Sotto la lente - Barboni o revisionisti prezzolati, noi siamo sempre qui

24.07.2015 01:10 di  Carmen Vanetti  Twitter:    vedi letture
Sotto la lente - Barboni o revisionisti prezzolati, noi siamo sempre qui
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Barboni o revisionisti prezzolati, noi siamo sempre qui

Era l’aprile 2010, l’epoca in cui le famose telefonate pomposamente negate da un tronfio Narducci ruppero la coltre di silenzio con cui sinora si era coperta l’Inter, disvelando come  anche i dirigenti nerazzurri,  da Moratti a Facchetti, telefonassero eccome.
Una grave disillusione per chi aveva pensato di farla franca, una boccata invece di verità per chi, come Moggi, non si era arreso e lottava strenuamente (per sé e per gli altri malcapitati finiti nel calderone calciopolaro) e per chi come noi, al suo fianco, cercava faticosamente di districarsi nel meandro di falsità che il sentimento popolare  (cit. Mario Serio, componente della sandulliana  Corte federale) aveva costruito.

“Sono giorni di attacchi vili e volgari”,  "Si stanno raccontando delle barzellette” proruppe Gianfelice Facchetti, figlio di Giacinto; le telefonate che non c’erano e invece c’erano rappresentavano, a suo dire, "un estremo tentativo, condotto in modo poco civile, della difesa di un imputato". Insomma “la credibilità di mio padre non può essere attaccata da quattro barboni, con tutto il rispetto per i barboni".  

Ma i barboni non si sono arresi e, per tutti questi lunghi anni, hanno continuato la loro battaglia a fianco di Luciano Moggi e delle verità che col suo formidabile staff l’ex dirigente bianconero andava continuamente disseppellendo; si son sentiti dire di tutto dagli orientatori del sentimento popolare: “sbirraglia” e “scherani” di Moggi tra gli epiteti ultimamente più gettonati.

Adesso la verità la sanno tutti: tutti conoscono la genesi di Calciopoli, con i torbidi intrecci sull’asse Milano-Torino, tra lotte di soldi e potere all’interno della Famiglia e maneggi milanesi, a partire dallo spionaggio dell’intelligence Telecom-Pirelli.
Sappiamo quel che è successo alla Juve e quello che, stando a quanto emerso e raccolto dallo stesso Procuratore Palazzi (attento però a lasciar intervenire una ‘salutare’ prescrizione), sarebbe dovuto toccare all’Inter.

Ma nell’ambiente nerazzurro e dintorni (compresi i media orientanti) non vorrebbero mai sentirselo ricordare.
E quando Luciano Moggi ha ricordato, rivolgendosi, nell’ottobre 2010 a ‘Notti magiche’, ad una bandiera interista come Javier Zanetti,  i peccati che gravavano sulle spalle dei dirigenti dell’Inter (tra cui, inevitabilmente, anche il Facchetti nell’esercizio delle sue funzioni, perché l’uomo Facchetti, a differenza dell’uomo Moggi, è sempre stato preservato da tutti per quanto riguarda la  sua sfera personale), il figlio di Giacinto Facchetti pensò bene di querelare Luciano Moggi per diffamazione aggravata.

Moggi, costretto per l’ennesima volta a difendersi, portò in tribunale documentazione e testimonianze a supporto di quanto affermato, tutto materiale peraltro già divenuto noto nel corso del processo penale di Napoli.
Elementi probatori ammessi in dibattimento dal giudice Magi:  elementi così forti da spaventare il pm Remondino: “Ma voi volete rifare il processo di Napoli”.

La conseguente assoluzione di Moggi, inevitabile alla luce del fatto che le sue asserzioni, erano semplicemente un riepilogo di quanto emerso dal 2006 ad oggi, ha scatenato l’ira della famiglia Facchetti che, dalle colonne del quotidiano di riferimento per l’accusa in relazione a Calciopoli, ha bacchettato questa estrema sintesi del Grande Imbroglio come operazione di sciacallaggio e manomissione della memoria: memoria che in realtà, ben lungi dall’essere stata manomessa, è stata ricondotta alla sue vera essenza, sempre per quanto riguarda i fatti avvenuti e non l’essenza delle persone coinvolte.
Nel compendio sono  entrate la prescrizione dovuta al ritardo di Palazzi (che ha evitato all’Inter financo il processo), le telefonate che non c’erano e invece c’erano, con tutte le loro brutture e, per soprammercato, altre faccenduole nerazzurre (come l’opera di intelligence Telecom-Pirelli e la storia dei passaporti falsi).

Ma no, queste cose faceva più comodo che fossero state sepolte dall’oblio: tenerle vive è roba da “revisionisti prezzolati e da bar”. Peccato che la stragrande maggioranza di quanti le tengono vive, a differenza dei media orientanti che sono gestiti da remunerati professionisti del settore, sia composta da persone che hanno messo il loro tempo e le conoscenze acquisite unicamente al servizio della verità. E le ore non le hanno trascorse nei bar a sfogliare la rosea in bella mostra sul bancone dei gelati, ma nella frenetica consultazione di leggi, documenti, intercettazioni.

Però  tant’è.  La verità è scomoda: tanto si è brigato, a destra e a manca, per mistificarla; non per niente, a buon diritto, l’avvocato Prioreschi definì Calciopoli il Grande Imbroglio, tra le schede svizzere mute e popolate a piacimento (nonché acquisite nel modo che sappiamo, e in merito a ciò De Cillis è stato rinviato a giudizio per falsa testimonianza) e il pc di Tavaroli che partiva da Milano e, guarda caso, finiva proprio in via In Selci.

E adesso quattro barboni, divenuti revisionisti prezzolati, pretendono ancora di chiedere GIUSTIZIA?
Non c’è dubbio: la chiederanno sempre e si batteranno sempre, perché il trionfo della verità è ricompensa ben più alta e gratificante di una remunerazione alla catena di un padrone.