Gli eroi in bianconero: Carlo BIGATTO

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia
29.08.2014 14:15 di Stefano Bedeschi   vedi letture
Gli eroi in bianconero: Carlo BIGATTO
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La Juventus, nel suo cammino secolare, ha sempre contato su questi uomini, leader non solo in campo, che hanno unito anni ed anni di gesta sportive. Senza scomodare Boniperti o Del Piero, si pensi all’importanza dei Combi, dei Furino, degli Scirea, tanto per citarne qualcuno. Nella ormai lontana età dei pionieri merita senza dubbio il titolo di “uomo bandiera” Carlo Bigatto. Lo ricordano gli anziani e lo testimoniano le foto sbiadite dell’epoca, nel suo caratteristico abbigliamento con un caschetto bianconero di tela a proteggergli i capelli, un copricapo curioso con due alette che scendevano fino alle orecchie. Tutto ciò, insieme a due baffoni gagliardi, gli dava un aspetto truce che in campo poteva andar bene per mettere timore agli avversari, ma che non era nella realtà lo specchio di questo uomo integerrimo, onesto, leale.
Così lo descrive un ritaglio di giornale dell’epoca: «Giocatore finissimo, dribblatore imperterrito e tenace, conosce tutte le malizie del mestiere. Guai all’ingenua ala avversaria che gli capiti tra i piedi. È destinata a fare una pessima figura, a restare con un palmo di naso e senza pallone; a misurare la cotica erbosa per qualche “trappoletta” ben dissimulata. Bigatto è, infatti, giocatore dallo sgambetto amichevole. Altri sanno fare miracoli con l’agilità invisibile delle mani; egli è, invece, una specie di manipolatore coi piedi». 
Ma se questa descrizione può far sorridere, Bigatto ha ben altre qualità, per farsi valere. Come tanti altri pionieri juventini comincia a giocare nei cortili del collegio San Giuseppe, un serbatoio inesauribile della giovane Juventus di allora. Ma poiché abita nei pressi di Piazza d’Armi, il passo è breve: un club di terza categoria, lo Junior, poi la Juventus. E nella Juventus in prima squadra, inamovibile, gioca praticamente dal 1913 agli albori del grande quinquennio, 1930.
Entra nella squadra dei fondatori, i Donna ed i Collino, la porta per mano allo scudetto del 1926, quello degli Hirzer e dei Munerati, quindi la cede ai Combi, agli Orsi, ai Cesarini, giocando ancora una partita nel dicembre del 1930, il primo anno del grande quinquennio. Accompagna per mano tre generazioni di bianconeri, poi i tendini di quel campione ormai trentacinquenne non riescono più a sorreggerlo ancora in campo.
Carlo Bigatto comincia la sua carriera come centravanti. La parentesi dura della guerra con la brigata di fanteria Pinerolo lo porta su tutti i fronti, l’armistizio lo vede a Pola.

Torna e diventa “centr’half”, ma all’occorrenza sa spingersi di nuovo all’attacco. Prezioso è anche il suo intuito quando indirizza al calcio i due fratelli Marchi e quando consiglierà ad un ragazzino di nome Giampiero Combi, che gioca nel Savona come ala sinistra, a cimentarsi come portiere.
La leggenda vuole che arrivasse a fumare 140 sigarette al giorno. Forse è un’esagerazione, ma è senz’altro vero che Carlo Bigatto volle restare sempre dilettante a tutti i costi, rifiutando categoricamente stipendi anche quando, nel finale della carriera, giocava ormai con professionisti come Rosetta. Gli piaceva la sua libertà, non voleva che corressero rapporti di denaro con la squadra del suo cuore. Anche per questo poteva fumare le sue 140 sigarette al giorno. Come avrebbero fatto a dargli una multa?
Erano decisamente tempi eroici, erano personaggi eroici, i Bigatto. Come Peppe Giriodi, che un giorno, ad uno schiaffone del mediano Soldera del Milan, reagisce mettendosi sull’attenti e cercando di richiamare l’attenzione dell’arbitro sollevando una mano. O come Valerio Bona; il 22 febbraio del 1914, la Juventus gioca a Milano contro l’U.S. Milanese. Bona cade a terra dopo un urto con un difensore e l’arbitro Goetzloff decreta il rigore; per uno scrupolo che oggi senz’altro fa sorridere, il direttore di gara ha un dubbio e chiede proprio a Bona se il rigore è giusto.
Bona è il rigorista della Juventus, la tentazione è tanta. Ma risponde candidamente che no, la colpa è sua, è lui che ha travolto il terzino. La partita finisce 0-0, Bona non esce dal campo pentito per la sua lealtà. Un segno distintivo di onestà cristallina che contribuisce a rendere mitica la Juventus.