Sotto la lente - Calciopoli: la parola passa alle motivazioni

27.03.2015 01:40 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Calciopoli: la parola passa alle motivazioni
TuttoJuve.com
© foto di Stefano Porta/PhotoViews

"Qualcuno doveva aver calunniato Joseph K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina fu arrestato".
E' l'incipit de "Il processo" di Kafka, un libro che Luciano Moggi, nel suo 'Il pallone lo porto io", dice di aver iniziato a conoscere ed apprezzare dopo Calciopoli, per i risvolti surreali che accomunano le due vicende.

E il giudizio della Cassazione, che è, pardon, dovrebbe essere il supremo giudice di legittimità dell'ordinamento giudiziario italiano, non fa che rendere ancora più surreale l'intera vicenda.
Almeno per il momento.
E' infatti chiaro che per comprendere a fondo quali siano state le ragionate pronunce della Cassazione occorrerà attendere le motivazioni, perché dal dispositivo due sono i fatti espliciti:
-  l'assoluzione di Moggi dei reati sportivi di cui ai capi B e M, rispettivamente relativi a Udinese-Brescia (1-2), arbitrata da Dattilo, ora assolto  (la famosa partita dell'espulsione di Jankulovski, su segnalazione dell'assistente Camerota) e  a Juventus- Milan 0-0, arbitrata da Bertini, anch'egli ora assolto.
- l'annullamento del reato di associazione a delinquere, capo A, perché estinto per prescrizione (sia per Moggi che per Giraudo che per Pairetto; ricordiamo che l'altro designatore, Paolo Bergamo, aveva visto in appello annullata la sentenza di primo grado perché il legittimo impedimento del suo difensore nella fase finale aveva fatto venir meno il suo diritto di difesa).
Attraverso quale percorso la Corte di Cassazione (che, giova ricordarlo, non entra nel merito ma deve solo  certificare la legittimità giuridica di quanto statuito nel giudizio precedente) sia giunta alla sua pronuncia lo capiremo dalle motivazioni.

C'è da rilevare anzitutto che  l'estinzione del reato per prescrizione mette anzitutto sotto accusa il modo in cui la vicenda processuale è stata gestita perché a dilatare in maniera abnorme i tempi non sono certo state le difese, cui peraltro è toccato svolgere pure una parte del lavoro che sarebbe toccato ai pm (svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore degli indagati, art. 358 cpp); la difesa di Moggi, peraltro, proprio per favorire la snellezza del tutto aveva drasticamente tagliato il numero dei testimoni (da 150 a soli 24); al contrario l'accusa ci ha messo molto del suo, per esempio avanzando e reiterando la richiesta di ricusazione del giudice Teresa Casoria.

Nelle motivazioni non potranno peraltro non trovare spazio almeno alcuni di quelli che sono i buchi neri della vicenda: tra i quali certamente quello evidenziato dal pg Mazzotta nella sua requisitoria (ce l'ha raccontato il sempre ben informato Ruggiero Palombo), commentando il richiamo dei difensori di Moggi ad alcune intercettazioni (Bergamo/Facchetti e Meani/ Bergamo) che nell'inchiesta non erano entrate: "non sappiamo perché l'attività investigativa non abbia sviluppato i dati emergenti da tali conversazioni telefoniche"; già, basterebbe chiedere quell'Auricchio tanto impegnato a cupolare e ribaltare con Baldini da farsi 'sfuggire' quegli evidentissimi baffi  e tanto impegnato a saccheggiare il pc di Tavaroli tanto da non trovare nemmeno il tempo di ascoltare l'assistente Coppola che voleva parlare dell'Inter e cui venne risposto che 'no, l'Inter non interessava'. Certo, bisognava badare a correr dietro solo ai misfatti di Moggi, non era un'indagine, era una spietata caccia all'uomo, come ebbe a definirla nella sua arringa l'avvocato Prioreschi. Quell'Auricchio, per inciso, che ancora oggi sostiene la tesi del Moggi corruttore e del Facchetti illibato e entra a gamba tesa su qualcosa che non lo riguarda, la questione degli scudetto tolti alla Juve.

Calciopoli, come ho già detto e ripetuto, non finisce qui; questa è solo una tappa ma Calciopoli sanguina ancora.
Di certo ci sono solo i dati della realtà: si è costruita l'ipotesi di un'associazione a delinquere senza fine di lucro e, quel che è più grave, senza associati in grado di alterare alcunché perché senza arbitri (a parte lo sventurato De Santis che nulla aveva a che spartire con presunto architetto) non si va da nessuna parte, erano solo quattro amici al telefono, nemmeno al bar, quello era terreno di Nucini e Facchetti. Nulla di più paradossale.
Inoltre: i sorteggi erano regolari, meno regolare la sequenza fotografica di fotogrammi in libertà che voleva dimostrarne il taroccamento, visto che il colpo di tosse pareva non bastasse.
Le conversazioni tra Moggi e i designatori, oltre ad essere lecite in sé, non erano esclusive e quelle di altri contenevano, piaccia o non piaccia agli inquirenti, elementi davvero compromettenti che sono, ahimè, sfuggiti, nonostante i baffi.
Le ammonizioni mirate non esistevano (tanto meno le espulsioni e lo sventurato Dattilo è stato finalmente assolto, dopo un calvario interminabile).
Le schede svizzere (il cui possesso era legale e di cui fu interrotta l'intercettazione quando si scoprì che non portava da nessuna parte) sono state acquisite senza rogatoria, attribuite con olio di gomito invece che con il previsto software forense e il loro contenuto è ignoto.
Ma allora, di cosa stiamo parlando?

Dulcis in fundo: la Juventus non era in Cassazione, assolta in  primo grado con conferma in appello. La battaglia per gli scudetti è più aperta che mai. Dopo l'uscita delle motivazioni l'art. 39 è lì che ci aspetta.
Corollario: Luciano Moggi non si arrende, contateci!