Andrea Monti: "Don Abbondio nel giorno del giudizio"

L'editoriale del direttore de La Gazzetta dello Sport il giorno dopo la non decisione della Figc.
19.07.2011 20:30 di Alessandro Vignati   vedi letture
Fonte: di Andrea Monti per "La Gazzetta dello Sport"
Andrea Monti: "Don Abbondio nel giorno del giudizio"
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© foto di Alberto Fornasari

Nel giorno del giudizio sullo scudetto 2006, Giancarlo Abete sostanzialmente si defila rimanendo abbarbicato alla linea tracciata dagli avvocati: "Non essendoci un atto amministrativo di assegnazione non può esserci una revoca"

Tanto tuonò che non piovve affatto. Nel giorno del giudizio sullo scudetto 2006, Giancarlo Abete sostanzialmente si defila rimanendo abbarbicato alla linea tracciata dagli avvocati: "Non essendoci un atto amministrativo di assegnazione non può esserci una revoca". La Figc, dice in sostanza, non è un organo di giustizia, non può instaurare alcun processo né esprimere alcuna condanna. Insomma, niente censura, niente valutazioni severe, neppure una ramanzina: i nerazzurri possono tenersi il titolo. In due ore di fluviale conferenza stampa, le parole Inter e Juve curiosamente non ricorrono: il presidente federale esprime soltanto il suo rammarico per la mancata rinuncia alla prescrizione.

Può bastare? No. Di sicuro non basterà alla Juventus e a tutte le altre squadre penalizzate nel 2006 che si attendevano parità di giudizio e di trattamento. Non basterà al popolo del calcio che vive di passioni, non di tecnicalità giuridiche. E forse non basterà neppure all'Inter che esce dal non-giudizio comunque gravata dal sospetto. All'inizio di questa storia Abete aveva affermato che "l'etica non si prescrive" e che non aveva alcuna intenzione di imitare Ponzio Pilato. Alla fine, però, rischia di consegnarsi alla storia come il Don Abbondio della pelota. L'organo di governo del calcio abdica mestamente al proprio ruolo di indirizzo politico. Se non ha il potere di pronunciare sentenze - tesi fondata dal punto di vista legale - certamente ha rinunciato a disegnare un quadro comprensibile di chiarezza su uno scandalo che ha sconvolto lo sport italiano. Se la Figc non aveva il potere di giudicare, perché metterci 14 mesi per ammetterlo? Non lo poteva dire subito? Perché armare la severissima istruttoria in cui il procuratore Palazzi non toglie nulla ai giudizi del passato ma aggiunge molto di nuovo, se poi non la si discute neppure? "E' un atto dell'accusa, non una sentenza", chiosa Abete. Nessuno aveva mai sostenuto il contrario. Ma gli interrogativi che solleva avrebbero meritato almeno il coraggio di un commento, di una spiegazione, di una risposta.

Per colmo d'ironia, mentre il consiglio federale si dichiara incompetente e il presidente Cellino (anche lui tirato in ballo da Palazzi) scopre di avere un impegno urgente e per fortuna non vota, un grande protagonista dello scudetto contestato batte un colpo. E che colpo. Con una lettera, Guido Rossi fa sapere di "non aver ricevuto altre informative" se non quelle che portarono ai deferimenti del 2006. La palla torna clamorosamente nel campo del colonnello Auricchio e dei pm Narducci e Beatrice. Chiuso il fronte federale rimane aperto, e caldissimo, quello delle intercettazioni che riguardavano l'Inter, emerse con anni di inspiegabile, e inspiegato, ritardo. Su questo punto, Della Valle e Galliani non sono disposti a mollare. In sintesi: la Juve si attrezza per rilanciare l'offensiva in tribunale, gli altri pretendono di vederci chiaro sull'inchiesta prima di sedersi al tavolo della pacificazione proposto dal patron della Fiorentina. Chi pensava che la giornata di ieri potesse chiudere la faccenda una volta per tutte si è sbagliato: nel nostro calcio pure il giudizio universale non è mai definitivo.