Gli eroi in bianconero: Flavio EMOLI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
23.08.2014 11:08 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Flavio EMOLI
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Nato a Torino il 23 agosto 1934. Cresciuto nella società. Un campionato in prestito al Genoa e rientra alla Juventus per la stagione 1954/55 dove è subito titolare. Laterale di carattere indomabile e di ottima tecnica è il comprimario ideale dell’argentino Sivori per il quale si sacrifica in rincorse asfissianti. Compie un lavoro ordinato e preciso, fatto in funzione delle esigenze della squadra. Emoli sa conquistare il pallone con forza ed ha l’intelligenza si batterla in avanti, con immediatezza, al compagno meglio smarcato. Raramente i suoi disimpegni hanno messo in difficoltà la squadra, perché le sue avanzate venivano fatte a ragion veduta, senza eccessivi sbilanciamenti in avanti, senza rompere l’equilibrio tra attacco e difesa.

«Il ruolo assegnatomi prevedeva che giostrassi da mediano difensivo, mentre Colombo si muoveva un po’ più avanti. Ma il buffo era che, mentre Boniperti mi spronava sempre ad avanzare, Ferrario cercava in tutti i modi di frenarmi; insomma, ero il classico uomo di spinta, il maratoneta di centrocampo in genere ben preparato fisicamente, tanto che alla fine degli allenamenti rimanevo regolarmente in campo per effettuare allunghi e cross continui a favore di Charles, che voleva perfezionare il colpo di testa. Passavo, poi, per un duro e cattivo, mentre non sono mai stato squalificato per gioco scorretto; se ero aggressivo lo ero all’inglese ed entravo sull’uomo solo quando c’era il pallone di mezzo».

Era soprannominato “Cuore matto”, come il ciclista Bitossi ed il povero Renato Curi. «Avevo un’anomalia congenita al cuore che venne fuori, per la prima volta, quando avevo ventitre anni, a seguito di un elettrocardiogramma. Il responso di quell’esame lasciava poche speranze, tant’è che, tre giorni dopo, il dottor Umberto venne al campo e mi disse che, forse, avrei dovuto smettere di giocare. Fu un colpo tremendo. I medici, che all’inizio avevano erroneamente individuato gli esiti di un infarto, in seguito si resero conto che, quell’anomalia, spariva quando il cuore era sotto sforzo, ma la nomea mi è rimasta per tutta la carriera».

Scolpito nella roccia, caparbio e generosissimo, Emoli, elargisce tesori di energie su ogni campo d’Italia. Esuberante, propenso a buttarsi nella mischia, là dove il gioco assurge a toni agonistici elevati, dote prima di un combattente di razza, Emoli riesce, col tempo, a plasmare la sua condotta di gara, a comprimere quell’azione talvolta convulsa, seppur redditizia, che lo ha sempre inchiodato su un livello tecnico troppo limitato per le sue effettive possibilità. Diventa un giocatore molto importante per la compagine juventina, tanto da diventarne il capitano.

«Scendevamo sempre in campo convinti dei nostri mezzi, anche nelle giornate storte; in fondo, l’accoppiata Charles-Sivori garantiva almeno 50 reti a stagione, quindi potevamo dormire ovunque sonni tranquilli. Certo, non ci fossero stati i famosi dissapori di spogliatoio tra Boniperti e Sivori avremmo, forse, potuto vincere ancora di più, visto che eravamo i più forti in assoluto. Era davvero un altro calcio; pensavamo soltanto a segnare tante reti, quasi un centinaio a stagione e non ci preoccupavamo se, magari, ne subivamo due o tre per partita. Questa mentalità ci rendeva più simili a giocatori della domenica che a fior di professionisti. Eppure, quando scendevamo in campo noi, lo spettacolo era sempre assicurato».

Nei quadri bianconeri si ferma per otto stagioni: mette insieme 240 partite (217 in campionato, 18 in Coppa Italia e 5 nelle Coppe europee) e 9 goal (8 in campionato e 1 in Coppa Italia) e lega il suo nome a tre scudetti (1958, 1960 e 1961) e a due Coppa Italia (1959 e 1960). Lascia la Juventus e si accasa al Napoli nell’estate del 1963, ottenendo la promozione in serie A della squadra partenopea, per poi terminare la propria carriera al Genoa, nel campionato 1967/68.

«Giocare nella Juventus è stata un’esperienza che ha indelebilmente marchiato la mia vita. Forse sbaglierò, ma il fatto di essere stato uno della grande Juventus mi fa sentire, ancora adesso, importante, quasi di un livello superiore. Anche se so che i meriti di tutto ciò sono in minima parte miei».