Gli eroi in bianconero: Fausto LANDINI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
29.07.2022 10:17 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Fausto LANDINI
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Per i più giovani, il nome di Fausto Landini può significare poco o nulla. Al contrario, i tifosi juventini di qualche anno più vecchi, ricorderanno sicuramente quello spilungone dinoccolato, quasi sgraziato, che approdò alla maglia bianconera nell’estate del 1970, proveniente dalla Roma, in compagnia di Fabio Capello e Luciano Spinosi.
«Un infortunio alla caviglia capitato quasi all’inizio del campionato scorso mi ha costretto a un lungo riposo – racconta a Bruno Bernardi de “La Stampa” appena approdato in riva al Po – quando l’arto non era ancora perfettamente guarito sono tornato in campo. In queste condizioni non potevo rendere al massimo ed ho avuto una ricaduta. Ho ripreso a giocare ma non ero sicuro come prima. Anzi mi è capitato un fenomeno curioso che ha tratto molti in inganno. Mancandomi lo scatto ero costretto a iniziare lo spunto offensivo a una certa distanza dall’area di rigore, cosicché si è pensato che io fossi diventato la classica mezza punta che parte da lontano. Io sono una punta. A me piace giocare con l’avversario addosso, liberarmene e andare a rete. Centravanti o ala e indifferente; ma il più avanzato possibile. Mi sento attaccante vero, la mia metamorfosi è stata momentanea. Sia chiaro però che giocherò come vorrà l’allenatore, ho solo bisogno di ritrovare lo scatto, il morale e la fiducia in me stesso per tornare quello di due anni fa. La Juventus è l’ambiente adatto allo scopo. Sono molto giovane, non ho fretta. Arriverà la mia occasione, il tempo non mi manca».

ALDO BISCARDI, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MAGGIO 1971
Due macchie rosse sulle gote, che accentuavano la tonalità quando gli facevi un apprezzamento o l’invitavi ad aprirsi in un’intervista; due gambe interminabili, coperte da pantaloni a larghi risvolti, che ricordavano vagamente quelle di James Stewart; lo sguardo sfuggente, chiaramente timido; i capelli rigati a sinistra. Così ricordo Fausto Landini, ai suoi primi esaltanti tempi giallorossi. Una struttura organica sottoposta a sforzi prematuri e sicuramente compressa. Una vitalità naturale prorompente ma contingentemente annullata nello stampo del calciatore professionista, in cui frettolosamente l’aveva calato Helenio Herrera, dopo la tragica scomparsa di Luciano Taccola e il suo brillante esordio contro il Bologna: tutto questo mi dava l’immagine del Landini II, ragazzo imberbe, adolescente in via di sviluppo, uomo fatto ancora no, di certo. Un tocco di palla eccezionale, una visione chiara di gioco, uno scatto lungo, come le sue leve da fenicottero gli imponevano, ma indigeste a qualunque avversario, una ancora scarsa potenza nel tiro e nel gol, una mezza punta non da rifinire nel gioco ma da irrobustire nella corteccia: ecco il Landini II calciatore, sempre rivedendolo ai tempi giallorossi. 
La mano esperta di Boniperti-Allodi, una volta passato il ragazzo in maglia juventina, l’ha progressivamente «rifatto», completando la sua maturazione fisica e atletica. I due dirigenti bianconeri hanno compreso subito – forse l’hanno acquistato proprio con questa finalità – di avere tra le mani un campione in bozza, che andava corretto e aiutato nella dimensione fisiologica, dopo gli sforzi tremendi e prematuri cui era stato sottoposto. Per questa ragione non gli hanno dato subito la maglia di titolare, per questa ragione lo hanno affidato ai medici, perché i suoi diciannove anni potessero esplodere compiutamente, ritrovando il ragazzo l’equilibrio dinamico e strutturale.
Landini II, come Rivera, non ha una cassa toracica fortissima. Il suo sviluppo si era meglio localizzato nelle leve, difettando nella zona polmonare, per ragioni naturali e per sollecitazione agonistica improvvisa. C’era soltanto da irrobustirlo per farne un vero campione e un vero atleta. E le cure amorose hanno dato i frutti sperati.
Ho rivisto Fausto Landini in Lazio-Juventus all’Olimpico, in quello stadio che l’aveva glorificato alle soglie della grande carriera. Mi è parso finalmente un giovane fisicamente a posto e psicologicamente più maturo. Niente più rossori da educanda, niente più sguardo evasivo, niente più stupore per essere stato illuminato improvvisamente dai riflettori della popolarità. Un ragazzo sicuro di sé, coltivato a giusta e graduale temperatura, un calciatore professionista, nell’aspetto fisico e temperamentale, al livello del suo vecchio e attuale compagno Spinosi.
«Er lungo», lo chiamavano e lo chiamano ancora a Roma.
Nato a San Giovanni Valdarno, il 29 luglio 1951, venti anni ancora incompiuti, fratello di Spartaco, ottimo difensore dell’Inter euro-mondiale, figlio di lavoratori toscani umili, un metro e ottantaquattro di altezza, deve ancora darci l’esatta misura dei suoi mezzi di giocatore di foot-ball.
Gianni Brera, che gli ha dedicato una minuziosa attenzione da quando è passato sotto le insegne juventine, concorda nella mia tesi, sostenuta fin dai tempi giallorossi. È Faustino una grande mezza punta, un rifinitore eccezionale, un attaccante che prepara il tema offensivo, capace con i suoi dribblings lunghi e continuati di sbilanciare i difensori più esperti e validi, un forward che a fianco di uno sfondatore autentico, è capace di fare impazzire gli avversari e dare alla propria squadra il timbro di una pericolosità veramente travolgente.
Ha un carattere veramente buono, nel fondo, ancorché ovviamente infantile. Non è portato all’invidia, alla gelosia, al rancore, come capita spesso nella viziata e rumorosa famiglia del calcio. Si allena, sente e assimila i consigli di chi comanda in società e guida la squadra. Ha le passioni della sua generazione: i vestiti moderni, le giacche di pelle alla Marlon Brando del «Selvaggio», i maxi cappotti e i maxi impermeabili, i revers larghi, i motori, il film western. Non ha completamente trascurato gli studi, non si è montata la testa, è convinto dentro di sé che deve ancora sudare e lottare per arrivare alla fase di completa maturazione e alla conquista della popolarità definitiva e stabile.
Esteriormente è un ragazzo moderno, con le inquietudini e le contraddizioni della gioventù e del mondo calcistico d’oggi. Interiormente è solido e inattaccabile, portando sulle spalle il senso del lavoro e della responsabilità, peculiari del suo gruppo familiare e della sua razza toscana.
È un calciatore, che per le sue virtù e il suo temperamento, tutti vorrebbero possedere. È, secondo me, già un sicuro pilastro della Juventus da scudetto ed europea che Boniperti e Allodi stanno costruendo, sgretolando poco a poco il mito della «vecchia signora» per farne una società e una squadra con le insegne nuove della giovinezza e della forza che occorrono nel calcio contemporaneo.

Nonostante le grandi speranze del non ancora “Aldo nazionale”, Lando fallirà completamente la prova: un solo campionato sotto la Mole, 13 misere presenze (con una rete ai lussemburghesi del Rumelange in Coppa delle Fiere) e l’impressione di un’enorme fragilità psicologica che mai lo abbandonerà.