Sotto la lente - Differenza abissale

24.04.2014 00:16 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente -  Differenza abissale
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Dalla lettera di Massimo Moratti agli interisti (intervista a Telelombardia ripresa sul sito ufficiale del club)
 "Zanetti è la storia dell'Inter. Non solo per la qualità, ma anche per la serietà. Se a Zanetti chiedi di una partita col Milan o con la Juventus di 10 anni fa, non solo ti sa dire com'è andata, ma anche le ragioni per cui bisogna odiare l'una e l'altra (sorride, ndr). Poi è una brava persona, dotata di buon senso, con questo carattere che fa sì che sia molto stimato dai compagni. Zanetti con me sapeva per certo che sarebbe potuto diventare addirittura presidente. Potevo pensare di farlo con una persona che sa tutto, che rappresenta l'Inter, che è stimato e che ha l'immagine giusta".
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"Tre consigli (per Thohir, ndr)? Tre sono troppi, non ci arrivo. Ma uno sì, ovvero quello di circondarsi di interisti, che non vuol dire circondarsi di persone che parlino dell'Inter a vuoto, ma di gente che capisca e sappia cos'è il carattere dell'Inter e dei propri tifosi, che è diverso da quello della Juve e del Milan.
L'Inter è diversa. Cambierà sicuramente il carattere della Società perché un presidente influisce, ma ci sono caratteristiche che non possono cambiare mai, che sono quelle per le quali uno o è interista o non lo è.

Per quello parlo di Zanetti, perché è bene che chi è in questo club ne conosca la storia, ricordi certe cose, ti aiuti a capire, ti aiuti a prevenire dei problemi. Per questo gli dico che deve mettersi vicino persone che vogliono bene all'Inter e non solo persone che siano dei buoni professionisti.
L'Inter ha la fortuna di avere tanti tifosi tra cui tantissimi professionisti a livello importante che vorrebbero dare una mano, è un'occasione".
 
Questi sono solo due passaggi del lungo sermone di Moratti, che ben fanno però comprendere l'abisso che separa, ha sempre separato e, stante questa base filosofica, separerà sempre, Inter e Juve.
Un giocatore, capitano della squadra nerazzurra dal 1998, sa dire le ragioni per cui bisogna odiare gli avversari: e questo, a detta del suo Presidente, con tutte le responsabilità che da questa sua carica derivano, ne fa una persona stimata, e soprattutto che 'rappresenta' l'Inter.
Diciamo subito che alla Juve alligna un pensiero diverso: quello che prevede che gli avversari (tali sono, non nemici da odiare) si battono, si sconfiggono, sul campo, perché vincere è l'unica cosa che conta e solo il prato verde sa la verità e la può urlare..
E, bisogna dire, nel discorso morattiano è molto difficile che questo verbo possa limitarsi a rappresentare un'antipatia sportiva, che sarebbe l'accezione più benevola e innocente da dare al termine in questione, che peraltro non è visto come un semplice moto dell'animo, originato dalla delusione e dal dolore causato dai rovesci subiti (ricordiamo le lacrime degli interisti, Ronaldo in testa, in quel fatidico, per noi scintillante, 5 maggio 2002, o quelle dello stesso Zanetti dopo l'eliminazione, ad opera del Milan, l'altra squadra odiata, nella semifinale di Champions League del 2003), ma come un astio razionale e consapevole.
Anche perché il livore in troppe occasioni dimostrato da Moratti e dalla dirigenza interista alza l'asticella molto al di sopra anche dell'invidioso risentimento verso  chi ha raggiunto quei traguardi invano rincorsi per anni (i nerazzurri erano in crisi di astinenza da 17 anni quando bussarono alla segreteria per ritirare il titolo di cartone); un livore così cieco da non riuscire nemmeno a farsi una ragione del fatto che giocare con Gresko, Sorondo, Farinos, Dalmat, Pacheco e compagnia cantante era ben diverso che farlo con Del Piero, Nedved, Montero, Buffon,  Ferrara, Thuram, Trezeguet, Conte, Davids, Tacchinardi...
 
E il secondo estratto del sermone ne è conferma: "Ci sono caratteristiche che non possono cambiare mai, che sono quelle per le quali uno o è interista o non lo è. Per quello parlo di Zanetti, perché è bene che chi è in questo club ne conosca la storia, ricordi certe cose, ti aiuti a capire, ti aiuti a prevenire dei problemi".
Sappiamo benissimo quali sono le 'certe cose' che all'Inter ricordano, che vogliono capire, quali siano i problemi che vogliono prevenire: essenzialmente uno, quello che vinca qualcun altro che non sia l'Inter, come è successo per tanti anni, e la solfa era che i nerazzurri non vincevano perché c'era sotto, dietro, chissà dove, qualcosa: perché questo è essere interisti, allora, ora e, temiamo, sempre; quando invece tutto ciò altro non era che un'incapacità gestionale che da una parte dilapidava capitali (e solo il poltronissimo Carraro se ne impietosiva, non avendo il coraggio di mandare in B per l'affare Recoba l'Inter di un presidente che aveva speso tanto), dall'altra non riusciva a mettere insieme una compagine credibile.
E allora ecco spuntare il tifoso ideale: "L'Inter ha la fortuna di avere tanti tifosi tra cui tantissimi professionisti a livello importante che vorrebbero dare una mano, è un'occasione".
Tronchetti Provera e la security Telecom una mano la diedero davvero: intercettazioni, pedinamenti, attività di intelligence assortite; nel mirino calciatori (come Vieri), arbitri (come De Santis), dirigenti (come Moggi); con il pc di Tavaroli che finiva dritto dritto a Roma, nella caserma di via In Selci.
E un altro tifoso supereccellente ('passionale', parola di Milly Moratti), Guido Rossi, in qualità di commissario straordinario della Figc, assegnava al club del cui CdA aveva fatto parte per quattro anni il bollino dell'illibatezza, regalandogli uno scudetto mai vinto e che mai avrebbe potuto vincere: anche perché quel campionato, 2005-06, non fu mai sotto inchiesta e quindi la vittoria della Juve era intoccabile (esattamente come quella dell'anno precedente, visto che ben due sentenze dicono che nemmeno quel campionato non fu alterato).
 
Infine, a compendio di tutti questi fatti ai tifosi bianconeri rimane impressa nella retina una bella scena di gruppo, di una strana combriccola romana. Siamo a Roma il 27 maggio 2010: tutti assieme appassionatamente si ritrovano Moratti, Zanetti, Narducci e Auricchio; sotto l'occhio benevolo di uno degli aedi delle loro epiche gesta, Valerio Piccioni, della Gazzetta di quella RCS in cui nascono interisti.
E forse ci si dà conto di perché le cose siano andate in un certo modo: ci si dà conto, ma non ci si dà pace. Per quella bisogna aspettare il momento in cui sarà fatta giustizia. Non è questione di odio, ma di amore per la verità, di rispetto dei valori del campo: qua sta la differenza. Abissale.