Sotto la lente - Discrepanze

27.02.2015 01:00 di Carmen Vanetti Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Discrepanze
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© foto di Stefano Porta/PhotoViews


(Gli indagati) “si associavano fra loro e con altre persone in corso di identificazione, avendo già nel passato condizionato l’esito di campionati di calcio di serie A, con particolare riguardo a quello del 1999/2000, che fu sostanzialmente condizionato sino alla penultima giornata (quando si giocò Juventus-Parma, diretto da Massimo De Santis e terminato con il risultato di 1-0, e non riuscendo nell’intento di garantire alla Juventus la vittoria finale, in quanto gli accordi illeciti già stabiliti vennero compromessi dal clamore suscitato dall’arbitraggio apertamente favorevole alla squadra torinese da parte di De Santis).
Così l’atto di chiusura indagini, firmato il 6 aprile 2007 dai pm Beatrice e Narducci.
Ciò fa risalire la genesi di Calciopoli addirittura al campionato 1999/2000, l’anno dello scudetto annegato nella piscina di Perugia (e finito poi alla Lazio): era il 14 maggio 2000. E l’arbitro era  Pierluigi Collina, il fischietto, di fede laziale, che si intratteneva con Galliani nel ristorante, chiuso per turno, di Meani (e che ci parlava pure al telefono): quello tanto gradito da Facchetti e che ‘se sbaglia lui nessuno dice un cazzo’, parola di Carraro. Per la partita decisiva il sorteggio designò proprio lui. Ma, a quanto pare, a determinare il risultato dell’ultima giornata, assieme all’in-criticabile arbitraggio del calvo direttore di gara, fu anche il sentimento popolare, cioè quella vox populi, quelle chiacchiere da bar suscitate dal goal annullato al gialloblu Cannavaro in Juve-Parma dell’8 maggio 2005  (terminata poi appunto 1-0).
Chiacchiere da bar che avevano disturbato, inquinato oserei dire, le settimane precedenti la gara, che erano sfociate in una marcia dei tifosi laziali sotto la Figc (con annessa guerriglia) e che avevano particolarmente amareggiato Luciano Moggi che, a gara conclusa e scudetto annegato, avrebbe così commentato: "Quelli che mi attribuivano poteri straordinari sanno benissimo che quei poteri io non li ho ma fanno per condizionare e questa è la cosa brutta che mi ha fatto veramente male. Non vorrei dilungarmi ancora su questo argomento perché credo che la coscienza delle persone possa parlare da sola. Io sono convinto che il tempo è galantuomo e un giorno parlerà". E in effetti il tempo, tirato per la giacchetta, sta ancora gridando forte la verità.

Quel giorno a Perugia pioveva forte sul Curi, non una semplice pioggerellina primaverile ma un nubifragio, quasi una prova di diluvio universale: la partita non ebbe niente di regolare, né il campo di gioco su cui il pallone non rimbalzava né la chilometrica sospensione, 82’, un record pressoché imbattibile. Un’altra stranezza il misterioso colloquio telefonico tra Collina e un ignoto interlocutore.
Così, a posteriori, nel 2011, si rammaricava  Moggi:  "La Juve avrebbe dovuto andarsene, invece siamo rimasti lì alla mercé di chi decideva e quando siamo scesi in campo non c'eravamo più. Collina? Sicuramente parlò al telefono con qualcuno: di chi si trattasse, non lo sapremo mai. Dico solo che da regolamento la sospensione non può durare più di 45 minuti: Collina invece aspettò quasi il doppio".
E ci sono altre testimonianze inquietanti, per esempio quella del presidente del Perugia Gaucci:  "Prima della partita minacciai i miei giocatori che se non avessero battuto la Juventus, io sarei dovuto scappare da Roma, ma loro se ne sarebbero andati per 3 mesi in Cina in tournée. E al designatore durante il diluvio dissi: sia chiaro che se sospendete questa partita, io non la gioco mai più".
Dichiarazioni confermate da Olive, capitano degli umbri, che ricordava come l'anno precedente, quando avevano consegnato lo scudetto al Milan a discapito della Lazio, fossero stati "sbattuti in Giappone  e non avessero nemmeno ricevuto il premio salvezza".
La conclusione fu che una partita che mai si sarebbe dovuta giocare fu invece portata a termine e il goal di Calori "fece giustizia", per dirla col sentimento popolare e con i pm di Napoli. Collina avrebbe neutralizzato i malefici effetti dell'associazione a delinquere capeggiata da Luciano Moggi e che si avvaleva dei servigi, seppure a intermittenza, di Massimo De Santis.

Che la partita non fosse da disputare è evidenziato chiaramente dalle immagini (GUARDA QUI) che evidenziano come il pallone non rimbalzasse proprio, come previsto invece dal regolamento (del calcio non della pallanuoto).
Ma a Collina, a prescindere e vieppiù nella veste di raddrizzatore di torti, non si poté dire nulla.
Come però sarebbero dovute andare le cose ce lo ha mostrato Rocchi sabato sera a Genova.
Sorvoliamo sul fatto che a Genova si sia dovuta rimandare una partita per mezzo pomeriggio di pioggia, seppure intensa: sono le condizioni del calcio italiano dove non si è in condizione di proteggere adeguatamente i terreni di gioco almeno coi teloni, visto che i club non hanno i soldi per pagare le operazioni di rifacimento del sottofondo e di drenaggio.
Ma questa è la situazione e Gianluca Rocchi ne ha preso atto e ha rimandato tutti a casa, dopo l'ispezione documentata dalle immagini (GUARDA QUI).
Come si vede, la situazione a Genova sembra addirittura meno grave che a Perugia.
Ma Rocchi non aveva torti da raddrizzare, doveva solo arbitrare una partita di calcio garantendone il regolare svolgimento. Sempre parlando di calcio ovviamente, non di pallanuoto.

Un'altra discrepanza, che sottolinea l'unicità del fenomeno Calciopoli, è quella originata da un episodio che oggi ha fatto capolino sul web. Lo spunto è arrivato dalla designazione di Daniele Orsato quale arbitro per l'attesissima Roma-Juventus: quell'Orsato che il 18 ottobre 2013, dopo Roma-Napoli (vinta dai giallorossi), era stato visto (e immortalato) lasciare lo stadio con un borsone della Roma.
Ora, tanto per fare chiarezza, nessuno pensa che fosse pieno dei Rolex di sensiana memoria e tantomeno è mia intenzione fare della dietrologia o cercare alibi per eventuali passi falsi, la Juventus è abituata a lasciar parlare il campo (preferibilmente con un fondo erboso e non la piscina perugina o la porcilaia di Istanbul): certamente il borsone conteneva magliette, divise e gadget similari, quelli di cui non è raro, da sempre, che la squadra ospitante faccia omaggio ai direttori di gara al termine dell'incontro.
Giova però rilevare che, su poche magliette omaggiate a De Santis (nonché ad assistenti, quarto uomo e osservatore) dopo Lecce-Juve, in Calciopoli si è costruita una cupola e si è formalizzata un'accusa che, Narducci dixit, fa pensare "all'articolo 1 della legge Anselmi che fu pensata per la P2" ma anche "ai profili di un'associazione di tipo mafioso".
Sono queste solo due pillole, ispirate da altrettanti dettagli di cronaca, che dimostrano come in Calciopoli,  sin dall'embrione per arrivare agli sviluppi processuali, le regole e le prassi  siano sempre state forzate e asservite a dimostrare un teorema che esisteva solo nella mente di chi aveva bisogno di togliere dalla circolazione la Juve che vinceva sempre (con la conseguenza che poi la gente si allontanava, Petrucci dixit) e soprattutto la Triade, un modello di efficienza e competenza che per chiunque altro era impossibile anche solo da avvicinare.  Con tutto il groviglio di alleanze sotterranee che l'extracalcio forniva.
Però "chi sarebbe arrivato dopo avrebbe fatto rimpiangere il passato", disse Giraudo.
E le vicende presenti del nostro calcio non fanno che confermare questa triste profezia.
 

MILANO - 02/02/2015 - TRIBUNALE - UDIENZA PROCESSO PER DIFFAMAZIONE NEI CONFRONTI DI GIACINTO FACCHETTI - LUCIANO MOGGI
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