Gli eroi in bianconero: Pietro SERANTONI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
12.12.2014 09:22 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Pietro SERANTONI
TuttoJuve.com

asce il 12 dicembre 1906. Nel 1927, a poco più di vent’anni Toni è militare, a Milano, gioca nella Minerva in seconda divisione in attesa di lasciare la divisa e tornare a Venezia. Lo nota Arpad Veisz, allenatore dell’Inter: per trecento lire al mese diventa nerazzurro. Nel 1929/30 è promosso titolare, debutta a Livorno e Veisz gli assegna il compito più difficile, fermare il motorino del Livorno, Magnozzi. Ci riesce e l’Inter vince 2-1.
Non salta una partita, conquista il primo scudetto a girone unico, un ottimo avvio di carriera. Trova un amico, Meazza, un ragazzino esile e sperduto in mezzo ai marcantoni delle difese. Ed allora guai a toccarlo, Toni con lealtà ma gelidamente, è pronto a spietate vendette. Con il Pepp fa coppia fissa, dentro e fuori dal campo e l’amicizia continua anche quando il calcio diventa solo un ricordo. Esordisce in Nazionale, giocando a Bruxelles contro il Belgio (3-2 con due goal di Meazza).
La Juventus lo acquista sborsando la cifra di 65.000 lire, un anno in bianconero (siamo nel 1934/35), partecipa all’eliminatoria mondiale con la Grecia a Milano (4-0) ed il 14 novembre del 1934 è uno dei Leoni di Highbury. Conquista il pubblico londinese per le sue doti di combattente e gladiatore, a fine partita scende negli spogliatoi, per congratularsi con lui, Guglielmo Marconi.
Uno scudetto bianconero con 15 presenze e l’infortunio, menisco. L’operazione, a quell’epoca, è piena di incognite, anzi è una quasi certa condanna: niente più calcio. «E qui», raccontava, «nella sfortuna sono stato fortunato. Con un’altra società avrei dovuto smettere di giocare, la Juventus era diversa. Mi fece curare, guarire, ma poi mi cedette alla Roma. Forse non credeva nel miracolo».
Nel 1936 debutta in giallorosso a Vienna (sconfitta per 3-1), gioca nella squadra dell’Europa Centrale (3-1 all’Europa Occidentale) ed esplode ai Campionati Mondiali in Francia. Viene giudicato uno dei laterali di maggior valore in campo mondiale. Pozzo lo giudica così: «Serantoni non è un tecnico di qualità eccezionali. È un combattente di levatura eccelsa, nelle situazioni difficili è l’uomo che trascina alla lotta l’intera squadra».
Portabandiera della Roma, gioca l’ultimo campionato nel 1939/40 e si ritira. Dopo la guerra, accetta l’incarico di allenatore del Suzzara, del Padova (che portò in A) e per qualche mese della Roma: «Ma il calcio non è più per me, troppi furbi».
Lo delude soprattutto la Roma, che cerca di salvare dalla B sostituendo Masetti e che, invece, poco dopo lo licenzia.
Due episodi: è in ritiro, con la Nazionale. Piove, Pozzo dice niente allenamento e tutti tornano in camera od a giocare a carte. Toni invece si mette a correre nell’albergo, sale e scende ininterrottamente le scale. Pozzo lo ferma: «Sei matto?» e lui spiega: «Io devo allenarmi. Se fuori non posso, lo faccio qui!»
Nel 1936 la Nazionale gioca a Berlino, nel secondo tempo si frattura l’alluce del piede destro (lo stesso infortunio che aveva messo fuori combattimento Monti a Highbury) ma lui non esce. Chiede solo a Pozzo che, dalla linea del campo, gli scandisca i minuti che mancano alla fine dell’incontro e gioca fino alla fine. Pozzo disse: «Ancora adesso non riusciamo a capire come poté superare quel dolore spaventoso, reggendosi in piedi fino al termine della partita. Il medico tedesco, che lo visitò in infermeria, mi disse che non credeva che un uomo potesse giungere a tale punto di stoicismo».
Morirà il 6 ottobre del 1964, ucciso da un tumore al cervello. La volontà ferrea che lo aveva portato dai vicoli di Venezia al titolo di campione del mondo si è dovuta arrendere, per la prima volta, di fronte ad un ostacolo troppo forte.