Lo strano caso della Supercoppa italiana

Al fischio finale di Rocchi il campo recita il suo verdetto ineccepibile: Lazio-Juventus 0-4. Crollano al vento tutti gli escamotage di Lotito per provare a gabbare la Vecchia Signora che, palla al piede, non si piega a sotterfugi complottisti. Tutto finito si direbbe? E invece no, perchè a certe cose la dirigenza bianconera non ha voglia di passarci sopra. Dietro quel risultato vi è una serie di attacchi mediatici e scontri duri in Lega che ha portato alla decisone equivoca di giocare la gara all'Olimpico di Roma. Tutto inzia quando Agnelli rifiuta di disputare la seconda Supercoppa italiana a Pechino. Le ragioni sono tutte di natura economica: la Juventus ha organizzato una tourné in America che terminerà il 7 agosto e che frutterà alle casse bianconere 3 milioni di euro. Lotito, chiedendo di anticipare la finale il 10 agosto, rende impraticabile la soluzione cinese, anche perchè la Juventus non ha alcuna intenzione di rinunciare per il secondo anno consecutivo a unà tourné così fruttuosa (oltretutto con una penale da pagare se dovesse saltare) e che rilancerebbe il marchio biaconero negli States. Richiesta egoistica se vogliamo, ma legittima. Il patron biancoceleste sbuffa e sfoga la sua rabbia in Lega, accusando Agnelli di "pensare solo al suo orticello" e di violare un impegno internazionale preso dalla Lega stessa che, oltre ad una crescita di immagine, porterebbe 3,3 milioni di euro da spartire alle due società. Eppure l'ira di Lotito pare spropositata. Già, perchè secondo il regolamento la Supercoppa italiana andrebbe giocata in casa della squadra vincitrice del titolo nazionale. Ma vabbè passiamoci sopra, anche perchè per ben 7 edizioni si è voluto badare maggiormente all'aspetto economico spostando la sede della competizione in campi neutri. Inoltre la norma dice che entrambi i club devono essere d'accordo sul luogo in cui verrà disputata la gara. Agnelli snobba la Cina e il banco salta, senza violare, però, nessun contratto, dal momento che l'intesa prevedeva di disputare a Pechino tre edizioni (due sono già state giocate) dal 2010 al 2014.
Fino a questo momento tutto nella norma. Ma alle bizzarie non c'è mai limite, soprattutto se tra i due opposti del tavolo si siedono Juventus e Lega. Sarebbe stato molto più semplice giocare a Toronto, New York o un campo neutro come San Siro (tutte mete proposte e di cui si è parlato) e invece ecco, la quantomeno discutibile, decisione dell'Olimpico di Roma (campo ufficiale della Lega dove si decidono anche le finali di Coppa Italia). Sia chiaro, l'eleganza bianconera sta tutta nell'aver accettato di giocarsi il primo trofeo stagionale nella dimora nemica per rimediare alla perdita degli introiti cinesi, eppure la spartizione degli incassi proposta dalla Lega sembra violare la tradizionale suddivisione in egual parti dei profitti. Fatto sta che la Juventus incassa male la "sofferta" decisione del Consiglio di Lega: 1,8 milioni alla Lazio e poco meno di 600 ai bianconeri. Strano no? Ma nessuno vuole accusare Lotito di una posizone da privilegiato in Lega. Eppure è singolare il fatto che, dopo il ricorso degli aristocratici torinesi alla Corte di Giustizia, i giudici della stessa si sono dichiarati incompetenti ad esaminare il ricorso dei bianconeri, dichiarando "Inammissibile per difetto della competenza a conoscere della vertenza in capo alla presente Corte". Un bel giro di parole, insomma, per rimandare la patata bollente in altra sede, l'Alta Corte del Coni.
Qualcosa non torna e i conti si sfalsano sempre unilateralmente. C'è ancora un altro grado di giustizia per porre fine a questa telenovela, lo strano caso della Supercoppa italiana, e siamo sicuri che la Juventus andrà avanti. Fino alla fine.