SOTTOBOSCO - Chiamatelo Mosè Kean. L'importanza della madre, l'ombra di Raiola, il legame con Bonucci, gli insegnamenti di Grosso e Allegri, i giudizi di esperti e leoni da tastiera: la prepotente ascesa del futuro centravanti della Juventus

Andrea Bosco ha lavorato al “Guerin Sportivo“, alla “Gazzetta dello Sport“, al “Corriere d'Informazione”, ai Periodici Rizzoli, al “Giornale“, alla Rai e al Corriere della Sera.
28.05.2017 03:03 di  Andrea Bosco   vedi letture
SOTTOBOSCO - Chiamatelo Mosè Kean. L'importanza della madre, l'ombra di Raiola, il legame con Bonucci, gli insegnamenti di Grosso e Allegri,  i giudizi di esperti e leoni da tastiera: la prepotente ascesa del futuro centravanti della Juventus
© foto di Andrea Bosco nella foto di Mariangela Me

Avere 17 anni e non  sentirne l'instabilità. Avere 17 anni e non sentire il peso delle aspettative. Avere 17 anni e gridare al mondo: “Mi chiamo Moise e sono qui per farvi sognare“ .

Si chiama Mosè: ancora è presto per dire se saprà, essere il profeta della Juventus nelle stagioni che verranno. Certo è che  Moise  Kean sembra un predestinato. Non uno di quei ragazzini-fenomeni che una volta arrivati al calcio dei grandi, sfioriscono come i petali di una orchidea .

Moise Kean di professione fa il centravanti. E' grosso, ha forza, tecnica, velocità: ma soprattutto fa gol. Di testa, di piede, da vicino e da lontano. La  faccia di un bambino nel fisico di un bronzo di Riace. Ha la pelle nera, Moise, ma è italiano. Nato da genitori ivoriani a Vercelli. Ci ha messo poco a farsi notare con la maglia della Juventus. Gol a raffica nell' Under 15, tanto che presto lo spostano con i sedicenni. Ma anche con quelli più “anziani“ il copione non cambia. Lo mettono con quelli di 17 anni: idem. E allora eccolo in pianta stabile, anche se la sua carta d'identità recita febbraio 2000, con la Primavera di Grosso. E' uno che impara in fretta Moise ed è impossibile non notarlo. Nedved e Paratici che bazzicano le gare dei giovani bianconeri, capiscono che quel ragazzo è una pantera con il fiuto del gol. La combinazione nell'undici di Grosso è sempre la medesima: Kean che parte sul filo del fuorigioco, il mancino fatato di Luca Clemenza che imbuca ed è subito gol. Rubo la rima all'immenso Salvatore Quasimodo: Mosè Kean lo merita. Max Allegri ha inserito il giovanotto quasi stabilmente il prima squadra, facendolo esordire nel novembre del 2006 contro il Pescara e poi addirittura in Champions a Siviglia.

A Bologna, Mosè entra a un quarto d'ora dalla fine, in una partita noiosa per un tempo, un allenamento rotta Cardiff che si è acceso dopo la rete di Taider. Esce Dybala che ha siglato il pareggio, entra Kean. Emozionato? Ma va! Prima palla, controllo su un lancio che arriva da oltre quaranta metri : giù di petto e palla a seguire. Masina è uno veloce ma sembra un paracarro. Mosè prende il fondo e mette un missile teso che trancia l'area del Bologna senza trovare né teste, né piedi amici. Ma la Juve non ci sta, il Bologna  arretra. Manca mezzo minuto: punizione, mucchio in area. Come farebbe un attaccante esperto, Mosè prima si nasconde e poi sbuca solitario ad inzuccare di testa là dove il guardiano rossoblù, non può arrivare. Set, partita, incontro: tutti sotto la doccia con il gol, il primo in assoluto, nei cinque campionati europei che contano, di un classe  Duemila.

 In prima squadra come tra i più giovani. Alla Juventus, come in tutte le nazionali (15-16-17) dal bimbo prodigio frequentate. Il senso di Moise per il gol: trovatemene un altro più predestinato di questo. Si era fatto la fama di “incazzoso” sul campo. Avevano decretato i soloni della tastiera:  “Un Balotelli, bis“ . Fumantino un poco lo era. Ma ci ha pensato la mamma a metterlo in riga. Visto che il suo procuratore si chiama Mino Raiola, gli alisei che venivano ventilati erano: “Lo porta via, lo porta all'estero, prima di fargli firmare il suo primo contratto da professionista. La Juventus resterà con un pugno di mosche“ . Ma mamma Kean è una con la testa sulla spalle: “Moise resta qui. Voglio che studi. Che prenda un titolo di studio. Voglio che giochi e che si diverta: senza pressioni“. Il resto, oltre a Raiola (che non è l'orco che alcuni dalle parti di Casa Milan, in questi giorni stanno descrivendo), lo hanno fatto Grosso e Allegri. Ma soprattutto Leo Bonucci che lo ha simpaticamente adottato. Leo che dopo la malattia del suo bambino, per fortuna sconfitta, dopo settimane di apprensione e dolore è diventato un uomo e persino un giocatore migliore. E' fortunato Mosè ad avere un fratello maggiore come Leo. Ma con il suo 1.83 e i suoi mezzi fisici è stato fortunato ad avere un papà e una mamma come i suoi. Sono loro che l'hanno “creato“. Mi ha detto un vecchio osservatore che spesso lo ha visto in azione con i pari età: “Alla sua età, neppure Drogba, era tanto forte“. Decisamente un investitura. Nella stagione irripetibile della sua gioventù. Ha scritto Pierre de Ronsard in “Elegie“ un frammento di “Poesies pour Helene“: “Il vero tesoro dell'uomo è la verde giovinezza. Il resto dei nostri anni è una serie di inverni”.

Il pubblico di Bologna ha avuto sabato pomeriggio un grande privilegio: vedere all'opera il futuro centravanti della Juventus. E visto che Mosè è italiano, della Nazionale.