Sotto la lente - Calciopoli, l'Araba fenice

25.09.2015 01:01 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Calciopoli, l'Araba fenice
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© foto di Stefano Porta/PhotoViews

L’hanno data tutti ripetutamente per morta, ma la forza che sempre dà la Verità l’ha fatta ogni volta risorgere.

Si sta parlando ovviamente di Calciopoli.

Adesso anche gli Ermellini hanno avuto modo di dire la loro, e non è stata certo una pronuncia originale: forse lo è stata nel metodo, in quanto i Giudici della Suprema Corte generalmente, data la loro funzione essenzialmente normofilattica, non entrano nel merito delle questioni, limitandosi  a controllare la puntuale applicazione della legge nei precedenti gradi di giudizio; in questo caso invece sono entrati a piedi uniti, caricando ancor più le tinte fosche che dal 2006 colorano le figure dei protagonisti.  Certo, presi dalla foga, qualche scivolone l’hanno preso, in particolare quando hanno lodato la scelta, partita da via InSelci e trascinata per i primi due gradi di giudizio, delle intercettazioni “alle quali andava annessa un’importanza decisiva ai fini della dimostrazione dell’associazione delinquenziale”. Ma qualcosa era “sfuggito”  e non l’hanno ancora riacciuffato. Palazzi, nell’ambito della sgangherata giustizia domestica del circolo della caccia, vi era riuscito, purtroppo fuori tempo massimo: a lui era sfuggito il calendario.

Comunque le loro motivazioni non hanno che ripercorrere il calvario che i malcapitati imputati stanno  scalando dal 2006, con le solite solfe, da quella delle schede svizzere (dimenticando di dire che la loro attribuzione e ancor più il loro contenuto sono esercizio di pura fantasia, ancorché intercettabili e intercettate ma deludenti) al processo di Biscardi (una barzelletta, se solo si pensa a Mediaset; ma forse anche gli Ermellini, come Auricchio, ne ignoravano la parentela rossonera),  dalla testimonianza di Fabio Monti che riferiva le considerazioni  personali che gli avrebbe fatto il defunto Facchetti al Paparesta rapito, senza dimenticare la possibilità di incidere sugli esiti di un campionato senza incidere sui risultati delle singole partite, già cavallo di battaglia del circolo della caccia. Non si è fatta scappare neppure qualche grottesco errore come l’aver indicato De Santis (un altro bersaglio fisso delle accuse calciopolare) come arbitro di Juventus Udinese (capo Q, 2-1), quando l’incontro fu in realtà diretto da Rodomonti.

Ma è andata così: in realtà tutto promana da come sono state condotte le indagini ed è stato dato l’avvio ai procedimenti; in un Paese serio da tempo sarebbe stata messa sotto indagine proprio l’indagine, ma tant’è. Luciano Moggi certo non si ferma e adesso toccherà alla Corte Europea mettere sotto la lente di ingrandimento la questione.

Intanto non mancano i corollari: Moggi è stato assolto con formula piena,  dall’accusa di diffamazione aggravata da parte di Gianfelice Facchetti per alcune affermazioni fatte nel corso di una puntata di Notti Magiche (25 ottobre 2010), in un processo nel quale il giudice ebbe a dire che si stava rifacendo la storia di Calciopoli; un processo che si è caratterizzato per l’importanza data agli elementi trascurati nel processo di Napoli, e cioè il ruolo dell’Inter, che in via Inselci non interessava. E anche questa sentenza non è interessata ai media ed è stata poi ‘provvidenzialmente’ sostituita dall’uscita delle motivazioni degli Ermellini.

E ad ottobre andrà a processo, per falsa testimonianza, Teodosio De Cillis, il titolare della rivendita di Chiasso che aveva venduto all’ex dg della Juventus le schede svizzere; già, perché la sua versione relativa all’acquisizione degli elenchi delle stesse discorda da quella del maresciallo Nardone, che ammise lo sconfinamento in terra elvetica.

Poi c’è la parte sportiva, con una Figc che pare ansiosa, stando agli spifferi della rosea gazzetta crescenzaghese, di mettere fine alla querelle con la Juve, in particolare in relazione al risarcimento di quasi  444 mln di euro chiesto dalla Juve col  ricorso al Tar del Lazio che è stato presentato a novembre 2011 e in cui si lamenta la disparità di trattamento; poi c’è la questione del numero degli scudetti, ma qui tocca al club di corso Galileo Ferraris muoversi chiedendo l’applicazione dell’art. 39 per chiedere la riapertura del processo sportivo.

Calciopoli dunque non è chiusa.  E, come l’Araba fenice, risorgerà sempre dalle sue ceneri, perché in ogni caso il ricordo di un simile scempio è una ferita purulenta, insanabile non solo per il calcio ma, cosa ben più grave, per la Giustizia, quella con la G maiuscola, che stata strattonata e calpestata, ma che non possiamo permettere che muoia.