Sotto la lente - Siamo l'alibi di chi non vince mai

10.10.2014 02:05 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente -  Siamo l'alibi di chi non vince mai
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

"Siamo l'alibi di chi non vince mai", queste parole di Gigi Buffon ben rappresentano la situazione della Juventus. Da sempre, si può dire.  E l'affaire raggiunse il suo massimo storico con Calciopoli, dove il cosiddetto sentimento popolare, quello che, adeguatamente orientato dalla rosea gazzetta e ben interpretato dalla giustizia domestica, portò a condanne assolutamente inventate con il furto di due scudetti vinti sul campo (in due campionati, uno dei quali definito assolutamente regolare dai tribunali della Repubblica, l'altro nemmeno mai sotto indagine) e l'estromissione dal nostro calcio di quei dirigenti che l'avevano fatto grande (che poi si vede dal 2006 in poi cosa è diventato: un groviglio di vipere vili e rissose all'interno, una faccia sporca all'esterno come la recente squalifica del numero uno federale da parte dell'UEFA sta a stigmatizzare).
Innumerevoli quanto fastidiosi tutti i rosicamenti assortiti cui ci è toccato assistere ogniqualvolta la Juve si avviava vincere uno scudetto: a spese, per esempio, della Roma nel 1981 col famigerato goal di Turone  come anche della Fiorentina l'anno successivo con il contestato quanto sacrosanto rigore di Brady a Catanzaro all'ultima giornata.
E poi arrivò il 'perseguitato' Zeman che, invece di guardare negli armadioni delle sue farmacie capitoline traboccanti creatina e Voltaren (scopo curativo, disse), pensò bene di lanciare fango e  accuse alla Juve, guarda caso a partire da quella Juve del '94 passata sotto la guida di quel Luciano Moggi che, a suo dire, lo aveva ostacolato nella sua carriera, brillante solo nei suoi sogni utopisticamente proibiti (stiamo vedendo anche ora, nel calcio sedicente pulito del dopo Calciopoli, i suoi in-successi...); la Juve uscì pulita e assolta: zero doping e solo farmaci consentiti dal protocollo (curativi appunto).

Ma il problema era che quella Juve era tornata vincente e minacciava di diventare quella formidabile macchina bellica; che sarebbe in effetti diventata andando poi a costituire l'ossatura azzurra ai Mondiali di Germania.
E allora il piagnone per eccellenza, quel Massimo Moratti che stava dilapidando una fortuna senza riuscire a metter su una squadra decente ma solo un album di misere figurine, fece a sua volta della Juve l'alibi del suo fallimento; onestamente non era granché credibile (che colpa ne aveva la Juve se la sua Inter il 5 maggio 2002 decise di suicidarsi contro la Lazio?) e allora iniziò a lavorare nell'ombra: grazie all'opera di intelligence della Security di Telecom-Pirelli e con il supporto di amici e amici degli amici, anche in ambito istituzionale, montò la Grande Farsa: una pietra miliare nella storia del nostro calcio, perché da lì per il calcio italiota iniziò la discesa a capofitto verso gli Inferi.
Un calcio che ancora non ha trovato la strada per risollevarsi (né a livello di risultati né sul piano della credibilità/onorabilità); la Juventus sì, lo ha fatto ed è tornata a vincere, tre scudetti consecutivi (e due Supercoppe).
E questo non è ben accetto. Adesso basta! Come disse Petrucci, l'ex numero uno dello sport italiano? "Non esiste una federazione che possa trarre giovamento dal dominio di una sola squadra per molti anni".
Interprete di questo grido di dolore dell'italico pallone si è fatta la Roma, e perché in questo momento è la sola a poter tener testa ai bianconeri sul campo e perché radio e stampa romane a far caciara son campioni; con l'appoggio pure di mamma Rai, come se i tifosi della Juventus non dovessero pure loro pagare il canone.
E dunque una partita infiocchettata da diversi errori arbitrali, peraltro rigorosamente bipartisan, ma si sa, le altre squadre non interessano, è stata il pretesto per scatenare una canea non solo indecente nei modi ma sproporzionata rispetto all'evento, una partita della sesta giornata di andata del campionato di serie A: mica la piscina di Perugia, per intenderci, che decise il primo scudetto giubilare; per il secondo, ai concittadini giallorossi sarebbe servita addirittura una modifica, in corso d'opera, del regolamento.
E allora ecco la discesa in campo dei Travaglio, dei Giordano, dei Liguori e di quanti altri sentivano l'impellente bisogno di un po' di visibilità, tutti impegnati a risuscitare Calciopoli, possibilmente risalendo sempre alle calende greche, nel nome di Moggi, la cui grandezza sta appunto nel fatto di non poter essere dimenticato, tanto profonda è l'impronta che ha lasciato nel calcio.
Ma la questione di fondo rimane sempre la stessa: la Juventus viene messa alla gogna perché vince; tutti, Travaglio in testa, si augurano il ritorno della Juve Smile dello stampo Cobolli-Blanc: perdente, genuflessa e simpatica.
Però non si rendono conto che poi ogni Re sarebbe nudo: una volta sparito l'alibi Juve verrebbero fuori le vere magagne, non più addebitabili ad un pretestuoso quanto inesistente potere della Vecchia Signora, basta vedere chi comanda in Lega e in Figc, gli stessi che nell'ombra tiravano i fili anche prima; gli stessi che hanno portato il calcio italiano giù giù dove si trova.
Sarebbe in fondo una vittoria di Pirro.