Gli eroi in bianconero: Paul POGBA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
15.03.2017 10:35 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Paul POGBA
TuttoJuve.com
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport

È pressoché impossibile mettersi nei panni di Paul Pogba – ammette Massimo Zampini su Juventibus.com del 7 agosto 2016 – dire quale sarebbe stata la scelta giusta, certificare noi cosa avremmo fatto al suo posto. Dovremmo immaginare di essere un ragazzo francese che a sedici anni viene preso dal Manchester United, la squadra più famosa del mondo. Di giocare lì per tre anni, in quell’età dove noi finiamo lentamente l’adolescenza mentre loro, i giocatori, quelli veri, sono già adulti, fuori casa da chissà quanto. Di avere un allenatore che crede in te, ma non ancora, non quanto vorresti, e allora arriva una squadra dall’Italia (LA squadra dall’Italia, quella di Platini, Zidane, Deschamps, Trézéguet e compagnia) che sta rinascendo, mentre tu stai nascendo e ti coccola, ti lusinga fino a convincerti.
Ti spiace lasciare Manchester, ma sai quanto sei forte e scommetti su di te, sapendo che un centrocampo con Pirlo, Vidal e Marchisio è fortissimo, quasi perfetto, ma sei quasi perfetto anche tu, e perfetto lo sarai presto, quindi non puoi avere paura.
Dovremmo immaginare, in quel Juventus-Napoli dell’ottobre 2012, di subentrare a un quarto d’ora dalla fine a Vidal e di aspettare un pallone che scende piano proprio per aspettarti, fino a quando non lo prendi al volo di sinistro e lo scarichi proprio all’angolino. Nelle immagini si vede Mazzarri, l’inventore mondiale del 3-5-2, che si dispera mentre sulla nostra panchina festeggia Alessio e viene da ripensare a quante ne abbiamo passate, caro Paul, in questi anni, rimanendo sempre lì al nostro posto. È esattamente quello il momento in cui tutti capiscono di essere di fronte a un calciatore speciale. Ma se solo davvero ci immedesimassimo in Paul non saremmo sorpresi, perché è proprio per quello che siamo andati alla Juventus, mica per aspettare di compiere ventidue anni guardando gli altri dalla panchina.
E, infatti, ci prenderemmo il posto, anno dopo anno, e la nostra maglietta diventerebbe la più ambita da una generazione di piccoli juventini, fino a salire di numero, di grado, di importanza e diventare la dieci. È in quell’estate che Marotta incontra il Barcellona, all’uscita ci regala una foto di rito con la dirigenza catalana e il mondo immagina che OK, magari non questa estate ma Pogba è stato già venduto al Barcellona. Ci aspetterebbero al varco anche là, con la numero dieci, il Barcellona alle porte, le pressioni che esplodono, ma dopo un inizio complicato supereremmo anche questa prova, vincendo da protagonisti l’ennesimo scudetto di fila. A quel punto (eccoci, finalmente) l’accordo col Barcellona se lo sono già scordati tutti, era la solita boutade. Ma ci sarebbero comunque le solite voci di mercato, le interviste abbracciato a Evra, la voglia di Juve ma anche di mettersi alla prova altrove, magari in un campionato dove negli ultimi anni non ha vinto sempre la stessa. Dove si guadagna di più, certo, molto di più, ma non solo, perché il Manchester United è casa ed è sempre la squadra più ricca, conosciuta e più amata del mondo e vale la pena, partito a parametro zero perché non c’era posto in squadra, tornare da calciatore più pagato della storia del calcio. Sì, è una cosa da Paul Pogba. Non male, come storia.
Ma è complicato immaginare tutto questo e allora restiamo noi, che quel giorno col Napoli ammiravamo estasiati dalla tribuna, al goal contro l’Udinese quasi non ci credevamo, nel vederti cercare le zidanate a metà campo talvolta sbuffavamo, nell’elencare i tanti parametri zero ci mostravamo inorgogliti partendo sempre dal tuo nome («allora, intanto Pogba, poi Khedira, Llorente, Coman, Evra», ecc.), di fronte alla goffa rabbia di chi non vince mai e ti riteneva sopravvalutato ridevamo di gusto («non vale settanta, non vale ottanta, non vale novanta, lo sta montando la stampa» e noi giù a ridere festeggiando scudetti) e ora eccoci qua, a vivere il calciomercato più incredibile di sempre, tra arrivi straordinari e partenze che lasciano un po’ di magone, perché ci sarebbe piaciuto farci qualche altro anno insieme. E allora buona fortuna, Paul, ma da ora l’unico interesse al momento è sapere che farà Higuaín, chi verrà al tuo posto e come sta Marchisio. Il resto è un gran ricordo ma è già l’ultimo dei nostri pensieri.

Caro Paul, è stato bello intraprendere questo viaggio con te – è la lettera aperta di Enrico Danna su Tuttojuve.com del 9 agosto 2016 – un viaggio durato quattro anni, nei quali abbiamo gioito molto e patito qualche delusione (vedi finale di CL); un percorso che ti ha visto crescere in modo esponenziale, probabilmente inaspettato, per quanto è stato rapido ogni tuo passo verso l’élite del calcio. Tutti noi sapevamo che prima o poi ci saremmo separati e, davanti a certe cifre, probabilmente è impossibile dire “no”, qualunque sia l’angolo di osservazione degli eventi. Del resto, non sei cresciuto nel vivaio bianconero e quindi non potevi avere tatuato (nemmeno abbozzato) quel DNA zebrato che avrebbe potuto incidere nelle scelte. L’importante è che si sia trattata di una tua scelta, perché, nel bene e nel male, è sempre meglio poter dire di aver usato la propria testa. Ciò che ha lasciato un po’ perplessi i tifosi juventini è stata tutta la pantomima messa in scena nell’ultimo mese, probabilmente orchestrata in modo abile e opportuno da sponsor e agente, con la tua complicità (diretta o indiretta che sia). Ecco, questo si poteva in qualche modo evitare. Nessuno ti avrebbe fatto una colpa per un affare che arricchisce e sta bene a tutti, ma c’è modo e modo di fare le cose. In fondo, un pizzico di gratitudine in più (che sappiamo benissimo essere merce rara nel calcio) verso i tifosi della Vecchia Signora e verso la Juventus stessa non avrebbe fatto schifo. Se è vero che in quel di Manchester sei cresciuto e che il tuo ritorno alla corte dei Red Devils è una scelta di cuore (che più che battere, tintinna), è anche e soprattutto vero che quattro anni fa, la Juventus dimostrò di credere in te, portandoti a Torino e permettendoti di diventare il calciatore che sei ora, mentre, in terra d’Albione, stazionavi amabilmente tra l’aiuto cuoco e l’aiuto magazziniere. Bisognerebbe ricordarseli certi particolari, perché sono quelli che creano i nostri percorsi di vita e ci fanno diventare ciò che siamo.
Vedi, caro Paul, fa male leggere che quella di Torino è stata, per te, come una vacanza. La divisa della Juventus è gloriosa tanto e più di quella che vai a indossare ora. Ti ricordiamo che hai portato sulla maglia il numero di un campione come Gaetano Scirea, grande Uomo prima che giocatore. Se ti si può dare un consiglio, caro Paul, vista la tua giovane età, è quello di studiare il compianto Gai, perché se è necessario migliorare costantemente come calciatore, lo è, a maggior ragione, migliorarsi quotidianamente come uomini. Sei giovanissimo e quindi è logico (ed anche giusto) che tu possa errare o comunque colorare il tuo percorso di sfumature stonate (lo abbiamo fatto tutti), ma nel momento in cui sei osannato e amato da una tifoseria, dovresti portare più rispetto per chi, in questi quattro anni, ti ha acclamato, applaudito e aiutato a diventare quello che sei. Vuoi crescere e diventare il migliore e questo ti fa onore, ma se permetti, al momento, è difficile pensare che ti sia più agevole raggiungere certi traguardi con una squadra che negli ultimi anni non ha brillato (per usare un eufemismo), che nella stagione in corso non disputerà la Champions League e che è sicuramente forte dalla trequarti in su, ma è imbarazzante nella fase difensiva. Alla fine, però, ogni decisione va rispettata e accettata: è la legge della vita, non solo dello sport. La prossima volta che farai una scelta di cuore, però, ricorda di metterlo in primo piano, il cuore. In bocca al lupo Paul et merci pour tout. Ti auguriamo tante vittorie (tranne nel momento in cui dovessimo mai incontrarci da avversari) e un futuro radioso.

Appena tre mesi dopo il suo sbarco a Torino – racconta Giacomo Scutiero su Juventibus.com dell’11 agosto 2016 – messaggio con il maestro Roberto Perrone sul diciannovenne che a Vinovo stupisce tutti. Mi scrive solo sei parole: «È un predestinato, sarà un grandissimo». Mi fido, gli credo. L’attitudine del primo (e soprattutto del secondo, terzo, quarto) Pogba è la spontanea e solenne disinvoltura nello “snellire il traffico” (made in Roberto Beccantini). Patrick Vieira? Sì, ma c’è dell’altro. Il suo primo allenatore al Roissy racconta che era un nove e mezzo, ma poi tradisce la tattica e confessa: «Faceva tutto, recuperare, assistere, segnare, e si incazzava pure». Facendo rassegna stampa, archivio spesso ritagli di giornale. Mai visto un giocatore dichiarare così tante volte di puntare al Pallone d’Oro. Un francese molto inglese e United come Eric Cantona benedice da subito la scelta di Pogba di lasciare Manchester per raggiungere la Juventus. Il perché dell’abbandono è arcinoto, Paul lo ricorda senza freno a ogni intervista: «Dissi a Ferguson che ero pronto per giocare. Contro il Blackburn era disponibile solo Park a centrocampo; schierò Rafael, non me… E me ne sono andato». Pretesto della fattispecie a parte, non era considerato abbastanza e voleva giocare.
Un ragazzo che vuole apprendere e apprende. La lingua: (imparato l’italiano) su sua richiesta, Llorente gli insegna lo spagnolo appena i due iniziano a vivere insieme il tempo libero. La disponibilità: «A me basta essere in campo, gioco dove vuole l’allenatore». La professionalità: «Vorrei divertirmi un po’ di più, ma il calcio pone degli obiettivi da raggiungere e per vincere devo fare dei sacrifici». Lo step by step, che mai come oggi odora di annuncio non colto: «Fare la storia della Juve? Io voglio fare la storia di questo scudetto». A proposito del rapporto con chi decide cessioni e rinnovi, il ragazzo non resta bene quando la dirigenza non affronta l’argomento del nuovo contratto prima del termine della stagione 2013-14. Ma la Juve fa così e, dopo due anni di Torino, Pogba lo avrebbe dovuto sapere eccome. Intanto, in quel periodo, lo Stadium sciorina “Non si vende Pogba!” ogni settimana. Non passano molti giorni e appare il suo agente, Mino Raiola: «A lui interessa solo la Juve, il matrimonio è perfetto». Tutto chiaro, no? Anche l’ingaggio del francese di allora: un milione e mezzo per altri due anni, pochino per chi ha già dimostrato di poter divorare la Serie A. Basta attendere la fine dell’estate e l’inoltro dell’autunno per ottenere il doppio tre: gli anni di contratto aggiunti e la moltiplicazione dello stipendio.
Paul ha mai detto di voler giocare nel Real e nel Manchester, ha sempre detto quel che è innegabile e più significativo: «Sono top club, come la Juve». La seconda parte dell’anno 2014 è la fase in cui la società Juve comprende al 100% di avere in casa il prossimo numero uno dei tuttocampisti. Per le due stagioni strabilianti, per gli interessamenti di mittenti autorevoli che giungono in sede. Chi parla mai, quando parla va ascoltato. Specie se risponde al nome di Fabio Paratici: «Non immaginate quanto grande sarà Pogba. Sono convinto di questo, per il giocatore che è e soprattutto per la testa che ha». Il Direttore Sportivo fa la parte dello scudo preventivo del Polpo, che inizia a ricevere una catasta di critiche circa il suo modo di interpretare il calcio, di vivere i novanta minuti, di fare una scelta piuttosto che un’altra. Senza molti giri di parole dolci, il suo commissario tecnico Deschamps: «Fa troppe giocate superflue». E mister Allegri: «Mi fa arrabbiare, perché ha potenzialità incredibili, da zero errori a partita. Deve sbagliare molto meno». At last and least, ci sono anche io. Paul rigetta l’etichetta di frivolo, senza pensieri, leggero: «Questo è il mio calcio, sono così». Ma, come detto, vuole sempre apprendere per migliorare: «A volte tendo a esagerare. Devo mettere a posto qualche dettaglio se voglio diventare davvero forte». Parola sua e di Tévez: «Ogni mattina lui ti abbraccia e dà un bacio. Nelle interviste dice quello che è giusto, di valere zero. Per questo diventerà un campione».
Una delle definizioni di Pogba che più apprezzo è firmata dal moda-manager Giulia Mancini: «Fa cose da eroe, da fumetto». Ma a soli ventuno anni gli rinfacciano qualche pausa di concentrazione in partita, senza ricordare che, alla stessa età, Messi e Cristiano Ronaldo non erano migliori in quell’aspetto. Se una parte, il collega Niang, chiude un occhio («Ha abituato troppo bene…»), dall’altra ripiovono letterine a forma di freccia inviate ora da Moggi e ora da Nedved: «Deve essere meno bello e più concreto, più determinante». Il ragazzo comincia a palesare fastidio. I media pongono sempre la stessa domanda e lui se ne esce come mai: «Qualsiasi cosa dico non vengo creduto», in riferimento al fatto che per lui la Juve (non) è un top club abbastanza stimolante.
All’inizio dello scorso anno, nessuna testata scriveva che Pogba sarebbe stato bianconero anche nella stagione 2015-16. E invece… L’ex allenatore Conte sembra rimbambito dall’assiduo studio della lingua inglese: «Vendi lui e compri tre top». E mentre Zenga scova l’unico difetto del francese, «Non sa cucinare», ricompare Raiola. Mino comincia a parlare con la Juve, faccia a faccia e sui giornali: «Con Agnelli abbiamo un patto: Paul non deve andare via per forza, perché non c’è bisogno di soldi. Il Real lo ha chiesto, ma non mi piace il loro atteggiamento: hanno storto la bocca alla cifra di cinquanta milioni… Lui ama le sfide, lasciare Manchester lo fu. Rischio e coraggio, così cresci. Se Pogba sceglie una squadra e un’altra offre di più alla Juve, tra me e la Juve sarà guerra». Abbastanza chiaro, eh. All’inizio dello scorso anno, dicevo. È importante perché il giocatore è all’epoca non sponsorizzato, ma con avance milionarie di Adidas e Nike. Non è un quotidiano italiano, ma “L’Equipe”, a piazzare la Juve tra i top club meno qualcosina; è l’anticamera dell’accordo con Adidas, che per Paul gradirebbe più la maglia red e blanca a quella bianconera.
Il Barcellona fatto fuori? Commercialmente parlando, sì. Anzi, di fatto gli spagnoli fanno fuori loro stessi: «La Juve vuole cederlo? E poi chissà qual è la strategia di Raiola…». (Josep Maria Bartomeu). Il presidente pare aver già capito tutto. A Madrid, “AS” non fa una gran pubblicità al Real: il club non sarebbe interessato perché «Pogba è troppo mammone, non esce la sera, è molto religioso». Vai a capirli… Ad affossare la Liga e spianare la strada verso la Premier, ci pensa “Marca”: «Cento milioni per Pogba? Sì, quaranta di cartellino, trenta per l’acconciatura e trenta per i tatuaggi…». In Inghilterra parla Mourinho, che però allena il Chelsea e non il Manchester United: «Pogba è un giocatore straordinario, ma è della Juve e la Juve vuole tenerlo. Ci sono giocatori che puoi avere e giocatori che non puoi avere». Fantascientifico rileggere José oggi. E la Juve che fa? C’è Marotta: «Ci ha chiesto di rimanere, non vogliamo venderlo, non stiamo trattando». Lo stesso Marotta che tre mesi prima diceva di aver problemi a trattenere un giocatore cui gli viene offerto un ingaggio da dieci milioni. Di fatto Pogba resta un’altra stagione. E resta «l’assegno circolare in mano alla Juve» (Massimiliano Nerozzi). Lui, che in ritiro saluta la partenza di Vidal sui generis: «Ha fatto bene ad andare al Bayern».
Il 2016 è storia recente, nota e ben ricordata. La Juve vince il quinto scudetto consecutivo, Pogba il quarto. Il mister degli ultimi due è ospite in RAI: noi pensiamo di capire tutto, ma tra ripetizioni di Fazio e smorfie di Allegri, in realtà capiamo poco. Poi c’è la vacanza americana di Paul (e Mino). E soprattutto per noi il mercato sontuoso della Juve. Un fotografo coglie Marotta pensieroso (il Polpo in testa…) durante la firma del contratto di Pjaca. “Il Giornale” e Damascelli ricordano come il giocatore sia idolatrato a Torino: «Fuori lo Stadium comprano prima la maglia di Pogba e poi il maglione di Marchionne». Tante parole. “Blah Blah Blah” è lo slogan multi-understanding di luglio e agosto: l’illusione per il tifoso, che non riesce ad accettare sia solo un «Decidiamo noi (giocatore, mediatore, sponsor) quando firmare e come arrivare alla firma». L’annuncio di Pogba-Manchester United arriva dallo stesso giocatore quando in Italia sono le due di notte. Surreale. Come tutto il percorso estivo che lo porta a essere il calciatore dal cartellino più pagato della storia e con l’ingaggio più alto della maggiore Lega europea. Il grande giocatore va, la grande Juve resta. Come sempre. L’Italia? Perde l’eccezionale condimento, perde l’introvabile ciliegina, perché per la maggior parte degli addetti ai lavori è mai stato la torta. Lo diventerà? Non è improbabile. Ma questo è “Blah Blah Blah 2.0”.

Sono solamente alcune delle tante testimonianze juventine al clamoroso trasferimento del ragazzone francese alla corte del Manchester United. Reazioni di stupore, di dolore e anche di rabbia, perché con Paul (e i grandi rinforzi estivi di quest’estate 2016) ogni traguardo sarebbe stato possibile. Ma quello che più ha fatto male ai tifosi è stato il comportamento del Polpo e le sue dichiarazioni post cessione. Proprio lui che aveva chiesto (e ottenuto) di indossare la maglia numero dieci, quella dei grandi. Proprio lui che era arrivato a Torino come un perfetto sconosciuto e che, grazie a quella che ha definito una vacanza, se ne è potuto andare da campione. Ovvio, dalla Juve ha ottenuto tanto, ma ha anche dato tantissimo in cambio. Arrivato, come abbiamo detto, come un oggetto misterioso, è stato lanciato nella mischia quasi subito da Antonio Conte, che ha creduto fin da subito nelle grandissime qualità di questo francesino dalla grandissima tecnica e da un tiro al fulmicotone. Ne sa qualcosa il Napoli, la sua vittima preferita, o l’Udinese che viene piegato da una sua memorabile doppietta, tanto per fare qualche esempio. Ma sono quattro anni pieni di Paul Pogba che, è vero, quando non ne ha voglia è indisponente e irritante ma che diventa il vero trascinatore della squadra quando si sveglia dal torpore e decide, da par suo, di risolvere le partite. Se ne va forse nel modo peggiore e i mancati saluti dei senatori (sempre prodighi a “celebrare” gli addii dei compagni di squadra) stanno a significare che qualche patto non è stato rispettato. Restano di lui i tanti trofei conquistati e, negli occhi dei tifosi, le sue grandi giocate. Con lui in campo, nel bene o nel male, qualcosa poteva sempre succedere e, spesso e volentieri, valeva il prezzo del biglietto. Ritorna a Manchester, nella squadra che non aveva creduto in lui. Rimpiangerà la Juve? Chi lo sa, certo non troverà un’altra società capace di coccolarlo e di viziarlo, ma un allenatore e una proprietà che pretenderà, dalle sue prestazioni, la giustificazione per i tanti soldi spesi. Pogba ha solamente ventitré anni, una carriera probabilmente luminosa davanti. Ma sollevare la Coppa dalle Grandi Orecchie o il Pallone d’Oro con la maglia numero dieci bianconera non avrebbe avuto nessuna eguale soddisfazione.