+39 (più Trentanove)

31 anni fa l'indimenticata tragedia dell'Heysel, una ferita aperta nel cuore di ogni tifoso juventino e di ogni essere umano
29.05.2016 10:30 di Massimo Reina   vedi letture
+39 (più Trentanove)
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Ci sono tragedie che ciascun individuo vive in maniera più o meno intensa a seconda della propria sensibilità, e che hanno un impatto visivo e una portata emotiva tale, da farli diventare un qualcosa che supera i confini privati di coloro che ne sono state vittima direttamente. Ed è forse proprio per questo che, a volte, entrano per sempre a far parte della vita e dei ricordi di un’intera generazione. Non importa se queste tragedie ci abbiano colpiti direttamente o, viceversa, abbiano coinvolto dei perfetti sconosciuti. Se le abbiamo vissute dal vivo o attraverso le immagini di televisioni e giornali. Dinanzi alla sofferenza di uomini, donne e bambini molti di noi non riescono a rimanere insensibili, empatizziamo con loro fino a che il loro dolore diventa il nostro. È accaduto per gli attentati dell’11 settembre del 2001, per quello del campus universitario in Kenya o per il massacro di Parigi nel 2015. Accadde così anche per la terribile strage dello stadio Heysel di Bruxelles, avvenuta la sera del 29 maggio del 1985.

Una sera che per chi scrive, come per milioni di tifosi juventini di ogni età, doveva essere di festa e di speranza per una vittoria molto attesa, e che invece si trasformò in una tragedia soprattutto per le famiglie di molti di quegli innocenti presenti allo stadio, un luogo che dovrebbe servire per riunire la gente per assistere a uno spettacolo di sport, e non per vederle morire. Anche i trentanove angeli caduti quella sera sognavano di assistere a una partita di calcio combattuta, e quasi tutti loro probabilmente di battere il Liverpool per poter finalmente versare lacrime di gioia per un trionfo della Juventus in Coppa Campioni, dopo averne pianto di amare dopo la finale del 25 maggio del 1983 contro l’Amburgo. Quella del cross sbagliato di Magath che si infilò alle spalle di Zoff. Quella di una Juventus abulica, irriconoscibile e arrendevole a dispetto dei sei campioni del mondo più il fenomenale Michel Platini che aveva in squadra.
Ci ritrovammo invece tutti a versarne di rabbia e dolore per quella gente che si ammassava disperata in un angolo degli spalti, nel tentativo di trovare una via di fuga dalla follia di criminali senza onore, e che a un certo punto si ritrovarono schiacciati per il crollo di una tribuna che non resse alla calca. Per persone che non conoscevamo, ma che in quel momento ci sembravano familiari. Lontane anni luce da noi, ma al contempo così maledettamente vicine, quando inquadrate dalle telecamere, che sembrava di poterle toccare con mano, incoraggiare, accarezzare. A volte pareva possibile perfino stringerle per le mani e tirarle via da quella massa di corpi schiacciati l'uno sopra l'altro, per portarle al di qua del televisore, nella sicurezza del salotto di casa. Quanto ci sarebbe piaciuto farlo.

E invece eravamo tutti impotenti davanti a quelle terribili immagini, all’uomo che correva sulla pista di atletica verso il campo in cerca di soccorso per il giovane ferito che reggeva in braccio, come una moderna e vivente riproduzione della Pietà di Michelangelo, alle lacrime di quel papà col figlioletto con le mani nei capelli, appena usciti miracolosamente dalla massa di corpi che li stava per schiacciare. E poi gli sguardi attoniti di chi invece era rimasto sotto e forse stava per morire, sopraffatto dal peso degli altri.
Quelli di chi a un certo punto erano fissi.
Quelli di chi non si è potuto mai più rialzare ed è rimasto lì per terra, immobile, senza avere mai più la possibilità di tornare a casa, di riabbracciare la propria moglie e i propri figli. Di raccontare magari loro di quella brutta serata, e di potergli dire ancora una volta quanto li amavano.
I loro occhi. Sono proprio quelli, forse più di ogni altra immagine, anche la più cruenta, che sono rimaste impresse nella memoria di chi scrive. Occhi che scrutavano nel vuoto, occhi che imploravano aiuto e che sembravano chiedere a se stessi e al mondo intero perché stesse accadendo tutto quell’orrore in una serata che doveva essere di festa.
Da allora sono passati tantissimi anni ma per molti è impossibile dimenticare quella tragedia, anche in un Paese come il nostro pronto a girarsi dall’altra parte e a far finta che non sia successo niente quando si spengono i riflettori su una vicenda. A tenere vivo il ricordo ci pensano i familiari delle vittime, le loro iniziative e quelle dei tifosi oltre chi fa il mestiere di giornalista e nel suo piccolo vuole che certe situazioni rimangano impresse nel cuore e nella mente delle persone, affinché da un lato non possano mai più ripetersi in futuro, dall’altro si renda sempre omaggio a trentanove innocenti caduti quella sera del 29 maggio del 1985. Anche con un articolo, una preghiera o un semplice pensiero.

Chi scrive lo fa a modo suo, ogni volta che la Juventus gioca una partita. Ogni volta che quei colori scendono in campo, soprattutto allo Juventus Stadium, mentre sugli spalti migliaia di tifosi bianconeri incitano la squadra.
Quegli occhi spaventati o peggio ancora spenti dell’Heysel, li immagina di nuovo vivi e accesi di felicità. Fantastica di vedere seduti ai loro posti sugli spalti, o in piedi dietro a uno striscione, trentanove angeli che cantano, gioiscono e fremono per la partita. E a quegli imbecilli che vigliaccamente scrivono “- 39” risponde idealmente, “no, sono +39. Trentanove spettatori in più che si uniscono ai 41.475 dell’arena”. Anche chi, come il giovane Nino Cerullo tifava Inter e perì nella tragedia al fianco del cognato, Rocco Acerra, che aveva voluto seguire in Belgio per affetto, ma anche per quella sportività che, quando il calcio era ancora una cosa semplice, permetteva talvolta ad alcuni tifosi di mettere da parte la passione verso questa o quella squadra, per amore verso lo sport e per quel senso di appartenenza, quel sentimento di italianità di cui si è perso traccia da tempo.
Una genuinità, un modo di concepire il calcio e lo sport in generale, che perì la sera di trentuno anni fa, come oggi.

coreografia per ricordare i 30 della strage dell'Heysel