Come gli occhi del bengala

02.05.2016 22:45 di Caterina Baffoni   vedi letture
Come gli occhi del bengala
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© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport


"In battaglia non c'è alcun possibile sostituto della vittoria". Così esclamava il generale Douglas McArthur  Vittoria: una parola nella storia della Juventus scritta, pronunciata, gridata, sudata, commossa e guadagnata numerose volte. Juventus campione d'Italia, per la quinta volta consecutiva nell'era Andrea Agnelli. Sei anni di presidenza e cinque scudetti di fila: il marchio di Andrea Agnelli è ormai indelebile, così come quello dei suoi fidatissimi Marotta e Paratici. Come la mitica Juve del Quinquennio negli anni Trenta.  La contabilità del campo, massimo giudice supremo dice 34. Scudetto voluto, a lungo inseguito soprattutto quando l'impresa sembrava impossibile. E infine raggiunto, addirittura con tre giornate d'anticipo. I più hanno descritto questo scudetto “gustato“, in relax sul divano per il tifoso bianconero: la Roma vittoriosa sul Napoli consegna il trofeo alla rivale di sempre.

 Cosa significa per la Juventus questo scudetto? Tante, troppe cose. Per esempio che la forza del gruppo è tale da poter scardinare la precisione delle statistiche facendo una impresa (25 vittorie nelle ultime 26) che va al di là dello stesso scudetto. Mai nessuna squadra partita ad handicap (4 sconfitte nelle prime gare stagionali) aveva  vinto lo scudetto, addirittura con ampio vantaggio di punti sulla seconda. 
 Questo scudetto, è anche un messaggio alla tifoseria, che male farebbe a considerarlo una normalità.

La forza di questa squadra è quella di non dare il tempo di pensare; essi possiedono schemi motori già predefiniti con la funzionalità di non disordinarsi, poiché il loro metodo non è muovere la palla, ma usare la palla per muoversi

Non è importante chi giochi, né contro chi, né dove, né quanto manca alla fine della partita. È quasi un automatismo individuale e collettivo: dietro si costruisce quando non si sta distruggendo; davanti si distrugge quando non si sta costruendo. La forza di questa squadra è quella di non dare il tempo di pensare; essi possiedono schemi motori già predefiniti con la funzionalità di non disordinarsi, poiché il loro metodo non è muovere la palla, ma usare la palla per muoversi.

La pressione degli attaccanti, che sia Dybala-Mandzukic o Zaza-Morata, affinché l’avversario perda il pallone un istante dopo averlo recuperato, è intensa e senza tregua. Il segreto, è nel fatto che tutti debbano trasformarsi in “distruttori” per quanto grande possa essere il proprio genio nel nobile compito della costruzione.

Non è importante chi giochi, né contro chi, né dove, né quanto manca alla fine della partita. È quasi un automatismo individuale e collettivo: dietro si costruisce quando non si sta distruggendo; davanti si distrugge quando non si sta costruendo.

Si dovrebbe dunque avere la “saggezza“ di esaminare il pregresso che ha portato la Juventus ad essere - come ha spiegato Del Piero che in parte ha vissuto quella situazione - “una tigre lasciata libera in un pollaio“.  Madama con i lineamenti della tigre del Bengala; questa è la conseguenza di stagioni vissute con sofferenza ma piena consapevolezza della propria forza. Stagioni nelle quali il diritto si confondeva con l'arbitrio, l'arroganza con la vigliaccheria, la disonestà nei comportamenti con rivendicata quanto improbabile trasparenza.  E' proprio da qui che nasce la tigre bianconera. Da chi ha vissuto abissi sportivi e giudiziari.  Da scelte mai comprese in trasparenza fino in fondo e da un “fuoco amico“  che mai nel corso della sua storia Madama aveva avuto. All'Inferno e di ritorno. Chi c'è stato ed è sopravvissuto, dominando le fiamme e il resto. Sopravvivere all'inferno significa plasmarsi e fortificarsi. Significa convivere con cicatrici diventate, anno dopo anno, sete infinita stimolo di vittorie.