Recensione del libro: "QUELLA NOTTE ALL'HEYSEL" di Emilio Targia

27.05.2015 22:35 di  Caterina Baffoni   vedi letture
Recensione del libro: "QUELLA NOTTE ALL'HEYSEL" di Emilio Targia

Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, è un pomeriggio di luce e bandiere che sembra scandire alla perfezione il conto alla rovescia prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, la partita delle partite. Il sogno di ogni tifoso. Emilio ha diciotto anni e ce l’ha fatta: è lì, con il biglietto per entrare allo stadio, insieme all’amico di una vita, Giampiero. Oltre all’eccitazione e all’entusiasmo porta con sé un piccolo registratore e una cinepresa super 8, perché ha già deciso che da grande farà il giornalista. Nello stadio, tra canti e battiti di mani, c’è una chimica speciale che assomiglia a un incantesimo. Poi il silenzio. Emilio Targia, sopravvissuto all’incubo di quella notte all’Heysel, racconta ciò che ha visto, che ha sentito, i suoi ricordi, fissati anche su una pellicola e su un nastro magnetico, e prova a sciogliere nell’inchiostro memoria, rabbia, dolore e paura.  

Oggi, Emilio Targia, giornalista professionista dal 1997, è caporedattore di Radio Radicale e membro del Comitato Scientifico del portale “Art Wireless” e della direzione artistica del festival “Collisioni” di Barolo, ci sprona a leggere questo libro così coinvolgente e sincero per un semplice motivo che sta alla base delle 175 pagine: non dimenticare. 

<< Perché senza memoria saremmo luci spente. Perché la memoria è un lavoro. Una scelta. Ha bisogno di manutenzione e di amore, e questo spetta a tutti e a ciascuno individualmente. Fatelo, allora, quel nodo al fazzoletto >>. Queste le parole di Emilio Targia, grande giornalista e tifoso, che ha fatto il nodo per ricordare e ricordarsi “Quella notte all’Heysel”, che è diventato il titolo del suo libro, scritto da vero giornalista, ma anche da testimone diretto della tragedia di Bruxelles. Targia c’era, era un tifoso con il sogno di diventare giornalista, e l’elaborazione dei suoi ricordi scorre come un diario personale, un fiume in piena di emozioni, quasi un romanzo. Ma non è solo un bel libro il suo, è un libro importante, un libro da leggere e da far leggere soprattutto a tante generazioni di bambini. Perché «moltissimi italiani (e molti media) si ostinano a considerare le vittime dell’Heysel solo come “juventini” e non come connazionali e come persone. Questo mina in modo imperdonabile il peso reale della tragedia belga, perché la riduce a un fatto calcistico e la relega in una dimensione sbagliata e giusta». Lo leggeranno in molti, purtroppo è probabile non quelli che dalle tribune degli stadi continuano a insultare la memoria dell’Heysel e di vittime che non erano tifosi juventini, ma tifosi e basta. E un tifoso non deve morire in uno stadio.

Si sentono urla, dal settore Z. Gente che fugge. Non c’è più nessuna bandiera. Un vociare scomposto e molto strano, e grida, e rumori sconosciuti. Poi, d’improvviso, solo silenzio. 

Si fondono così quelle sensazioni con quei dettagli così unici che ha confusamente registrato. L'autore vuole portarci all'attenzione i ricordi dei sopravvissuti per restituire il dolore e il senso di tradimento che quella notte gli precipitarono addosso.

Il libro nasce dall’esigenza dell’autore, sopravvissuto a quella notte di follia, di “liberare un file”, perché la mente umana a volte da sola non basta, a ricordare tutto. E purtroppo, a volte non vuole.

Si tratta di un racconto dettagliato di quella notte, e dei giorni che la precedettero e che la seguirono. Un racconto dedicato ad Andrea, la vittima più giovane. Un’appendice con una rassegna stampa e alcune testimonianze. All'interno vi sono una prefazione di Sandro Veronesi, allora davanti alla tv, e una postfazione di una leggenda bianconera come Antonio Cabrini, allora in campo.

La “mission” del libro è quella di fare manutenzione di memoria, ed evitare che il termine “Heysel” nel tempo si polverizzi, disperdendo il contenuto doloroso e tragico di quel che evoca. Informare, ricordare,  raccontare. Provare a immergere il lettore in quel sogno innocente di vittoria che diviene improvvisamente un incubo. Emilio vuol tentare anche di provare a seminare anticorpi contro le banalità e le volgarità pronunciate in questi 30 anni da chi sa poco o nulla di quella notte all’Heysel.

Il trentennale dalla strage di Bruxelles infatti offre una preziosa occasione ai media per provare a ripercorrere quelle drammatiche ore. Non dimenticare è un dovere civile. Lo è altrettanto provare a capire cosa si sarebbe dovuto fare in questi anni e cosa invece non è stato fatto. Se quella “lezione” è divenuta semplice lettera morta. E per colpa di chi. Chi non era all’Heysel, racconto l'autore del libro, difficilmente capisce perché quella partita si è giocata. Difficilmente può immaginare la “bolla” in cui tutti  erano finiti, scioccati, increduli, confusi e spaventati. 

Provare a capire senza  giudicare, può essere una risorsa. L’autore, che oggi è un giornalista, può farsi strumento per tutto questo. Ricordando, raccontando, rispondendo a qualunque domanda su quella notte e su questi 30 anni.

Lo sconforto, la rabbia e la disillusione espresse in queste pagine sono tutte sensazioni palpabili e dolorose, ma capaci di mantenere viva la memoria al di là di qualsiasi ipocrita demagogia. Emilio è come se ci prendesse per mano in questo cammino appassionato e commovente, rendendoci partecipi di una notte "assurda". 

E' altrettanto lecito sottolineare come il tema Heysel si ricongiunge con l’attualità di queste settimane, ed è proprio il pensiero del campione del mondo Antonio Cabrini secondo il quale chi insulta negli stadi italiani le vittime dell’Heysel lo fa perché è ignorante. Perché non sa, né capisce o immagina il dolore. Quel dolore.

Ma non c’è solo il tema dell’Heysel al centro di alcuni cori o come oggetto di alcuni striscioni. Il tema della violenza verbale e scritta di alcune curve di tifosi in Italia è tornato infatti prepotentemente sulle prime pagine dei giornali nelle ultime settimane, dopo che nella Curva Sud dello stadio Olimpico di Roma erano stati esposti alcuni striscioni addirittura contro la mammadel giovane tifoso napoletano ucciso a Roma lo scorso anno prima della finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina. 

E il problema della violenza torna di forte attualità dopo quel che è accaduto nel derby di Torino, con il bus della Juventus preso a sassate e l’esplosione di una bomba carta all’interno dello stadio comunale. Oltre ad altri episodi spiacevoli in altre città italiane.

Ecco che la questione del rispetto, della memoria, della civiltà e della responsabilità torna prepotentemente alla ribalta. Occorre dibatterne subito, risalire con chiarezza alle radici del problema e cercare di estirparne tutte le problematiche relative a questi scempi.

Si tratta di una lettura stimolante che fa bene al cuore, scritta da un testimone diretto, che cerca di comprendere e filtrare ai lettori il significato dell' assurda morte di 39 persone innocenti durante una manifestazione che dovrebbe in realtà essere la pacifica dimostrazione della bontà e dell'innocenza della passione sportiva.