Un giorno brocchi, l'altro campioni, poi chissà: serve equilibrio, dentro e fuori dal campo. A Zagabria l'imperativo per la Juve è vincere, senza scuse

27.09.2016 00:00 di Ivan Cardia Twitter:    vedi letture
Un giorno brocchi, l'altro campioni, poi chissà: serve equilibrio, dentro e fuori dal campo. A Zagabria l'imperativo per la Juve è vincere, senza scuse

Iniziamo da un'infima vicenda personale che di solito non troverebbe spazio da queste parti. Il sottoscritto ha infatti un piccolo conto in sospeso con mister Allegri. Contro il Palermo, in una gara che si poteva (si doveva?) vincere con maggior scarto, non ha fatto entrare né Dybala né Pjaca. Neanche per quindici maledetti minuti. Di conseguenza il sottoscritto ha giocato in dieci al fantacalcio, di conseguenza ha perso, di conseguenza sberleffi in redazione a Tuttomercatoweb. Poveri noi. Vicenda personale, appunto, ve ne potete fregare altamente. Ma non del tutto, perché il risultato del Barbera è stato in effetti un po' striminzito e lascia aperte tutta una serie di questioni che si cercherà di affrontare con la consueta poca competenza. Partendo dai complimenti ai rosanero e in particolare al loro tecnico, Roberto De Zerbi. Nell'era dei difensori che impostano e del calcio che deve essere spettacolo a tutti i costi, decidere di difendersi col coltello fra i denti e ammettere il proprio piano tattico del tutto passivo è un atto di coraggio. Anche se davanti hai la Juventus, che in realtà imporrebbe a 14/15 squadre su 20 di impostare una partita puntando più alle caviglie degli avversari che alla palla. Bravo De Zerbi, tecnico fra i più promettenti del panorama nazionale, in bocca al lupo per il futuro, che comunque non sarà tanto semplice perché la rosa non è all'altezza dell'allenatore. Ma torniamo dalle parti di Vinovo: battute a parte, la decisione di tenere in campo per tutta la gara due punte pesanti, sacrificandone una sulla fascia per buona parte del tempo, ha dato comunque un paio di verdetti. Primo: Higuain e Mandzukic possono giocare insieme. Non al meglio delle proprie possibilità, ma sono entrambi giocatori abbastanza maturi da sapere che pestarsi i piedi a vicenda non può portare molto lontano. Secondo: la Juve, per avere un'idea di gioco che vada oltre qualche schema di base, o meglio che a questo aggiunga anche un minimo di inventiva, ha bisogno di Paulo Dybala. Almeno per ora: Marchisio sarà ancora fuori per un mese, Pjanic ha bisogno di ambientarsi in un nuovo contesto, tattico e non, Lemina ha buoni fondamentali di base ma non gli si può chiedere di tirare fuori il coniglio dal cilindro. Fino all'assestamento della squadra intorno a una più completa identità di gioco, la Joya è indispensabile per offrire quel qualcosa in più che nella maggior parte dei casi fa la differenza. Il gol, per chiudere la più umoristica questione degli ultimi tempi, arriverà anche per lui, nel frattempo la sua incidenza sulle manovre bianconere è innegabile e soprattutto indispensabile. Fin qui, il fronte punte. Arriva il resto dei reparti, nel frattempo un monito generale. Un generale chiamato equilibrio. La Juve in campo lo deve trovare, chi si occupa di Juve fuori dal campo dovrebbe farselo presentare. Brocchi dopo la sconfitta contro l'Inter, campioni dopo l'ampia vittoria sul Cagliari, incognite dopo quella meno larga sul Palermo. Nel giro di una settimana, i componenti della rosa della Juventus sono passati attraverso tutti i gradi di evoluzione del calciatore, dallo stadio Darko Pancev a quello Cristiano Ronaldo. La verità? Nel mezzo, ça va sans dire. C'è un peccato capitale compiuto in sede di mercato; c'è qualche errore commesso da Allegri, che nel corso della stagione può capitare; c'è la fisiologica necessità per una squadra molto rinnovata di (ri)trovare sé stessa. C'è, infine, un po' di sorte, perché possiamo scrivere "allarme difesa" quante volte vogliamo, ma su quel fronte è difficile rivolgere una qualche critica ad allenatore e dirigenza. Se in un breve lasso di tempo si fanno male sia Benatia che Rugani, è difficile imputare qualcosa a qualcuno. Sul centrocampo, a netto del l'infortunio di Asamoah, il discorso è un po' diverso perché gli altri stop (Marchisio e Sturaro, mettiamoci anche Mandragora che in questo periodo sarebbe tornato utile) c'erano già da prima ma sono stati forse sottovalutati. Morale della favola: col Palermo la Juve poteva vincere con uno scarto maggiore, ma alla fine ha vinto e qualche passo in avanti, anche a livello di comprensione delle proprie caratteristiche, c'è pure stato. Quindi, considerata anche l'accresciuta competitività della Serie A per la zona Champions (l'Inter ci arriva, fidatevi, il Milan no ma Montella sta facendo un gran lavoro), il bicchiere è mezzo pieno. Basta? No.

Arriviamo dunque al tema di giornata, che non contempla pippe lunghissime sul doppio centravanti, il regista rampante o la bizona. Contro la Dinamo Zagabria conta il risultato, punto. O meglio, la vittoria. Ma come, prima si parla di equilibrio e poi si chiedono a gran voce i tre punti? Sì, perché la sfida più grande di questa Juventus resta la Champions League. Non da vincere a tutti i costi, per farlo serve una mano da chi con sghemba e beffarda mano fa impazzire le traiettorie e sbilenca le parabole. Ma il consolidamento a livello internazionale è la condicio sine qua non perché a giugno si possa dare un giudizio positivo alla stagione in corsa. Ancora di più rispetto all'eventuale sesto Scudetto consecutivo, perché lì saremmo nel campo dell'epica calcistica e l'epica non sopporta giudizi. E per andare avanti in questa competizione serve un risultato positivo sin da subito, anche per riscattare la prova dello Juventus Stadium contro il Siviglia. Troppe le critiche, in quel caso, dopo un pareggio; però, vista anche l'interpretazione data alla partita dagli andalusi (molto simile a quella del Palermo, diciamo la verità), la vittoria era davvero a un passo. Magari non obbligatoria, ma quasi. In questo caso lo sarebbe un po' meno, anzitutto perché non è facile presentarsi a Zagabria e pensare di farla da padroni. E poi perché la Dinamo ha una buona squadra, piena di talenti (uno su tutti, Ante Corić), non sarà avversario facile. Però serve un messaggio chiaro, agli avversari e a sé stessi, serve chiudere il prima possibile un discorso che se trascinato fino alle ultime due giornate può diventare ostico. Serve una vittoria, appunto. Anche con tutte le avversità della sorte. Anche senza convincere e con poco equilibrio, per quello comunque ci sarà tempo. "La Juventus ha vinto le partite che doveva vincere". Allegri dixit. Bene, questa è da vincere, senza troppi giri di parole. Formazione? La solita, almeno nel modulo. Anche qui, parola di Allegri. E per ora si può anche essere d'accordo, pur non essendo un mistero che da queste parti si ritiene che qualche novità potrebbe fare bene a una squadra. Ma come, cambiare quando si è alla ricerca di identità? Sì, perché va bene l'identità, ma alcune esigenze contingenti (leggasi infortuni) possono spingere in quel senso. Ma chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che perde e non sa quel che trova. Anche se magari potrebbe trovare un tesoro.