Mea culpa di un "contiano" convinto

19.12.2014 22:30 di  Andrea Antonio Colazingari  Twitter:    vedi letture
Mea culpa di un "contiano" convinto
TuttoJuve.com
© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Chi scrive non ha mai nascosto le proprie simpatie per Antonio Conte. Chi scrive ha maledetto la dirigenza bianconera per aver ingaggiato, la scorsa estate, Massimiliano Allegri al posto del tecnico leccese. Chi scrive, deve molti ringraziamenti e svariate scuse all’ex allenatore del Milan.

Sono passati sei mesi dall’arrivo di Allegri a Vinovo e molto, anzi moltissimo, è cambiato nella Juventus. In meglio, bisogna ammetterlo.

Dell’aria più soft che si respira negli spogliatoi, sinceramente interessa poco: i calciatori sono professionisti lautamente pagati anche per sopportare la severità di un superiore quale l’allenatore è. Importa piuttosto il gioco e il modo di stare in campo della squadra.

L’ultima Juventus di Conte era diventata una macchina e, come tale, rischiava la sterile monotonia. Schemi e movimenti sempre uguali, incisi sulla piastra di un modulo di gioco stampato nell’acciaio: gli avversari, anche quelli più sprovveduti, avevano capito come e dove fermare i bianconeri e le partite si vincevano solo, o quasi, grazie allo sfinimento fisico di chi ti stava contro. Mai una variazione tattica, mai un cambio di modulo: Conte continuava a battere con ostinazione ammirevole ma alla lunga quasi irritante, un ferro ormai stremato.

Allegri, che da calciatore faceva la mezzapunta o fantasista, ha cambiato registro. Lui fa giocare i migliori e adatta il modulo ai giocatori. Conte, allievo di Sacchi, uno che Allegri metterebbe volentieri sotto con la macchina, infila i calciatori nei propri schemi di gioco e poco importa se alla lunga rischiano il soffocamento. Siccome, proprio alla stregua di Sacchi, Conte è uno bravo, testardo e deciso, vince ma l’alienazione tecnico-tattica è sempre dietro l’angolo, proprio come accaduto spesso in carriera al maestro di Fusignano. Succede quando ti affidi agli schemi più che agli uomini.

Allegri invece, punta sui secondi e dal momento che ha a disposizione i migliori in Italia, vince pure lui ma in modo decisamente più gradevole per chi guarda. Cambia modulo e quindi schemi e movimenti; preferisce la tecnica alla corsa e già per questo andrebbe fatto beato vista la regressione calcistica del nostro movimento per colpa di tecnici ottusi e moltitudini di stranieri scarsi. Attenzione però: a lui non bastano i grandi calciatori. Allegri è capace di costruirgli qualcosa attorno, tutto il contrario di Fabio Capello che mandava in campo undici figurine, dava disposizioni ferree alla difesa e per il resto si affidava all’estro e alla bravura dei singoli. Allegri è uno che a calcio giocava con tecnica e testa, accompagnate da poca costanza. Da allenatore non ha cambiato filosofia, salvo perdere quel difetto che è proprio di molti calciatori dotati di ottimi piedi ma deboli di carattere. Conte era un martello da centrocampista; lo è pure dalla panchina.

Chi scrive, ha sempre preferito la tecnica alla corsa asfissiante, mezzo rivolto unicamente al fine del pressing e degli schemi senza palla. A calcio si gioca con il pallone tra i piedi che va fatto correre velocemente e con il minor numero possibile di tocchi ma resta protagonista chi detiene il controllo dell’attrezzo, non chi corre senza per novanta minuti. Se non c’è la condizione atletica, il castello si sbriciola; se hai piedi e personalità, resti in piedi quasi sempre.

Meglio Allegri di Conte? Sì ma fermiamoci all’aspetto tecnico e lasciamo perdere tutto il resto. Chi da mesi vomita astio sull’ex allenatore della Juventus, dimentica che proprio Conte ha ridato forza e competitività ad un club precipitato nella pochezza della peggiore Inter. Lui però ha dei meccanismi mentali che non scardini con pacche sulle spalle o sorrisi di convenienza: proprio come gli schemi che mette in campo, quelli sono e quelli restano. Conte aveva chiesto e ripetutamente non gli è stato dato nulla e ha salutato. Riguardo al come, la verità sta sempre nel mezzo e i divorzi perfettamente riusciti sono rari come i matrimoni felici. Da quel momento, dall’istante dell’addio, meglio arrivederci, le scelte che ha fatto appartengono solo a lui e non possono in alcun modo macchiare un passato recente di straordinari successi e qualche brutto capitombolo. Nel mondo attuale prevale invece la logica astiosa dello scontro continuo: al fianco o contro, fratelli o nemici, senza via di mezzo. Meriti e colpe passate se ne vanno a farsi benedire nella desolazione di sentimenti senza sfumature.

Chi scrive si complimenta con Massimiliano Allegri per l’ottimo lavoro svolto fino ad oggi. Semplicemente. Chi scrive, ammette di essere scivolato grossolanamente sulle bucce viscide di preconcetti e riserve mentali. Al nuovo allenatore bianconero piace il calcio giocato con il pallone tra i piedi: il suo ultimo Milan ha ingannato evidentemente tutti e ora sappiamo bene a chi dare la responsabilità del medioevo rossonero.

Chi scrive ringrazia Antonio Conte per tre anni di vittorie e record e non gli perdona un paio di brutti tonfi europei. La gratitudine però per quanto mandato in bacheca, è decisamente più forte dell’astio per un divorzio inevitabile. Inevitabile perché Conte è fatto così e non cambia, proprio come il suo modo di fare calcio. Semplicemente.