Sotto la lente - La lezione della Champions

24.10.2014 02:01 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente -  La lezione della Champions
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

La lezione della Champions

Tempi duri per le italiane in Champions League.
Batosta inenarrabile, un 1-7 interno con la supercorazzata Bayern, per la Roma; sconfitta di misura, ma assai pericolosa e improvvida, per la Juve ad Atene col non irresistibile Olympiakos.
La terza forza dello scorso campionato, il Napoli, la Champions nemmeno l'aveva raggiunta, bloccata addirittura ai preliminari; e fatica pure in Europa League..
E' il triste ma inevitabile percorso a ruzzoloni giù giù verso il baratro, un percorso iniziato nel 2006 quando il calcio italiano, una volta giunto proprio al suo apice, ha deciso di suicidarsi: il pugnale con cui ha deciso di colpirsi al cuore è stato quel pasticciaccio brutto chiamato Calciopoli.
Un pasticciaccio che è servito ad un signorotto meneghino (ora pare definitivamente pensionatosi dal calcio dopo che le sue magagne finanziarie sono esplode in tutto il loro splendore) per ritirare in segreteria quello che la sua inettitudine non gli aveva consentito di meritarsi sul campo.
Oltre che a certi ambienti torinesi che, liberi dall'occhio vigile dell'Avvocato e del Dottore, hanno pensato di liberarsi di un pool dirigenziale tanto abile quanto antipatico e per certi tortuosi sentieri loro inviso e scomodo. Pessima idea, s'intende, ma un asset è pur sempre solo un asset, non un pezzo di cuore.
E così il ranking ha visto precipitare sempre più giù sia la Nazionale che i club; e il basso livello, etico e imprenditoriale, dei dirigenti sia federali che di club, tutti preoccupati solo di difendere la propria poltrona e il proprio pollaio, non ha certo contribuito a dare lustro al nostro pallone; tanto che nemmeno Platini si è stupito più di tanto dell'Optì Pobà scagliato dal neopresidente Tavecchio, bollandolo semplicemente come una 'cacata' (testuale);  se il calcio italiano l'ha voluto che se lo tenga, è stato il suo pensiero, in Europa per intanto sta dietro la lavagna.

E adesso le prospettive sono tutt'altro che rosee: la politica fallimentare attuata da Lega e Figc (profetiche le parole di Giraudo "Noi togliamo il disturbo, ma vedrete che i banditi arriveranno dopo di noi") ha impoverito il calcio italiano non solo a livello economico, di appeal e di prestigio, ma anche di risorse umane: la crescita dei giovani non è mai stata considerata un bisogno primario ed ora la Nazionale è aggrappata ad un manipolo di reduci dell'era farsopolara completato da una sparuta schiera di 'ragazzi', magari non più anagraficamente tali (all'estero alla loro età da qualche anno farebbero parte del calcio adulto) ma di esperienza e maturità, spesso costretti ad ammuffire nelle 'Primavere' e poi da lì a intristire nelle leghe inferiori dove nessuno ha interesse a farne sbocciare il talento (semmai possono servire per creare plusvalenze più o meno fittizie; e così sarà ancora perché vanno di moda campanari e campanili e  a qualcuno le seconde squadre fanno più gioco per mille motivi.


Ma se il panorama fuori dalla finestra è così squallidamente desolante, se guardiamo dentro casa Juve non abbiamo molto di che rallegrarci in questi giorni. Dopo la vittoria sulla Roma (con tutto lo strascico di polemiche precostituite e mediaticamente ben supportate, con i soliti Gazzetta e Corsport sempre in prima linea ad orientare il sentimento popolare) sono arrivati due passi falsi: poco rilevante il primo a livello di risultato perché può capitare di pareggiare, solo un piccolo campanello d'allarme  per il modo in cui la Juventus era parsa soffrire un Sassuolo di fondo classifica; più doloroso il secondo, per il gioco e per la classifica.
Sì, perché il girone di Champions è corto, rimediare agli incidenti di percorso è meno agevole.
E la cosa che più preoccupa è che la Juventus sembra ripercorrervi tale quale il cammino dello scorso anno, che sappiamo dove ha portato.
Infatti la scansione topo-cronologica del calendario è diversa, ma i risultati praticamente in fotocopia: perdemmo in Spagna, l'avversario era il Real e ci siamo ripetuti negativamente con l'Atletico; vincemmo in casa coi danesi e ci siamo ripetuti coi norvegesi; perdemmo l'ultima rocambolesca gara in Turchia col Galatasaray e siamo caduti l'altroieri sera ad Atene; adesso bisogna cambiare registro, perché la prossima, il ritorno allo Juventus Stadium coi greci, è il bivio: l'anno scorso coi turchi pareggiammo, facendoci beffare all'ultimo istante e la storia non deve ripetersi.
Vero è peraltro che la coperta, se era corta per Conte, ugualmente lo è per Allegri: rispetto allo scorso anno è variato soprattutto l'attacco, ma la tipologia dei giocatori a disposizione non consente ad Allegri di variare granché il modulo precedente, a meno di snaturare le caratteristiche dei singoli, cosa mai consigliabile, men che meno quando il tempo della preparazione è stato tanto ristretto, tra post-Mondiale e tournée. Ma del resto il discorso del modulo è talora fine a se stesso, un esercizio un po' sterile; Guardiola a Roma ha giocato col vituperato 3-5-2 e ha rifilato sette pere alla Roma; già, ma sugli esterni aveva Robben e Götze, che hanno garantito la superiorità sulle fasce; perché a fare la differenza sono la qualità (e la varietà) degli interpreti (e la Juve è una bella incompiuta) e la loro capacità di interpretare (tatticamente, fisicamente e mentalmente) lo spartito (la parola è mutuata da Conte, ma anche il musicista Allegri sicuramente ha il suo).

Quindi, al di là del discorso globale, anche in casa Juve c'è parecchio da fare, una lezione da studiare e assimilare da subito per tecnico e  giocatori, per evitare una bocciatura prematura e molto negativa sul piano economico; ma che deve anche rimanere bene impressa nella mente della dirigenza perché non si abbia ad affrontare di nuovo il mercato con le idee poco chiare, rincorrendo solo i miraggi delle plusvalenze e dei parametri zero.