Sotto la lente - Il segreto di Andrea

21.11.2014 00:00 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Il segreto di Andrea
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© foto di Federico Gaetano

"Ho il privilegio di mettere la mia professionalità al servizio dei miei sentimenti".
Parole e musica di Andrea Agnelli (conferenza stampa in occasione dei rinnovi di Buffon e Chiellini).

Un privilegio che è il vero segreto della grandezza della Juve; una squadra nata dalla passione e dall'entusiasmo di un gruppo di giovani liceali. Così uno di loro (quello che fu il secondo presidente del club succedendo al fratello Eugenio) definì l'anima della Juventus: "Un impasto di sentimenti: di entusiasmo, di educazione, di bohème, di cuore, di allegria, di affetto, di fede alla nostra volontà di esistere e continuamente migliorare".
E questa è l'unica anima che è stata in grado di permettere alla Juve di scrivere la sua storia gloriosa, quella anche che l'ha salvata nei momenti più duri.

A iniziare da quando Umberto Agnelli, appena ventunenne, si assunse l'onere della presidenza di una Juve in fase calante e in un paio d'anni, con decisioni coraggiose, come il contemporaneo onerosa acquisto di Sivori e Charles, portò la Juve alla conquista della Prima Stella.

E a guidare la Juventus è sempre stata questa alchimia tra sentimenti e professionalità.
Ovvero quando la Juve non è stata solo un asset.
Gianni Agnelli: "La Juve è per me l'amo­re di una vita intera, motivo di gioia e orgoglio, ma anche di delusione e frustrazione, comunque emozioni forti, come può dare una vera e infinita storia d'amore".
Umberto Agnelli: "È sempre un'emozione quando mi chiedono di parlare della Juventus". "La Juventus è un modo di essere, di esprimersi e di emozionarsi, vivere insieme a tanti altri la stessa passione per il calcio, possibilmente per il bel calcio".

Poi venne il maggio 2004, quando la morte del Dottore (seguìta a quella dell'avv. Chiusano e di Gianni Agnelli) lasciò libero sfogo ai veleni torinesi, alimentati dalla lotta dinastica per il controllo della Famiglia Agnelli, del suo patrimonio, del suo governo: ed ecco la Juventus iniziare il percorso che l'avrebbe fatta precipitare in mano a chi certo non l'amava, ma la trattava come un semplice asset da inserire nella guerra di affari; e il timone non finì nelle mani amorevoli di Andrea, come la logica spartitoria avrebbe richiesto; invece, sotto la vigile guida dei consigliori della Dinastia, con l'incontro di Marrakech tra il giovane rampollo telecomandato e il Blanc si aprì un funesto susseguirsi di eventi concatenati, ben allacciati con gli ambienti milanesi desiderosi di raggiungere, in qualsiasi modo, ciò che la loro inadeguatezza non permetteva di conquistare sul campo. 

Furono anni di buio per la Juve: Andrea e donna Allegra, anche lei una che più innamorata della Juve non si può, rimanevano lontani dallo stadio; ma nei nostri occhi rimanevano indelebilmente fissate quelle immagini di Andrea sul prato del Delle Alpi con la Triade, gli amici Luciano, Antonio e Roberto: a simboleggiare in modo perfetto quel mix di professionalità e sentimenti che solo può portare lassù, dove la Juve deve stare.

Fu l'Inferno, come lo ha definito ieri Andrea in conferenza stampa; e a riportarla in Paradiso non potevano certo essere coloro che ne avevano decretato la rovina, coloro per i quali la Juve non era "un impasto di sentimenti: di entusiasmo, di educazione, di bohème, di cuore, di allegria, di affetto", non era juventinità, ma solo un asset, e nemmeno di quelli  significativi.
Sarebbe stato di nuovo Andrea a chiudere il cerchio e a tornare al timone della navicella (così l'avevano ridotta) che navigava in cattive acque e a cercare di riprendere il cammino verso l'obiettivo di tornare quella corazzata che nel 2006 veleggiava sicura di sé nel tempestoso mare pallonaro.

Ora la Juve ha la sua casa, quella voluta da Umberto e dalla Triade (e che nessun altro osi arrogarsene i meriti!, vero Cobolli?), ha ripreso il cammino verso quel continuo migliorare nel cui segno era nata. 
Ha ritrovato il suo segreto, quell'alchimia di sentimento e professionalità che le consentirà non solo di tornare grande, ma che le impone anche di difendere la sua storia, di richiedere con forza che le venga restituito il maltolto.