Repubblica - Padovano: "Non penso a Champions '96, la vita mi ha tolto tutto"

29.05.2017 12:40 di  Redazione TuttoJuve  Twitter:    vedi letture
Repubblica - Padovano: "Non penso a Champions '96, la vita mi ha tolto tutto"
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

La Repubblica ha intervistato l'ex attaccante bianconero Michele Padovano. Ecco le sue parole rilasciate a Maurizio Crosetti: "Dopo quell’accusa di droga, accusa a un innocente, per il calcio è come se fossi un lebbroso, gli amici di un tempo neppure mi rispondono al telefono - ha confessato l'ex attaccante bianconero -. Non penso quasi mai a quelle notti del ‘96 contro Real Madrid e Ajax, quando segnai il secondo gol agli spagnoli nei quarti, eliminandoli, e poi la finale a Roma: uno dei rigori lo misi dentro io con Ferrara, Pessotto e Jugovic. Non ci penso perché la vita mi ha tolto tutto, compresi i ricordi più belli. Ma rifarei ogni cosa, anche se sono stato ingenuo e ho conosciuto gli sciacalli. Mi accusarono di avere finanziato un traffico di droga, invece ho solo prestato 40 mila euro a un amico d’infanzia che sarà stato pure un delinquente ma resta un amico. Mi aveva detto che gli servivano per un debito, credevo si fosse comprato un cavallo. Sono in attesa di giudizio da undici anni dopo la condanna in primo grado, ho fatto tre mesi di galera, 8 ai domiciliari e 5 con l’obbligo di firma, in cella aspettai 67 giorni il primo interrogatorio: ed è successo a un innocente.

Il calcio è garantista solo a parole. Aspettando l’ultimo grado di giudizio chiedo solo di lavorare, di poter restare nel mio mondo dove quasi tutti mi hanno sbattuto la porta in faccia. Ho chiamato i compagni di un tempo a uno a uno, compresi quelli che oggi fanno gli allenatori e gli opinionisti e con i quali eravamo come fratelli: o non rispondono oppure prendono tempo, dicono di non poter fare niente quando basterebbe una parola. Sono stato dirigente o direttore sportivo alla Reggiana, al Genoa, al Torino, all’Alessandria, la prima squadra di Cairo l’ho fatta io, è questo il mio mestiere. Poi, se devo dire, oggi non vedo grande meritocrazia, le amicizie e le relazioni valgono più della competenza, ci sono dirigenti pagati con i soldi dello sponsor che hanno portato loro. Poi, però, costruire squadre è un’altra faccenda. Se non fossi stato un calciatore, forse adesso sarebbe più facile guadagnarmi un’altra occasione".