Gli eroi in bianconero: Luigi ALLEMANDI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
08.11.2016 10:30 di  Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Luigi ALLEMANDI
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Nasce a San Damiano Macra, in provincia di Cuneo, l’8 novembre 1903. Arriva alla Juventus, proveniente dal Legnano, nell’estate del 1925. Difensore di grande temperamento, arcigno, in possesso di una battuta potente, schierato a fianco di un giocatore tecnico come Rosetta, costituisce una terza linea difficilmente superabile. In bianconero si ferma per due soli campionati caratterizzati da trentasette presenze e dallo scudetto del 1926. Ceduto all’Ambrosiana, Allemandi incorre tuttavia nelle grinfie della giustizia sportiva per un caso di corruzione, mai chiarito. La partita incriminata, il derby del 5 giugno 1927, si riferisce al secondo campionato disputato in bianconero (vince il Torino per 2-1 e Allemandi è unanimemente giudicato come uno dei migliori in campo): ai granata è revocato lo scudetto e il bianconero, oramai accasato presso l’Ambrosiana, è squalificato a vita.
La condanna di Allemandi è tuttavia ben presto cancellata dall’amnistia che fa seguito al brillante terzo posto conquistato dall’Italia calcistica all’Olimpiade di Amsterdam del 1928. Il forte difensore può riprendere l’attività con l’Ambrosiana dalla quale si separa, dopo essersi laureato Campione d’Italia nei 1930, nell’estate del 1935 per raggiungere la Roma. In seguito si accasa al Venezia e, nel 1938, ritorna nella capitale per indossare la maglia biancoceleste della Lazio.
Allemandi disputa trentaquattro partite internazionali con l’Italia e in maglia azzurra lega il suo nome al successo mondiale del 1934 e alla Coppa Internazionale del 1935.

VLADIMIRO CAMINITI: Storia di un campione che non fu mai capito, si potrebbe intitolare il suo personaggio. «Faceva paura, era un pazzo favoloso», dice di lui Farfallino Borel con nostalgia. E aggiunge: «Era anche un grosso personaggio». In realtà, fu un grandissimo terzino. Forte come una compagnia di fanti animati dal così detto ideale, spazzò intrepidamente e fu il migliore in campo nel derby Torino-Juventus 2-1 del 5 giugno 1927 al campo di Corso Marsiglia che doveva calamitargli addosso la prima inchiesta federale del romanzo del calcio, difendendosi con il comportamento in campo ma non bastando davanti all’evidenza di accordi presi nella stessa pensione dove alloggiava con emissari del Torino che forse temevano la caparbietà di questo campione coraggioso sul serio, che non si aiutava gridando come faceva Berto Caligaris, ma a tutto campo spezzava e spazzava, con pedate possenti che rompevano peroni, in tempi in cui i giocatori andavano in campo con parastinchi tripli e si menava gloriosamente e poi si scherzava sui menati e chi si tirava indietro era un vile e questo fu il calcio radioso della Madama anni Trenta, stile ma anche animalità, virulenza, il presunto barone Mazzonis non perdonando una licenza poetica e zittendo col suo prestigio, che gli derivava dal fatto di poter disporre della piena fiducia di Edoardo Agnelli, anche i Combi e Rosetta, vestì ventisei maglie azzurre, ventiquattro da moschettiere, esordendo a Padova contro la Jugoslavia in coppia con Bellini, Schiavio centravanti, lo sterminato dribblatore Cevenini III detto Zizì mezzala sinistra, contendendo la maglia al più appariscente Berto Caligaris, che lo aveva sostituito alla Juve dopo il fattaccio, fu protagonista dei memorabili match della primavera 1932 a Parigi e Budapest contro Francia e Ungheria, rilevato poi dal bolognese Gasperi e dall’irriducibile Caligaris, tornava in Nazionale contro la Grecia nell’aprile del 1934 in tempo per essere preso in considerazione, come terzino dell’Ambrosiana, per la prima conquista storica del nostro calcio: il campionato del mondo organizzato dal PNM con tutti i fori cadenti dell’antica romanità convocati sul posto e comandati di fare da cornice.