradisce l'appunto. Soprattutto non gradisce il flirt del fumantino salentino con il Milan. Dopo due giorni di ritiro Conte se ne va,  tra rimpianti e incazzature. In  24 ore la Juventus trova il sostituto nell'ex allenatore del Milan, Massimiliano Allegri, silurato da Silvio Berlusconi. Uno che ci sa fare, ma che il padrone di Arcore ha bollato in tribuna con un labiale diventato cult: “Questo non capisce un cazzo“.

 

LA SAGGEZZA DI ALLEGRI

 

Max Allegri arriva a Torino tra insulti e sputi, del popolo che non conosce i veri motivi per i quali  Conte ha abbandonato la nave, quando ancora non è uscita dal porto. Lo capirà col tempo. E attraverso il lavoro di un allenatore straordinario e testardo, ma conoscitore come pochi al mondo del gioco e degli uomini. Tanto Conte era un calvinista ieratico e populista, tanto  Allegri si rivela  discepolo di Kant ancorato alla critica della ragion pura. Allegri è livornese, è stato giocatore di livello, ma a lungo sul campo, sia con gli scarpini che sulla panca ha fatto gavetta. Ma è quello che ci vuole dopo il pugliese dai bollenti umori. Allegri è un gestore di uomini. Che sa di tattica e che difficilmente sbaglia il piano partita. Essendo pragmatico spesso osa. Essendo toscano, trova sempre le parole adeguate  davanti ai microfoni. Essendo cultore di un gigante della filosofia sa come migliorare una squadra. Del resto anche Allegri è molto migliorato nei tre anni juventini. Sfruttando bene le energie che la Juventus ha saputo offrirgli. I sei scudetti di fila sono un miracolo (di forza, volontà, sacrificio) dei giocatori. Ma  la società non è stata da meno. Azzerato il buco di bilancio, i conti per la terza stagione di fila si annunciano in attivo. La scorsa stagione sui quattro milioni di euro. Presumibilmente di più a fine esercizio 2017.

Ma è aumentato il fatturato: l'ultimo a quota 380 milioni. Gli analisti stimano con la stellare stagione 2017  (che coinciderà a fine anno anche con l'apertura del Centro della Continassa e grazie ai ricavi televisivi e della Champions  e l'espansione del brand ) che possa essere sfondata quota 500 milioni. Prossimi al Bayern di Monaco. E dietro solo a Manchester United, Real Madrid e Barcellona. Il lavoro di Agnelli e  dei suoi dirigenti è stato capillare: si vendono più magliette, si sono avviati contatti con tutti i più “vasti  mercati del mondo. Si sono investiti del ruolo di ambasciatori  ex campioni quali Trezeguet e Davids. Si è molto investito sui vivai. Persino in quello femminile. Si è creato un ospedale. E si sono create delle scuole, dove qualcuno diventa campione ma dove tutti hanno la possibilità di diventare uomini. Si sta perfezionando il progetto di una catena di ristoranti siglati doppia J: il nuovo simbolo, presentato in una grande serata al Museo della Scienza a Milano, non a caso durante la settimana della moda. Una doppia J: questo chiederanno le signore entrando in una boutique, così come finora chiedevano una Kelly .

Bilanci sani, fatturato in espansione. Oggi i giocatori fanno la fila per far parte della Juventus. Così sono arrivati i Tevez, i Khedira (a parametro zero, anche il tedesco), gli Alex Sandro (strapagato sentenziavano i soloni del giornalismo sportivo) che oggi vale più del doppio di quanto percepito dal Porto. Ma sono arrivati anche i Pjanic, i Dybala, i Cuadrado, gli Higuain strappato al Napoli onorando i 90 milioni della clausola, i Manduzukic. E i Dani Alves: anche lui a parametro zero. L'uomo che ha portato allegria. E che fin da subito si è impegnato ad insegnare a Buffon e compagni come “si vince la Champions“.

Oggi come ha spiegato Beppe Marotta “La Juventus non è ancora in grado di permettersi i Cristiano Ronaldo e i Messi“. E' vero: anche perché una società che fa business difficilmente investe un Perù su giocatori non “ammortizzabili“. Ma credetemi, oggi la Juventus è in grado di concedersi cene da Cracco. Tradotto: un investimento di un centinaio di milioni su un Mbappè. Là dove il talento del Monaco fosse messo in vendita .

 

UNO PER TUTTI: TUTTI PER GIGI

 

Ora la Coppa dalle Grandi Orecchie. La Coppa maledetta che troppe volte è sfuggita alla Juventus. Madama si è guadagnata la finale di Cardiff. Contro il Real Madrid allenato dall' ex Zidane. C'era arrivata, in finale anche a Berlino, contro il Barcellona. Con non pochi timori riverenziali, rivelatisi poi devastanti nel corso di quella partita. Oggi la Juventus arriva al traguardo continentale consapevole della sua forza e del suo gioco. Con una difesa che ha subito tre gol in tutta la manifestazione. E che in due gare ha tenuto a secco Messi, Suarez e Neymar.

Madama sembra stavolta davvero una squadra in missione. Che giocherà per l'onore, per la bandiera, per i tifosi e per la dirigenza. Ma soprattutto giocherà per il suo capitano : il monumento che tutto ha vinto tranne la Champions. La Juve giocherà per Gigi Buffon. Perché questo si sono detti nello spogliatoio. E perché solo vincendo la Champions la  suggestionabile giuria del Pallone d'Oro che abitualmente premia solo i goleador, non potrà negare a Buffon quel  riconoscimento che in questa stagione – al netto di come andranno le cose in Galles- si è già ampiamente meritato.

Altri due trofei in bacheca. Chi vince sempre è detestato. E allora volano in cerchio i “corvi“ a spiegare che Max Allegri tra qualche settimana potrebbe andarsene. “In cerca di altri stimoli“ .

Allegri sa che la volontà della Juventus è quella di continuare con lui. E io credo che Allegri, con la Juve, continuerà. Ma dopo tre anni di successi (al netto di Cardiff) i dubbi dell'allenatore potrebbero essere  comprensibili. Come ha rivelato Gianluca Vialli, uno che a lungo ha vissuto con Madama: “Vincere , alla Juventus, più che una gioia è un sollievo“. Perché in quella società le cose funzionano come a Sky  ha spiegato domenica Giancarlo Marocchi (un altro che a lungo ne ha vestito la maglia): “ Daranno ai giocatori un giorno, forse due di libertà. Poi ricomincerà il lavoro. Che anche in caso di successo non finirà a Cardiff”.

Già, alla Juve sono così: vincere è l'unica cosa che conta. E mai, come questa volta, tutti dal presidente al magazziniere, andranno (rotta Cardiff) “ fino alla fine “ .

Quasi dimenticavo: gli scudetti non sono 33. Sono 35. Due, in libera uscita. Uno registrato negli uffici competenti con il cartellino di “grisbi“ . Non sapete cosa significa? Ve lo spiego subito: significa “refurtiva“. Malloppo sottratto con destrezza ai legittimi proprietari. Per i furti, non c'è prescrizione. E per risarcire certi furti non è mai troppo tardi. Non le pare presidente Carlo Tavecchio?   

© foto di Andrea Bosco nella foto di Mariangela Megali