Il Corner - Il calcio che vorrei. Dall'odio alla violenza il passo è breve. Iniziamo a rendere più sicuri gli stadi in modo concreto

09.06.2015 00:10 di Nicola Negro Twitter:    vedi letture
Il Corner - Il calcio che vorrei. Dall'odio alla violenza il passo è breve. Iniziamo a rendere più sicuri gli stadi in modo concreto
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© foto di Andrea Ninni/Image Sport

Mi fa più male l’odio diffuso che percepisco nei confronti della Juventus rispetto alla sconfitta patita sul campo. Dico sul serio quando affermo che mi fanno più male certe manifestazioni di disprezzo da parte di quella mezza Italia anti juventina piuttosto che una sconfitta come quella patita a Berlino nella notte della finale di Champions League. Sarà che avvicinandomi ai cinquant’anni vivo con un certo equilibrio vittorie e sconfitte della mia squadra del cuore. Dipenderà probabilmente anche dal fatto che, negli ultimi anni, le vittorie della “mia” Juventus sono state tante e quest’anno in particolare mi sento orgoglioso dei risultati sportivi che ha conseguito e di come sono stati ottenuti. Però i fuochi di artificio sparati in città che non hanno altro da festeggiare se non le sconfitte altrui mi mettono addosso una certa dose di tristezza. Sono triste per loro ovviamente, quelli che festeggiano. Penso alla loro frustrazione e alla rabbia repressa che possono sfogare evidentemente solo in questo modo piuttosto che per le vittorie della propria squadra. Perché in fondo gioire per le sconfitte altrui è un po’ come gioire delle disgrazie altrui non avendo successi personali da celebrare. Brutta cosa! Con questo non dico che non ci possa essere il sano sfottò all’amico quando la sua squadra perde. Ci mancherebbe! Penso però che ci siano dei limiti dettati dall’educazione, dal buon gusto, dal buon senso, oltre i quali non bisognerebbe andare. Gufare insomma va bene, ma inscenare tifo occasionale per qualsivoglia squadra che affronti la Juventus lo considero un po' da poveracci a cui non è rimasto nient'altro per cui gioire. Perché siamo ben oltre il tifo “sano” quando si scende in piazza per celebrare la sconfitta di una squadra che si considera rivale e non ne faccio certo una questione di pro o contro Juve, perché si tratta di un discorso più generale.

Dall’odio represso alla violenza verbale negli stadi il passo è breve. D’altronde anche nella stagione calcistica che ci siamo lasciati alle spalle hanno trovato spazio episodi di stupidità trasversale fra le diverse tifoserie. Beninteso, metto sullo stesso piano i cori di incitamento al Vesuvio, quelli sull’Heysel e quelli su Superga, per tacere degli altri. Il rispetto, quando lo si pretende (e giustamente), bisogna anche darlo senza patteggiamenti per una questione di civiltà. Lo sviluppo del movimento calcistico italiano non può non passare anche per una crescita culturale delle tifoserie negli stadi. Incitare con forza la propria squadra è un dovere per il tifoso, ma offendere gli avversari in modo greve lede anche l’immagine della squadra che si ritiene di rappresentare intonando slogan e agitando sciarpa e bandiere. Le disgrazie in particolare non si dovrebbero toccare. In questo senso ritengo sia giusto sottolineare la decisione del presidente federale Carlo Tavecchio di ritirare simbolicamente la maglia numero 39 della Nazionale per onorare le vittime dell’Heysel così come proposto dall’Associazione fra i Familiari delle Vittime dell'Heysel. Una decisione saggia e lungimirante quella di Tavecchio grazie a cui quanto successe quella notte all'Heysel sarà un po’ meno patrimonio della tifoseria juventina e un po’ più patrimonio collettivo nazionale per tenere viva la memoria di una tragedia che non si dovrà più ripetere sui campi da calcio.

Per passare dalle parole ai fatti, dagli atti simbolici a quelli concreti, tocca far riferimento ancora alla Juventus. In fondo si tratta della società che traina il movimento del calcio in Italia non solo per i risultati sportivi e perché è l'unica società di serie A che possiede lo stadio di proprietà, ma anche per le azioni concrete a livello di prevenzione della violenza degli stadi. L’esempio pratico lo ha fornito il presidente Andrea Agnelli nel corso della conferenza stampa con cui lunedì 8 giugno ha celebrato i successi ottenuti dalla Juventus nel corso della stagione. Sul fronte del monitoraggio di tutto quanto accade sugli spalti prima, durante e dopo la partita, lo Juventus Stadium è stato l’unico stadio di serie A a essere dotato di un sofisticato sistema di telecamere (costato € 180.000) in grado di individuare in pochi minuti i responsabili di eventuali disordini o atti criminosi. Anche a me, come ad Andrea Agnelli, non torna il fatto che ciascuna società di serie A possa investire € 400.000 per dotarsi di una tecnologia in grado di risolvere lo sporadico dilemma del “gol non gol”, mentre l’unico investimento fatto sul fronte anti violenza è il solito fiume di parole in libertà che trovano cittadinanza mediatica per un giorno o una settimana, per poi essere riposte nel dimenticatoio e quindi essere riprese ciclicamente alla bisogna. E’ vero che il miglioramento del sistema calcio italiano passa dal rinnovamento degli stadi, dalla riforma dei campionati, da leggi che tutelino al meglio i marchi, ma è vero anche che i nostri stadi andrebbero resi più sicuri anche dai Comuni (proprietari degli impianti) in collaborazione con le società che usufruiscono degli impianti e che poi si ritrovano puntualmente a pagare per gli eccessi dei propri tifosi in nome di una (a volte) distorta applicazione della responsabilità oggettiva. Un investimento nella sicurezza degli stadi agevolerebbe il lavoro delle forze dell’ordine e indirizzerebbe i responsabili di comportamenti illeciti a doverne rispondere direttamente secondo il principio di responsabilità individuale a cui sempre si dovrebbe far riferimento nella vita. Debellare il fenomeno della violenza degli stadi potendo individuare subito i colpevoli di atti illeciti, scoraggiando così gli idioti, sarebbe un passo in avanti concreto per ripulire davvero gli stadi e migliorare di fatto lo stato del calcio italiano. Bisognerebbe passare dalle parole ai fatti. E’ una questione di priorità da mettere all’ordine dal giorno e su cui attivarsi tempestivamente per non ritrovarsi punto e a capo alla prossima occasione.